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Le 625 pagine dell’informativa finale dei carabinieri di Crotone tracciano tempi e modi del naufragio attraverso le conversazioni tra gli operatori della Finanza e della Guardia costiera

di Giusi Fasano

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Un’informativa di 625 pagine per ricostruire la strage di Cutro, il 26 febbraio 2023. La firmano i carabinieri del Reparto Operativo e del Nucleo Operativo del comando provinciale di Crotone, e da ieri è a disposizione dei legali delle famiglie dei 94 morti. i militari, su indicazione della procura di Crotone, ripercorrono orari, incrociano dati, telefonate, richieste, mappe. E ripercorrono il «percorso», chiamiamolo così, della strage anche attraverso le chat di finanzieri e guardia costiera.

Ecco quelle più interessanti:
Alle ore 07:22. Le notizie dei morti che crescono sempre più sulla spiaggia di Cutro sono ormai sui tg di mezzo mondo. il Ten. Col. Alberto LIPPOLIS (comandante della finanza di Vibo Valentia) manda 3 messaggi al Ten. Col. Nicolino VARDARO, al comando del Gruppo aeronavale di Taranto per la Guardia di Finanza. Scrive: “una tragedia” … La barca si è disintegrata” … Stavo meditando sul fatto che potrebbe capitare con i ns militari a bordo”. Il Ten. Col. VARDARO Nicolino risponde alle ore 07:26: “Alberto purtroppo potrebbe succedere di tutto. I rischi sono dietro l’angolo”.

 

«Ma la Capitaneria di porto non ha preso nessuna iniziativa?» LIPPOLIS risponde con un messaggio «Alla Capitaneria l’abbiamo… ne abbiamo richiesto l’intervento già a mezzanotte, hanno dato la disponibilità ma non sono mai usciti, dopo che noi siamo rientrati gliel’abbiamo fatto comunicare, gliel’ho fatto mettere a brogliaccio, dice “guarda noi non ce la facciamo valuta tu seppur per uscire”… evidentemente hanno ritenuto che non essendo stata fatta una chiamata di soccorso, le foto di Eagle 1 hanno mostrato l’ottima galleggiabilità del mezzo e l’assenza di persone a bordo ancorché sotto era caldo e quindi… non hanno ritenuto di uscire però, insomma, abbiamo richiesto tutto eeh! Abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare…».

Non la pensano esattamente così in procura. Sia Lippolis sia Vardaro sono fra gli indagati. Non è stato chiesto né fatto tutto quello che serviva chiedere e fare, secondo il pubblico ministero Pasquale Festa e il procuratore Giuseppe Capoccia. Già dal primo giorno, comunque, è evidente – in particolare dalle chat – la finanza e la Costiera si rimpallano le responsabilità del mancato intervento.

Quando la strage è ormai compiuta, alle 05:02, sul gruppo Whatsapp del Reparto operativo aero navale della Finanza di Vibo Valentia il tenente Gaetano BARBERA (non indagato) posta 2 screenshot di uno scambio di messaggi avuto con il Capitano di Corvetta Giovanni Paolo ARCANGELI, vicecomandante della Capitaneria di Crotone (anche lui non indagato). Scrive il capitano: «La barca dei migranti che stava arrivando è a 40 metri da Steccato di Cutro. Sta uscendo la 321 ma se sono troppo sotto costa non può avvicinarsi».

E Barbera risponde seccato: «Vi abbiamo avvisato parecchio tempo prima perché noi abbiamo provato a dirigere sul target senza riuscirvi. La vostra Sala operativa ha riferito che non avrebbe inviato alcuna unità perché non c’erano richieste di soccorso. Adesso che il target è prossimo a spiaggiare fate uscire l’unità. Mah…». Mandato in chat lo screenshot di questa conversazione, Barbera commenta con i suoi via messaggio: «Sono fulminati».

Tragedia di Cutro, nelle chat tra Guardia di Finanza e Capitaneria di porto il rimpallo di responsabilità: «So’ migranti»

Gli inquirenti citano tutte le volte che, via telefonino, i sei indagati e altri operativi quella notte hanno parlato di migranti: per dimostrare che era noto il carico umano del caicco in navigazione verso le coste calabresi, anche se dalle immagini di Frontex si era visto una sola persona sulla barca.
Per esempio un luogotenente della Finanza. All’1.50 del 26 febbraio risponde a una sua amica preoccupata per il «vento bruttissimo» e replica: «E qui una barca di migranti in arrivo». Alle 2.06 di quella notte il comandante Vardaro manda un messaggio privato e per giustificare la sua risposta non tempestiva scrive: «Lavoro per dei migranti».

Poco prima di mezzanotte è invece il comandante Lippolis a inviare al suo maggiore il messaggio che dice: «So’ migranti», e subito dopo: «Un mesetto tranquillo». Il maggiore risponde che «In realtà non si è visto nessuno ma è una barca tipica». E Lippolis: «Sotto il flir è nero».
(significa che il rilevamento a infrarossi mostrava che sotto coperta c’era molta gente, anche se Frontex aveva visto dall’aereo soltanto una persona, ndr).

Torniamo sulla chat del Reparto operativo della Finanza di Vibo Valentia: il mattino della strage le tivù intervistano il dottor Amodeo, attivista pro-migranti. Nei messaggi un iscritto alla chat chiede al tenente Gaetano Barbera: «Gaetano conosci il dottor Amodeo? Ex polizia. Parole molto dure». E il tenente risponde: «Lasciamo stare». Interviene qualcun altro che scrive: «Restiamo lucidi. Non guardiamoli. Ci facciamo meno fegato amaro».

Tragedia di Cutro, nelle chat tra Guardia di Finanza e Capitaneria di porto il rimpallo di responsabilità: «So’ migranti»

Nei giorni immediatamente dopo la strage le centrali operative di Guardia Costiera e Guardia di Finanza cercano di mettere a fuoco eventuali passi falsi, quello che non ha funzionato. L’intervento sulla Summer Love segnalata da Frontex la sera del 25 febbraio è stato messo in conto come un intervento di polizia, law enforcement (iniziativa della Finanza) e non come Sar, cioè un intervento di soccorso che avrebbe costretto la Costiera a uscire con i suoi mezzi.

E ancora una volta, anche su questo argomento, è la Guardia di Finanza a rivelare i dettagli più importanti nella sua chat di gruppo. Scrive uno di loro, Francesco Mandarini (non indagato): «La sala operativa è il nostro tallone d’Achille». Risponde il maggiore Pasquale Caiazza (non indagato): «Sono pienamente d’accordo. Alcune comunicazioni cruciali mancavano alla mia prima revisione domenica mattina. Questo dev’essere evitato, specie per la tutela dei nostri operanti».

 

È sempre Francesco Mandarini a scrivere poi un messaggio che parla della Guardia Costiera: «Sono in fibrillazione. Al loro interno presumo che avranno già condannato colui che ha valutato di non far uscire nessuna unità osservando pedissequamente il loro protocollo». Barbera risponde con l’emoticon del pollice alzato. E Mandarini riprende il discorso: «Quante volte sono usciti dicendo che trattavano l’avvistamento come un evento Sar pur non avendo ancora elementi certi per affermarlo?». Il maggiore Caiazza prova a ragionare su quel che è successo: «Noi siamo usciti per law enforcement. Loro non sono usciti perché nessuno ha dichiarato Sar né c’erano richieste di soccorso. Per il fatto che altre volte hanno prevalicato la loro missione istituzionale non significa che ora hanno sbagliato…».

La procura ha sentito a verbale anche il Col. Alberto CATONE (non indagato), ex comandante del Reparto operativo della Guardia di Finanza di Vibo Valentia fino a circa un anno prima della strage. Motivo: il contenuto di un suo messaggio ritrovato nella chat di gruppo del Reparto. Il comandante in quel messaggio si preoccupava che la capitaneria potesse accreditarsi con Frontex e con il governo come polizia del mare togliendo quel ruolo alla Finanza. Da qui, secondo i magistrati, la creazione di una sorta di schema fisso: per le segnalazioni sui migranti si esce per operazioni di law enforcement e la capitaneria interviene soltanto se viene dichiarato evento Sar.

Nell’informativa ci sono anche le deposizioni di chi è stato ascoltato dal pubblico ministero Pasquale Festa per le indagini. Dura la ricostruzione del capitano di vascello Gianluca D’Agostino (non indagato), capo Centro Operativo Nazionale della Guardia Costiera di Roma di turno la notte del naufragio. «Non ritenevo che le condizioni fossero tali da far scattare il piano Sar. Ritengo che il nostro unico errore sia stato quello di fidarci della Guardia di Finanza che ci ha dato informazioni mendaci».

Sorgente: Le chat della Guardia di Finanza dopo la strage di Cutro: «Non guardiamo la tv, non facciamoci il fegato amaro» | Corriere.it


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