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La massiccia campagna dell’Idf che si è concentrata nella valle della Bekaa potrebbe non aver indebolito il potenziale militare dei miliziani che a Nord del fiume Litani hanno progettato una zona anti-raid

di Gianluca Di Feo

Fino a che punto la campagna aerea condotta da Israele ha distrutto il potenziale bellico di Hezbollah? I danni sono sicuramente gravi ma non ci sono elementi oggettivi su cui cercare di basare una valutazione. I dati forniti dalle Israeli Defence Forces testimoniano un volume di fuoco pari soltanto ai primi giorni di attacchi contro Hamas a Gaza e superiore a qualsiasi altra offensiva dal cielo della Storia: molto più dell’esordio dell’operazione Iraqi Freedom contro Saddam Hussein nel 2003 e della fase iniziale dell’invasione russa dell’Ucraina.

 

 

Inoltre, come ancor più è accaduto a Gaza, la potenza delle squadriglie è stata concentrata su un territorio libanese di dimensioni limitate: le azioni sono state circoscritte alla Bekaa, una valle a Est della capitale confinante con la Siria, e a una fascia di circa 80 chilometri a Nord della frontiera con Israele. Nei quartieri di Beirut Sud sono state registrate tre incursioni definite mirate per uccidere leader della milizia sciita mentre c’è stato un unico assalto nella parte settentrionale del Paese dei Cedri.

La lista degli obiettivi

Solo nella giornata di giovedì, le Idf hanno dichiarato di avere distrutto 220 obiettivi di Hezbollah. Complessivamente, da lunedì ne sarebbero stati colpiti 2.500: un numero che implica una devastazione notevole anche perché riguarda depositi di armi o postazioni che si trovavano all’interno di abitazioni, spesso nelle cantine o in edifici a schiera. Ci sono villaggi della Bekaa o del Sud che appaiono ridotti in macerie ed è difficile stabilire dalle immagini quanti danni siano stati direttamente provocati dai bombardamenti e quanti dall’esplosione delle scorte di ordigni.

 

 

Il comando israeliano sostiene che solo nella prima giornata sono stati annientati 400 razzi a medio raggio; 70 magazzini di munizioni; 80 tra droni e missili cruise; 60 siti della divisione intelligence del movimento sciita ossia centri comando, telecamere di sorveglianza, ponti radio. “Stiamo cancellando gli

arsenali che hanno accumulato in venti anni”, ha dichiarato il capo di stato maggiore delle Idf, Herzi Halevi. Le foto disponibili permettono di accertare la distruzione di un solo missile balistico, ma dalla Bekaa – dove sarebbero state concentrate le armi più potenti – sono state diffuse pochissime immagini. Non è quindi possibile valutare in che misura le scorte di razzi e missili siano state intaccate.

Le priorità d’attacco

Dopo quattro giorni di missioni – che hanno coinvolto inizialmente duecento tra caccia F15 e F16, elicotteri AH64 Apache e droni armati – gli attacchi contro i depositi individuati negli scorsi mesi dall’intelligence grazie all’infiltrazione delle reti di comunicazione di Hezbollah sembrano in via di esaurimento. I jet con la Stella di Davide restano però costantemente in volo, pronti a lanciarsi su tre tipi di bersagli individuati dalla sorveglianza ininterrotta di droni, velivoli spia e satelliti. Anzitutto le batterie di razzi che escono allo scoperto, preferibilmente prima che riescano a scagliare gli ordigni. Poi i camion e le vetture che cercano di trasferire miliziani e armamenti iraniani dalla Siria, provenienti dalle caserme delle brigate libanesi dislocate a sostegno del regime di Assad o direttamente dalla Repubblica islamica.

 

 

Ci sono stati almeno due attacchi notturni sul confine tra i due Paesi mentre resta confusa la matrice di quello condotto sempre nell’oscurità contro il porto siriano di Tartus, base della flotta russa nel Mediterraneo. “Stiamo impedendo ogni rifornimento di armi dall’Iran – ha dichiarato il comandante dell’aviazione, il generale Tomer Bar, che ha personalmente pilotato un caccia durante gli strike -. Questa è la missione diventata prioritaria: la speranza di Nasrallah dipende da questi rinforzi”.

Contemporaneamente prosegue la ricerca dei leader del movimento sciita, che vengono individuati nonostante non utilizzino più cercapersone o altri gadget elettronici: non è escluso che il Mossad abbia realizzato una mappa dei loro rifugi abituali seguendo in passato le tracce trasmesse dai loro dispositivi e adesso li monitori aspettando il momento in cui i capi di Hezbollah li raggiungono. Finora ci sono stati tre attacchi di questo tipo, tutti diretti contro condomini di Beirut Sud, una delle zone più densamente popolate della metropoli. L’ultimo ieri ha assassinato Muhammad Hussein Sarour, il responsabile dei reparti di droni che sarebbe rientrato pochi giorni prima dallo Yemen dove aveva contribuito a pianificare l’offensiva degli Houti contro le navi mercantili nel Mar Rosso.

Il bilancio delle vittime

Le autorità libanesi finora a giovedì sera hanno contato 696 morti, senza fare distinzioni tra civili e miliziani. Le poche foto dei funerali indicano una percentuale rilevante di donne e bambini, ma non ci sono dati statistici: problematici i soccorsi ai feriti, perché l’organizzazione sanitaria del Paese dei Cedri è da anni in profonda crisi. Dallo scorso ottobre, le vittime complessive sono state 1.540.

 

 

Dal punto di vista militare, le perdite di Hezbollah a causa dei bombardamenti sono di gran lunga inferiori a quelle provocate dal sabotaggio dei cercapersone e delle trasmittenti radio, avvenuta la scorsa settimana. Il Partito di Dio avrebbe riconosciuto il ferimento di 1500 guerriglieri; fonti mediche libanesi hanno parlato di oltre 5.000 ricoverati mentre si ritiene che una certa quantità di uomini colpiti in quell’operazione nella valle della Bekaa siano state trasportate negli ospedali siriani. Tra il 5 e il 10 per cento dell’organico del movimento sciita sarebbe stata messa fuori combattimento, in molti casi con lesioni permanenti alla vista. Altri quattrocento guerriglieri invece sarebbero stati uccisi nei raid condotti da Israele tra il 7 ottobre e lunedì scorso: tra questi, almeno venti dirigenti di livello apicale.

 

 

Reazione limitata

Sulla capacità di reazione di Hezbollah però a pesare di più è l’impossibilità di usare la rete di comunicazione attraverso ponti radio, costruita per essere impenetrabile e che invece Israele ha dimostrato di potere controllare. Questo impedisce di coordinare la risposta missilistica delle sue unità, che da lunedì agiscono singolarmente: tra la decimazione dei quadri dirigenti e il gap di comunicazione, in questo momento la catena di comando e controllo che permette di gestire la milizia sciita pare in profonda crisi.

I gruppi sopravvissuti ai bombardamenti effettuano lanci di razzi contro le città israeliane: al massimo 45 ordigni simultaneamente, che non rappresentano una minaccia per lo scudo di Iron Dome. Per riuscire a superare lo schermo difensivo sarebbe necessaria una salva di oltre cento contemporaneamente: sul modello iraniano, i guerriglieri libanesi si erano addestrati a orchestrare sciami con molte centinaia di razzi assieme a missili e droni. Ora non sembrano più in grado di gestire operazioni del genere.

 

 

In quattro giorni hanno lanciato un solo missile balistico – l’arma più potente per velocità, raggio d’azione e carica esplosiva – contro Tel Aviv, intercettato dalle batterie David Sling ossia Fionda di Davide che sono la cupola intermedia della triplice barriera israeliana. Hezbollah continua comunque ad attivare i suoi nuclei: ieri ha sparato 175 razzi contro Israele. E nessuno sottovaluta la sua capacità di resilienza, che in passato spesso si è dimostrata sorprendente. Lunedì sera e mercoledì notte piccole squadre di incursori hanno tentato di superare la frontiera, ma sono state scoperte e respinte con perdite. Si è ipotizzata pure una spedizione via mare, ma la notizia non ha trovato riscontri.

Il sostegno del cosiddetto “Asse della resistenza” di formazioni filoiraniane del Medio Oriente finora è stato ridotto. Gli Houti yemeniti ieri sera hanno scagliato un missile balistico contro Tel Aviv, intercettato dal sistema Arrow all’esterno dell’atmosfera con una pioggia di minuscoli frammenti in una vasta aerea. Più frequenti le azioni degli sciiti iracheni, con missili cruise e velivoli teleguidati, ma senza creare danni significativi: due droni sono arrivati sino a Eilat, sul Mar Rosso, e uno è esploso contro un magazzino del porto.

L’intervento dell’esercito

Le voci su un possibile intervento dell’esercito israeliano in Libano sono aumentate nelle ultime ore, deliberatamente sottolineate dalle dichiarazioni pubbliche dei vertici militari e politici. Due brigate di riservisti sono state mobilitate: si tratta di unità che hanno condotto un addestramento specifico per combattere sul fronte libanese. Ci sono stati movimenti di tank nella zona di Kiryat Shmona e la 7ma brigata corazzata ha svolto un’esercitazione simulando l’irruzione nel Paese dei Cedri.

Il capo di Stato maggiore delle Idf, Herzi Halevi, ha detto a questi soldati: “Sentite gli aerei sopra di noi: stiamo attaccando tutto il giorno. Lo facciamo anche per preparare il vostro possibile ingresso. Il nostro obiettivo è permettere agli abitanti del Nord di tornare a casa in sicurezza. Per realizzarlo, stiamo organizzando una manovra terrestre”. Il generale Bar, numero uno dell’aviazione, ha incontrato i suoi ufficiali per spiegare che “ci stiamo preparando spalla a spalla con il Comando Nord per un’operazione di terra. Siamo pronti, se ci sarà l’ordine: è una decisione che deve essere presa a un livello più alto”.

La minaccia ripetuta da 48 ore sembra avere l’intento di persuadere Hassan Nasrallah a ritirare le sue forze a Nord del fiume Litani, garantendo la creazione di una fascia di sicurezza sul confine profonda dieci-quindici chilometri. Una soluzione che impedirebbe il lancio di razzi a corto raggio – statisticamente più numerosi – verso i centri abitati israeliani e potrebbe permettere il ritorno a casa di circa 80 mila persone.

In quel territorio Hezbollah ha costruito una piccola linea Maginot, più ramificata e complessa di quella di Hamas a Gaza: è stata scavata nella roccia, con l’aiuto di tecnici nordcoreani, progettandola per resistere all’impatto delle bombe “distruggibunker” da una tonnellata. A presidiarla ci sarebbero veterani del conflitto siriano, maestri nei combattimenti ravvicinati. Questa struttura sotterranea dispone di una rete di collegamenti via cavo con posti di osservazione e missili antitank, che si ritiene immune da intercettazioni. Non è chiaro quanti danni abbia subito finora questa rete difensiva, concepita proprio per garantire la sopravvivenza della guarnigione durante una campagna aerea.

Da almeno sei anni l’esercito israeliano studia il modo di espugnare o demolire queste fortezze. Ha creato reparti ed equipaggiamenti speciali, inclusi robot guastatori e sensori che localizzano i cunicoli sotto la roccia. È stata formata una brigata di truppe da montagna, simili agli alpini, per avanzare nelle zone rocciose più impervie.

Oggi non ci sarebbe una replica dell’offensiva del 2006 quando trentamila soldati hanno varcato il confine con 500 tank Merkava senza ottenere risultati rilevanti e subendo perdite rilevanti. Tutto sarebbe più mirato e rapido. E non è escluso che venga preferita una tattica “mordi e fuggi”, con colpi di mano di forze speciali calate dagli elicotteri assieme a manovre di piccole unità meccanizzate: blitz di 12-24 ore per smantellare le caverne-fortezza, usando cariche perforanti sui pozzi di areazione e minando gli ingressi. Dopo l’azione, uomini e mezzi si ritirerebbero lasciando ai droni e all’artiglieria il compito di impedire che Hezbollah ripristini i suoi avamposti nel sottosuolo. Un’alternativa “dinamica” che non obblighi a presidiare il territorio, lasciando i reparti esposti alle imboscate dei miliziani.

I colpi inflitti a Hezbollah nelle ultime due settimane sono senza precedenti e questo spinge in Israele un partito trasversale di militari e politici a chiedere di andare avanti a oltranza, varcando la frontiera. Ma l’esperienza accumulata dal 1982 ha insegnato ai generali delle Idf che in Libano tutti i piani rischiano sempre di essere messi in discussione, perché la natura del terreno e l’ostinazione dei combattenti sciiti più di una volta ha provocato gravi perdite ai soldati scesi in campo.

Sorgente: Pioggia di fuoco per preparare un intervento di terra ma la linea Maginot di Hezbollah resiste alle bombe degli specialisti israeliani – la Repubblica


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