La dedollarizzazione è un fenomeno che sta gradualmente rimodellando l’equilibrio geopolitico e finanziario globale, mettendo in evidenza le vulnerabilità del sistema economico internazionale basato sul dollaro USA. Sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il dollaro ha giocato un ruolo centrale come valuta di riserva globale, consolidato dagli accordi di Bretton Woods e dalla forza economica, politica e militare degli Stati Uniti. Tuttavia, vari fattori hanno contribuito a una lenta erosione della sua supremazia, spingendo diverse potenze a cercare alternative.
Tra i principali protagonisti di questa trasformazione vi è la Cina, che con la sua crescente influenza economica ha messo in discussione il predominio del dollaro, promuovendo l’uso del renminbi (RMB) in numerosi accordi bilaterali e multilaterali. L’introduzione del sistema di pagamento CIPS da parte della Cina, che offre un’alternativa al sistema SWIFT, ha rafforzato il ruolo del RMB come valuta per gli scambi internazionali, soprattutto con Paesi che cercano di ridurre la loro dipendenza dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.
Altre economie emergenti, come Russia, India e Brasile, hanno adottato strategie simili, siglando accordi commerciali che prevedono il pagamento in valute nazionali anziché in dollari. La Russia, in particolare, dopo le sanzioni imposte dall’Occidente in risposta all’invasione dell’Ucraina, ha intensificato gli sforzi per de-dollarizzare la sua economia e quella dei suoi partner commerciali, con un aumento significativo delle transazioni in rubli e yuan con la Cina e altre nazioni.
Anche l’India ha promosso l’uso della rupia nei pagamenti internazionali, mentre il Brasile ha iniziato a diversificare le proprie riserve valutarie con un maggiore ricorso al RMB e all’oro. Un altro fattore accelerante della dedollarizzazione è stato l’uso del dollaro come arma geopolitica da parte degli Stati Uniti, attraverso l’imposizione di sanzioni economiche e il congelamento delle riserve valutarie di Paesi come Iran, Venezuela, Afghanistan e Russia. Questa “weaponization” del dollaro ha spinto molti Paesi, anche quelli tradizionalmente non ostili agli Stati Uniti, a cercare alternative per evitare di essere vulnerabili alle decisioni politiche di Washington.