Ponte sullo Stretto, sul fondale faglie attive che fanno allontanare Calabria e Sicilia. Ma per la società non è un problema
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Il riferimento nei due documenti della società Stretto di Messina. Con la precisazione: “Poco plausibile che esistano ulteriori sorgenti sismogenetiche in grado di generare terremoti”
di Alessia Candito, Antonio Fraschilla
Geologi e ingegneri che lavorano con i comitati ambientalisti e le amministrazioni hanno lanciato l’allarme da tempo: il Ponte sullo Stretto, per come progettato, poggia su faglie attive. Niente di vero per la società, che con il suo amministratore delegato Pietro Ciucci ha sempre assicurato: “I punti di contatto con il terreno dell’opera di attraversamento sono stati individuati evitando il posizionamento su faglie attive”. Ma le faglie ci sono e lo dimostrano paradossalmente le integrazioni che la stessa società Stretto di Messina ha depositato per rispondere alle 239 osservazioni critiche del ministero dell’Ambiente al progetto definitivo.
In particolare sono due i documenti consegnati al ministero che fanno riferimento alla faglia sotto il pilone lato Calabria. Il primo è la “mappa PB0010_F0”. Già presente nei documenti del progetto del 2011 e non modificata nel faldone depositato il 12 settembre scorso. In questa mappa si mostra il profilo in sezione della faglia Cannitello, individuandola nella legenda come “certa” e indicandone persino la direzione cinematica, con tanto di freccina. Delle cinque di “massima pericolosità” censite e così identificate dall’Ispra è quella che preoccupa di più. E passa – come già evidenziato nelle osservazioni che per l’amministrazione di Villa San Giovanni ha redatto un pool di esperti, fra cui l’ingegnere Paolo Nuvolone e il professore Mario De Miranda – esattamente sotto il pilone calabrese del Ponte, toccando anche i pontili e gli svincoli previsti. Non si tratta di elemento di poco conto perché le faglie sono “vive”. E la faglia di Cannitello, probabilmente figlia del devastante terremoto del 1783, “che ha stravolto la morfologia della zona”, sottolinea l’ingegnere Nuvolone, soprattutto. Da rilievi cartografici e incisioni dell’epoca e dei secoli successivi, su cui si sta lavorando, inizia a emergere che lì dove oggi c’è la pianura di Cannitello c’era una montagna, probabilmente cancellata dal sisma. “Quello è il terremoto di riferimento, non quello del 1908 con epicentro più vicino a Reggio Calabria e Messina”, osserva Nuvolone. E la faglia è un campanello d’allarme e deve essere sorvegliata speciale, come anche gli allegati depositati dalla società lo confermano.
Ma c’è un secondo documento, ancora più dettagliato, che afferma esattamente la stessa cosa. È la tavola n.AMW3010, che corrisponde alla “Carta di microzonazione Calabria – Comune di Villa San Giovanni”. L’enorme fascia rossa nella tavola che corre lungo tutta la sponda calabrese non solo è classificata come faglia attiva e capace – cioè in grado di generare eventi sismici – ma anche zona a rischio maremoto e soggetta a liquefazione. “Significa sostanzialmente che il terreno può perdere consistenza in caso di sisma”, dice il professore De Miranda. Insomma, non esattamente il posto migliore per piazzare un’opera ad alto impatto. In teoria, stando alle linee guida approvate nel 2016, dopo il devastante terremoto di L’Aquila, generato dalla faglia Paganica, nella zona in cui la Stretto di Messina progetta di costruire il Ponte non ci si potrebbe tirare su neanche un pollaio. Per evitare nuove tragedie, in aree instabili ma densamente urbanizzate, dopo il sisma si è deciso di censire le faglie in Italia, con indagine affidata all’Ispra, e sono stati fissati dei criteri di gestione del territorio, per altro facilmente rintracciabili sul sito della protezione civile. Al termine di un lavoro durato più di un anno, si è deciso di imporre una “fascia di attenzione” di 200 metri, più che doppia rispetto al passato, quando la norma ne prevedeva a stento 75.
Per la Stretto di Messina però quei criteri “non hanno status normativo”, dunque – dà a intendere nella relazione introduttiva – non è necessario seguirli. E nonostante vengano mappate e analizzate, anche le faglie, “l’attività e la loro stessa esistenza” scrivono i tecnici “è certamente controversa, sia per la lacunosità dei dati disponibili per caratterizzarle, sia per le forti differenze nella loro esatta localizzazione”. Le falesie che ne sono nate, a loro dire, potrebbero essere state generate da altri eventi e comunque, affermano, l’esistenza della maxi faglia nata dal terremoto del 1908 “rende decisamente poco plausibile che nello Stretto esistano ulteriori sorgenti sismogenetiche in grado di generare terremoti che potrebbero causare importanti effetti di fagliazione superficiale primaria, o anche secondaria”. A ingegneri e geologi che hanno chiesto modelli tridimensionali, studi specifici e scenari di rischio la spa si limita a ribadire, per giunta in neretto: “l’esistenza stessa e l’attivazione delle faglie non è documentata storicamente, né documentalmente”. Allora perché inserirle nelle mappe?
Sorgente: Ponte sullo Stretto di Messina, una faglia sismica dove poserà un pilone – la Repubblica
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