Paolo Ciani: «Le norme del ddl sicurezza stravolgono ruolo e visione delle forze dell’ordine: stanno mettendo in atto un’escalation»
Interviste – di Umberto De Giovannangeli
(guarda il video cliccando il link in fondo all’articolo)Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia Solidale, Vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati: la resistenza passiva non violenta in carcere è da oggi, con il Ddl Sicurezza, equiparata alle azioni violente. Che significa sia nel concreto che come messaggio generale?
Aver voluto equiparare la resistenza passiva con le azioni violente è qualcosa di assurdo giuridicamente e umanamente. Innanzitutto crea nuova separazione e discriminazione tra le persone libere e quelle detenute: se tu sei libero puoi protestare pacificamente con resistenza passiva – almeno per ora – ma, se lo fai in carcere, sarai punito con altro carcere! La cosa è particolarmente grave peraltro in un momento come questo in cui le carceri vivono una fase particolarmente delicata. Punire la semplice disobbedienza ad ordini impartiti significa, tanto per fare un esempio, punire qualcuno che rifiuta il cibo facendo uno sciopero della fame, incriminare la protesta pacifica di detenuti che si rifiutano di pulire la cella, riordinare le camere, adempiere agli obblighi lavorativi o anche solo fare la doccia, per protestare magari contro il sovraffollamento. Oggi, queste sono tutte condotte che possono tutt’al più configurare un illecito disciplinare e che, con questa legge, costituirebbero, invece, un reato. Teniamo conto che talvolta i detenuti compiono atti di autolesionismo per attrarre l’attenzione. Se qualcuno sceglie una protesta pacifica, come equipararlo a chi compie atti violenti, picchia, brucia, distrugge? Quando c’è una condotta violenta, per un detenuto dissociarsi da questa, magari portata avanti da alcuni compagni di cella o da persone che conosce, è già una scelta importante. Chiunque abbia una minima conoscenza del carcere e della sua vita interna, o di un CPR, comprende bene che ciò significherebbe gettare benzina sul fuoco. E conosciamo la situazione oggi delle carceri: non c’è bisogno certo di gettare benzina sul fuoco.
Con quali ricadute fattuali?
Equiparare la scelta di dissociarsi da una condotta violenta, magari con una resistenza passiva non violenta è qualcosa di molto grave, è qualcosa che fa aumentare la violenza, e di certo, le nostre carceri non ne hanno bisogno. Nella criminalizzazione della disobbedienza pacifica a carico esclusivamente di una categoria di persone, i detenuti, che, proprio in quanto già privati della libertà personale, non hanno altro modo di protestare, c’è un quid di ostilità difensivo-repressiva, che fa davvero paura. Vede, quando ero giovane, quando ero ragazzo, c’era un film romano un po’ trash, in cui uno dei protagonisti diceva: “se parlo, mi meni; se sto zitto, mi meni; allora dimmi che mi vuoi menare!” Ecco, mi sembra che in questo provvedimento ci sia la stessa subcultura di questo film trash: concepire la prigione come vendetta e unica sanzione, avendo come orizzonte un’idea ossessiva, ossia più reati, pene più alte, circostanze aggravanti sempre più severe.. Peccato che questa non sia la nostra cultura giuridica, non quella prevista dalla nostra Costituzione, non quella che vorremmo per la nostra Repubblica democratica.
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Qual è oggi la situazione carceraria in Italia?
La situazione purtroppo è drammatica e il numero di suicidi di detenuti e poliziotti penitenziari lo sta a dimostrare tragicamente. Ai numeri che già conosciamo vanno aggiunti quelli dei “decessi per cause da accertare”: almeno altre 15 persone morte dall’inizio dell’anno. C’è una realtà assurda di sovraffollamento, di gravi carenze strutturali, di forte carenza di personale. I dati presentati ad agosto dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presentano una analisi comparativa relativa agli eventi critici di maggiore rilievo, in cui appare evidente che all’aumentare del sovraffollamento si possa associare un incremento degli stessi, in particolare di quegli eventi critici che, più di altri, sono espressione del disagio detentivo, quali atti di aggressione, autolesionismo, suicidi, tentativi di suicidio, omicidio, aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria e al personale amministrativo. D’altro canto, appare evidente come la carenza di personale ricada in maniera fortemente negativa nella quotidianità: si esce meno dalle celle, si fanno meno attività, si incontrano meno persone “altre”.
Cos’altro?
C’è un problema di salute e di diritto alle cure, con un tema specifico importante che riguarda la salute mentale: continuano a nascere e diffondersi “repartini” speciali in cui sono rinchiuse persone con problemi e patologie differenti. Così come non si è ancora fatta una valutazione della realtà delle Rems – da tanti ancora considerate “quelle che hanno sostituito gli Opg” – del rapporto difficile che hanno con il territorio dove con grande difficoltà riescono a inserire le persone…
È un problema politico o c’è anche altro?
In questo c’è anche un gap culturale e anche “comunicativo” da scardinare: pensare che il carcere sia un mondo a sé, non tenere conto che il carcere è un microcosmo, abitato da cittadini che hanno compiuto dei reati o accusati di averlo fatto, ma che rimangono persone e cittadini. Con loro tutti gli altri, dalla polizia penitenziaria a chi lavora nell’amministrazione penitenziaria, ai servizi sociali, gli infermieri, i medici, i volontari. È sciocco pensare al carcere come a qualcosa di estraneo al resto della vita comune. Come è sciocco pensare che il malessere di uno non ricada sugli altri. Per questo quando sento i politici della destra farsi paladini della Polizia Penitenziaria e poi lasciare il carcere in queste condizioni, penso che sia una tragica presa in giro… Ho già ricordato in aula come tra gli agenti che operano in carcere ci sia un tasso di suicidi doppio rispetto a quello delle persone comuni: un evidente segnale di come il carcere sia un mondo veramente alla deriva, un pezzo di Stato alla deriva, in cui soffrono tutti. E dinanzi a tutto questo la destra al governo continua a creare nuovi reati, ad aumentare le pene, a mettere sempre più persone “dentro”… c’è poi un punto specifico che riguarda i CPR per i migranti.
Vale a dire?
Sembra che ogni provvedimento sia buono per mettere qualcosa di negativo sui CPR. Non è bastato allungare a 18 mesi la detenzione massima, non è bastato mandare i minori in luoghi per adulti, non è bastato inventarsi il CPR extraterritoriale in Albania. Oggi, si inserisce nei CPR anche quella norma obbrobriosa della resistenza passiva non violenta, equiparata alle azioni violente, e si introduce anche la semplificazione delle procedure per la loro realizzazione, localizzazione e ampliamento, in deroga ad ogni disposizione di legge, salvo quelle antimafia (e menomale, almeno quelle). Noi non capiamo perché ci sia questa ossessione su questi luoghi, che nascono come trattenimento amministrativo e non come centri di detenzione. E, invece, sono stati trasformati in luoghi disumani: tante ispezioni hanno dimostrato l’inadeguatezza e la mancanza di requisiti minimi e la violazione dei diritti umani che avviene in quei luoghi. Un esempio drammatico, su cui sarà necessario indagare è cosa sia accaduto nel CPR di Potenza, a Palazzo San Gervasio, dove il 4 agosto, un ragazzo di 22 anni, Oussama Darkaoui, è morto. Ancora non sappiamo per quale motivo e in quali circostanze. Ma troppe cose non tornano. Questi luoghi vanno chiusi, non vanno moltiplicati in deroga alle leggi.
La sinistra è consapevole della gravità della situazione?
Credo che questo governo e questa maggioranza stiano operando una pericolosa escalation su questi temi. Mi sembra che stia crescendo una maggiore consapevolezza della gravità della situazione che stiamo vivendo. La propaganda di destra prova a rispondere alle difficoltà quotidiane delle persone moltiplicando reati, carcere, e provando così a dire “ci stiamo occupando di voi”. Ma in un tempo di guerra, terrorismo, violenza diffusa, si può fare un “decreto sicurezza” con questi contenuti? Penalizzare chi blocca una via per manifestare è chiaramente un atto contro studenti e lavoratori (e uno strumento per minacciarli e bloccarne la legittima protesta); mettere in carcere donne incinte e bambini, norma superata perfino dal codice Rocco del 1930, è una esplicita vendetta, teorizzando “che donne e bambini sfruttati, forse è meglio che stiano in carcere”; queste ed altre norme contenute in questa e precedenti leggi, aumentano una proposta di Stato punitore, stravolgendo ruolo e visione delle forze dell’ordine e aumentando odio sociale soprattutto nei confronti di chi pretenderebbe di esercitare la libertà di protestare e dissentire. È evidentemente qualcosa di molto grave e pericoloso per chi crede alla nostra civiltà giuridica e alla nostra libertà sancita dalla Costituzione. Al riguardo mi permetta una nota di preoccupazione: la tragica afonia (in alcuni casi la clamorosa assenza) di alcuni colleghi che in altri momenti si prodigano in lezioni di diritto e garantismo… inizio a temere che per loro sia un po’ a senso unico, cioè solo per i ricchi o i loro amici: della serie “la legge non è uguale per tutti”. In Parlamento abbiamo fatto una buona opposizione, spiegando bene l’obbrobrio giuridico contenuto in queste norme, ma la maggioranza non ha minimamente aperto a nessuna interlocuzione. Ora dobbiamo spiegarlo ai nostri concittadini, spiegando che alcune norme colpiranno anche loro o i loro figli e che comunque l’abbassamento dei diritti di alcuni non è qualcosa di cui gioire o disinteressarsi: oggi sono colpiti alcuni, domani potrebbe toccare a te.
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