NEW YORK. Solo qualche mese fa sarebbe stato difficile da immaginare un comunicato di sostegno all’Ucraina senza alcun riferimento agli aiuti militari. È l’ennesima prova che qualcosa nell’approccio del governo italiano è cambiato. Che Giorgia Meloni viva ormai come un problema le armi promesse a Kiev è certificato da una concatenazione di eventi accaduti in poche ora tra New York e Roma.
L’assemblea generale Onu e la nota di Palazzo Chigi
Uno in particolare: nel pomeriggio americano di mercoledì, a margine dell’Assemblea generale Onu, i leader si ritrovano a un incontro dedicato all’Ucraina, organizzato dal presidente americano Joe Biden e alla presenza di Volodymyr Zelensky. È un formato che coinvolge i Paesi G7, i vertici dell’Unione europea e altri partner internazionali. Nonostante quest’anno sia l’Italia a guidare il Gruppo dei Sette, Meloni non c’è, partecipa in videocollegamento da Roma, dove è atterrata poche ore prima.
Al termine della riunione viene pubblicato un comunicato congiunto, «una dichiarazione coordinata dalla presidenza italiana», e quasi contemporaneamente Palazzo Chigi esce con una nota che sintetizza i contenuti del vertice. Confrontandoli salta all’occhio un particolare. Nella nota italiana si evita il riferimento alle armi inviate agli ucraini. C’è scritto: «Al centro della riunione, la riaffermazione dell’impegno congiunto ad assicurare, bilateralmente e attraverso i meccanismi multilaterali, l’assistenza economica all’Ucraina, con particolare attenzione alle riforme. È stato, infine, ribadito il sostegno alla protezione e riabilitazione delle infrastrutture critiche energetiche, nonché il coordinamento sulla ricostruzione». Nessuna traccia degli aiuti militari che invece sono resi espliciti nella dichiarazione congiunta del G7, al punto 3, dove si fa riferimento all’accordo politico che prevede di destinare a Kiev 50 miliardi provenienti dagli asset russi congelati in Europa: «Parte di questi fondi – confermano i sette – sarà destinata al sostegno militare all’Ucraina. Manterremo la solidarietà nel nostro impegno a fornire questo supporto all’Ucraina».
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Il raffreddamento sull’Ucraina
La scelta di cancellare le armi dalla nota italiana è solo l’ultima tappa di una strategia di progressivo raffreddamento sull’Ucraina e di contestuale riavvicinamento alle ragioni di Donald Trump, il candidato repubblicano che promette di portare la pace nelle sue prime 24 ore di presidenza, se tornerà alla Casa Bianca. Meloni ha scelto di lasciare New York con un tempismo perfetto. Lo ha fatto proprio mentre Trump si scagliava – in maniera mai così dura ed esplicita – contro Volodymyr Zelensky, e chiamava Vladimir Putin «un amico», nelle stesse ore in cui invece Joe Biden annunciava che Washington avrebbe rifornito la resistenza ucraina di armi a lungo raggio, e dunque in grado di colpire in territorio russo. Entrambi i fatti, in maniera diversa, rappresentano una fonte di imbarazzo per la premier italiana. Nel riposizionamento che sta adottando in attesa del voto americano, Meloni è costretta a un equilibrismo che rischia di passare per ambiguità. In America, come ha notato anche il Wall Street Journal, quotidiano molto letto dai conservatori, è arrivata con l’intenzione di riallacciare i legami sentimentali con il mondo Maga (Make America Great Again), il cuore pulsante della destra trumpiana che ha ormai egemonizzato il partito repubblicano. La sovranista italiana che un tempo volava negli Usa con il cappellino di Trump e partecipava alle convention degli ultranazionalisti globali è diventata presidente del Consiglio. Per riavvicinarsi a Trump ha usato il palcoscenico del premio all’Atlantic Council e i riflettori condivisi con Elon Musk, finanziatore e sponsor numero uno di Trump, a suo modo diventato punto di contatto tra la destra europea e il tycoon. L’uomo più ricco della terra, fondatore di Tesla, e padrone di X, il social diventato cassa di risonanza della propaganda trumpiana, non è mai stato tenero con Zelensky e con le sue pressanti richieste di aiuti. Toni e argomenti contro il presidente ucraino identici a quelli usati da Trump nelle ultime ore: «Un piazzista – così lo ha definito l’altro ieri – Rifiuta ogni accordo di pace ma continua a prendere soldi e armi dagli americani». Dichiarazioni da cui, in teoria, per essere conseguente a se stessa, la premier italiana dovrebbe prendere le distanze. Ma nelle ore in cui Trump bistrattava verbalmente il presidente ucraino, succede anche altro. È arrivato il via libera, molto atteso, di Biden sui missili a lungo raggio.
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I missili a lungo raggio per Kiev promessi da Biden
Una scelta che pone in una posizione difficile Meloni, ancora più scomoda in patria dove l’alleato leader della Lega Matteo Salvini vorrebbe fermare i rifornimenti diretti a Zelensky e vietare l’uso delle armi in Russia. E dove timori e lamentele si stanno estendendo anche ai vertici della Difesa. Il ministero ha lanciato un allarme attraverso il Documento programmatico pluriennale per il triennio 2024-2026, dove si descrive un «quadro generale economico-finanziario di incertezza» che pesa sulle Forze armate per l’impegno a supporto dell’Ucraina, «non adeguatamente compensato con un flusso di risorse» destinato alla Difesa. Nel suo intervento in videocollegamento al vertice di New York, Meloni ha ricordato i nove pacchetti di aiuti militari e l’invio di una seconda batteria di Samp-T, che sta già transitando dalla Polonia verso l’Ucraina. Tutto materiale già previsto. Niente di nuovo. Un modo per giustificare la freddezza sulle armi degli ultimi mesi e che rende legittima una domanda: con chi sta Meloni? Con Biden o con Trump e Musk che liquidano Zelensky come un accattone di missili e caccia?