La peste suina assedia il prosciutto di Parma: “Esercito contro i cinghiali o fallisce tutto”
il contenitore dell'informazione e della controinformazione
Sono trascorsi mille giorni dal primo caso di Psa nei boschi di Ovada. Oggi, con il terzo commissario straordinario, arrivano gli interventi. Dopo 46 anni la Commissione europea libera la Sardegna da ogni restrizione
ROMA – Da quella carcassa di cinghiale trovata nel territorio di Ovada, infetta dal virus, la peste suina africana ha cavalcato per 987 giorni e oggi la zona rossa che delimita l’epidemia si è spinta dall’Alessandrino a sud, fino alle province di Genova e La Spezia, a nord ha raggiunto Vercelli e Novara, attraverso l’Appennino tosco-emiliano ha fatto ingresso nel sancta sanctorum Parmense, proprio Langhirano, sede del prosciutto crudo più famoso al mondo. E a ovest la peste è arrivata a Milano, Busto Arsizio, Rho, Lodi, quindi Pavia e Piacenza premendo su un territorio fondamentale per la produzione di prosciutti Dop: Cremona, Mantova e Brescia.
Zona rossa grande quanto la Lombardia
I casi hanno toccato ormai otto regioni, compresa, abbiamo visto, l’Emilia ombelico del mondo, e la mappa del rischio ormai conta 25.000 chilometri quadrati, pezzatura grande quanto la Lombardia. Soltanto ieri la Commissione europea ha tolto le restrizioni alla Sardegna (erano presenti dal 1978) e anche in alcune aree della Calabria, della Liguria e del Piemonte, quest’ultimo inserito nella lista nera da due anni. Solo in alcune aree, tuttavia, visto che in diverse valli del Nord-Ovest i casi di peste suina continuano a rinnovarsi.
Con l’avvicinarsi del millesimo giorno di contagio non combattuto dalle autorità locali e nazionali – 2.400 carcasse di cinghiali morti per virus ritrovate, 45 allevamenti spazzati, 60.000 maiali abbattuti – il presidente Coldiretti, l’agguerrito Ettore Prandini, ha già messo in archivio questa lettera scritta al governo amico (ministri Francesco Lollobrigida per l’Agricoltura e Orazio Schillaci per la Salute): “La diffusione della peste suina africana ha ormai raggiunto livelli allarmanti mettendo a rischio non solo la salute animale, ma l’intera filiera suinicola del nostro Paese, un settore cruciale per l’economia nazionale e per la tutela delle nostre produzioni di qualità”.
Coldiretti vuole tutelare allevatori sull’orlo del collasso, nel Novarese c’è chi ha dovuto abbattere 12.000 maiali in un solo giorno. “È indispensabile”, si legge nella lettera di Prandini, “garantire la certezza degli indennizzi per i danni subiti, magari attraverso fondi emergenziali, coprendo non solo le perdite dovute agli abbattimenti, ma anche i mancati guadagni legati al fermo aziendale forzato”. In risposta, un emendamento al Decreto fiscalità destinerà 19,5 milioni di euro per il 2024 e per il 2025 agli imprenditori che hanno subito danni.
L’ordinanza dopo trenta mesi
Dopo due commissari straordinari trascorsi con un nulla di fatto – Angelo Ferrari e Vincenzo Caputo che, limitandosi a chiedere ai cacciatori di abbattere i cinghiali e all’esercito di intervenire senza un piano, hanno consentito all’epidemia di espandersi –, il dottor Giovanni Filippini, forte, lui, dell’eradicazione del problema proprio in Sardegna, ha deciso di affrontare la questione diventata nazionale. Con trenta mesi di ritardo, ecco. Lo scorso 29 agosto il terzo commissario ha emanato l’Ordinanza numero 3 del 2024: prevede l’inasprimento del divieto di movimentazione degli animali negli allevamenti situati nella zona rossa. I maiali possono essere spostati solo per andare al macello, e dopo accurati controlli. Quindi, divieto di ingresso nelle fattorie interessate di qualsiasi persona, compresi i veterinari liberi professionisti, i tecnici di filiera, i mangimisti e chiunque non si occupi della gestione degli animali. Il divieto è stato esteso anche ai cani e ad altri animali da compagnia. All’interno della zona rossa sono vietate mostre, mercati, fiere, esposizioni. Infine, di fronte a un possibile focolaio, si prevede l’abbattimento preventivo dei maiali.
I focolai registrati oggi sono cinquanta, soprattutto in Lombardia. “La situazione non è più sostenibile”, scrive Confagricoltura, “bisogna individuare subito una via d’uscita e permettere la sopravvivenza delle aziende agricole”. Il commissario Filippini preferisce attenuare l’allarme: “Definire questa epidemia drammatica è esagerato”.
Tredici miliardi di fatturato
Ventiseimila aziende suinicole, centomila lavoratori, 13 miliardi di euro il valore annuo della produzione. Per ora, 30 milioni di danni diretti della peste suina (gli indiretti, più ingenti – mutui, affitti, stipendi da pagare senza produrre –, resteranno a carico degli allevatori). Le due syndication agricole, Coldiretti e Cia, insistono per avviare una grande operazione di abbattimento dei cinghiali, i vettori di questa maledizione che, ad oggi, non conosce vaccino e non può contagiare né gli uomini né altri animali che non siano suidi. “I cinghiali, così diffusi sul nostro territorio, sono una seria minaccia”, dice Roberto Lorin, presidente di Coldiretti Padova. “L’attività di contenimento va ampliata e intensificata, i sindaci del territorio la pensano come noi”.
In verità, i medici dell’Istituto per la protezione ambientale Ispra, inascoltati, avevano chiesto di creare una distanza di sicurezza tra gli allevamenti: è convinzione di molti esperti che siano proprio le strutture intensive quelle su cui servirebbe agire: l’alta concentrazione di animali favorisce la diffusione del virus.
Maiali infettati macellati come sani
Ci sono stati, poi, i comportamenti degli stessi allevatori, alcuni hanno allargato autostrade alla pandemia. A Pavia, un anno fa, uno di loro ha mandato gli animali al macello pur sapendo che erano malati: li ha immessi nel ciclo alimentare. Poche settimane indietro a Vernate, città metropolitana di Milano, un farmer ha seppellito venti maiali morti, colpiti dal virus, nel retro dell’azienda: ha causato il contagio di altri otto allevamenti.
Il commissario Filippini ha già spiegato che “nel contagio il fattore umano è superiore a quello animale”. E ha illustrato: “Sappiamo che il virus, data la sua alta resistenza, rimane attivo sotto la suola delle scarpe per più di due settimane. Un allevatore che non cambia le scarpe o non utilizza i dispositivi di protezione individuale può diventare lui stesso veicolo indiretto in un altro allevamento”.
Infine, le recinzioni. Quelle aziendali, a carico degli allevatori: servono per tenere lontani i cinghiali dai maiali. E quelle a carico del ministero delle Infrastrutture servono per non consentire agli ungulati – capaci di cinque chilometri di cammino ogni giorno – di allargare ulteriormente la loro azione da agenti patogeni. Il commissario torna a parlare della necessità di doppie barriere, il ministero delle Infrastrutture deve finanziare quelle che eviterebbero ai cinghiali di passare attraverso i varchi autostradali. Infine, mancano i centri di smaltimento delle carcasse degli animali morti infetti: in Piemonte, ce n’è solo uno.
“Devo abbattere 1.600 capi”
Alberto Cavagnini è un grande proprietario terriero del Nord-Ovest (40 allevamenti). A Marudo, Lodi, ormai venticinque giorni fa ha scoperto 1.600 capi positivi alla peste suina. Saranno abbattuti. “La questione delle recinzioni è decisiva”, spiega, “in Belgio hanno debellato il problema proteggendo, così, i maiali dalla fauna selvatica. In Italia il virus è arrivato alle porte di Cremona, Mantova, Brescia. Anch’io ho allevamenti a 15, 25, 27 chilometri dalla zona rossa. Oggi il venti per cento dei suini utilizzati per il prosciutto San Daniele è stato colpito, se la peste entra in quelle province la produzione andrà completamente in crisi. Abbiamo già perso importatori fondamentali come la Cina, la Corea del Sud, il Vietnam, dobbiamo fermare la peste per salvare un settore”.
L’Associazione industriale dei salumi, Assica, segnala come i prezzi della materia prima nazionale (indispensabile per la produzione dei salumi Dop del Paese) in due anni sono raddoppiati, un livello mai visto, “e il generale andamento dei consumi di salumi registra una contrazione che ormai dura da diversi mesi”.
La lingua blu
C’è un’altra malattia degli animali che si sta espandendo in Italia, la lingua blu (febbre catarrale degli ovini). Lombardia, Calabria e Piemonte sono tra le regioni più colpite e in Sardegna la patologia sta dilagando. Nell’Isola i focolai sono oltre 2.100 con quasi 9.000 ovini morti, questo secondo i dati dell’Istituto zooprofilattico sperimentale sardo.
Secondo l’Unità organizzativa veterinaria della direzione regionale Welfare della Regione Lombardia, ad oggi sono stati registrati 56 focolai di blue tongue in allevamenti di ovini (nelle province di Lecco, Sondrio, Como, Varese, Bergamo e Pavia) e 7 in allevamenti di bovini (nelle province di Lecco, Monza-Brianza, Como, Bergamo e Pavia). In Calabria sono cinquanta i focolai e 2.000 i capi morti. La lingua blu è arrivata anche in Piemonte, nel Torinese e nell’Alessandrino, con un centinaio di focolai e altrettanto bestiame deceduto. Casi sono stati registrati, e confermati, in Valle d’Aosta, nei comuni di Aosta e Perloz.
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.