Di Marina Calculli
Israele ha lanciato ottantacinque tonnellate di esplosivo su una delle aree più densamente popolate di Beirut il 26 settembre, facendo collassare sei palazzi residenziali in pochi secondi. Non si contano ancora le vittime civili, i cui corpi sono stati letteralmente vaporizzati nell’esplosione che era destinata a Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah amatissimo dalla sua base e rispettato dai suoi rivali. Israele conduce la guerra come in un videogioco: la realtà ha ormai superato la fantasia.
Ed esulta per averlo «eliminato»: uno schema di azione e retorica che si ripete assassinio extra-giudiziario dopo assassinio extra-giudiziario in una regione che Israele considera come uno spazio privo di norme, soggetto al suo libero arbitrio, non un territorio abitato da esseri umani e politicamente organizzato in stati sovrani, dove la guerra ha delle regole da applicare verso i combattenti e soprattutto verso i civili. Non poteva essere più esplicito il ministro israeliano Amichai Chikli quando ha designato su X il sud del Libano come un territorio di «popolazioni sciite ostili» e il Libano come «entità» che «non soddisfa le caratteristiche per essere chiamato stato». Il discorso si estendeva anche a Siria e Iraq, liquidate come creazioni del colonialismo europeo «non sopravvissute alla prova della storia». A fargli eco, Netanyahu, che nel suo nauseante discorso di fronte a un’Assemblea generale quasi vuota (la maggior parte dei diplomatici ha boicottato il suo discorso) ha mostrato una delle sue fantomatiche mappe in cui la Palestina non esiste già più e il Libano, la Siria, l’Iraq, l’Iran e lo Yemen sono un’enorme entità ostile da cui Israele deve difendersi. Israele si difende sempre, non attacca mai. Ma il suo «diritto all’autodifesa» non ha confini concettuali, territoriali e normativi.
La redazione consiglia:
Il Libano è nuovamente un laboratorio in questo senso (e un segnale all’intera regione mediorientale), dove Israele sta cercando di rimodellare lo spazio e l’ordine politico in modo da renderlo funzionale ai suoi interessi politici.
Al di là delle parole di Chickli, c’è un vero e proprio dibattito sulla «reale statualità del Libano» in Israele (come se questo fosse un dibattito legittimo nel XXI secolo) che ci dice moltissimo di questa «sperimentazione».
Israele è intenzionata a far capitolare l’intero sistema istituzionale e politico libanese, mentre già si prepara a una nuova occupazione del paese che «corregga» quello che in molti in Israele vedono come «l’errore» del 18 maggio 2000: il giorno in cui Israele ritirò le sue truppe dal Libano, mettendo fine a diciotto anni di occupazione militare.
Da circa un decennio Israele ha progressivamente cambiato retorica rispetto alla guerra del 2006, in cui il suo rivale era Hezbollah e non Libano. Oggi Israele prende di mira tutto il Libano che considera come «controllato da Hezbollah». Parla del ministero della salute (che comunica i dati delle vittime delle sue aggressioni) come «controllato da Hezbollah», nonostante il suo ministro Firass Abiad sia politicamente un rivale del partito di Dio. Ma la verità conta poco – si sa – nella propaganda di guerra. Tuttavia, a leggere bene tra le righe della propaganda, spesso ci si trovano tracce di verità.
Quando Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano, qualche giorno fa, scriveva che «Hezbollah controlla il governo del Libano e non può sopravvivere senza supporto popolare», rendeva esplicita per una volta l’ossessione dell’establishment militare e politico israeliano: la base popolare che Hezbollah ha consolidato, ufficializzato e reso visibile attraverso la sua partecipazione politica all’interno del sistema istituzionale libanese.
Quello che Israele, assieme agli Stati uniti, non accettano è che Hezbollah sia parte integrante del tessuto sociale e politico del Libano, perché è qualcosa che non possono rimuovere militarmente, a meno di non distruggere l’intero ordine sociale, politico e istituzionale libanese. La strategia è esattamente la stessa che Israele sta portando avanti a Gaza dove, nell’impossibilità di eliminare militarmente Hamas, sta distruggendo ciò che rende Hamas rilevante nel suo contesto: l’intera società ma anche e il territorio di Gaza con le sue risorse, in modo da renderlo incompatibile con la vita.
Israele ha realizzato nella guerra del 2006 che la vera forza di Hezbollah non sono le sue armi. Da allora, ha cominciato a prepararsi a una guerra contro i civili. Da anni li chiama preventivamente «scudi umani». Netanyahu, dal palco dell’Assemblea generale, ha annunciato il suo ennesimo crimine di guerra, dicendo che «in ogni cucina di ogni casa del Libano c’è un missile di Hezbollah»: una propaganda grossolana che farebbe ridere se non fosse destinata a giustificare quella che il premier libanese Mikati ha giustamente definito «una guerra genocidaria» contro il Libano intero. Nell’impossibilità di sradicare Hezbollah, Israele sta cercando – con il pieno sostegno degli Stati uniti – di cancellare il Libano dalla mappa.
Sorgente: Laboratorio libanese. Il vero obiettivo è ridefinire uno stato intero | il manifesto
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