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VITTIME DI GAZA: NEGATO L’ACCESSO ALLA GIUSTIZIA ITALIANA DAL
TRIBUNALE DI ROMA. I DIFENSORI PREANNUNCIANO RECLAMO
IL GOVERNO AMMETTE: LA CONSEGNA DI ARMI AD ISRAELE CONTINUA
Roma, 07.06.2024. Con ordinanza del 30.05.2024 il Tribunale Civile di Roma, Giudice Dott. Mario
Tanferna, ha rigettato il ricorso del 29.03.24 con il quale un cittadino palestinese di Gaza, il Sig.
Salahaldin M. A. Abdataly, ha chiesto al Giudice di ordinare allo Stato italiano di interrompere ogni
esportazione di armi e materiali di armamento verso lo Stato di Israele, di vietare l’uso delle basi in
Italia per operazioni belliche a Gaza, di riprendere i finanziamenti all’UNRWA, di fare quanto
possibile a livello internazionale per non essere complici del genocidio e/o di crimini di guerra e
contro l’umanità commessi dall’esercito israeliano a Gaza.
Nel ricorso presentato in via di urgenza il Sig. Salahaldin, riuscito a fuggire in Egitto insieme ai
suoi figli ed alla moglie dopo aver visto morire sotto le bombe diversi suoi familiari fra i quali
anche una nipote di due anni, rilevava tutto il suo timore per l’incolumità degli affetti (famigliari,
amici) rimasti nella Striscia, nonché per la sistematica distruzione della sua comunità e di qualsiasi
struttura (abitazioni, servizi, ecc.) funzionale alla vita quotidiana sua e della sua famiglia (c.d.
“urbanicidio”).
Evocati in giudizio sono stati la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale ed il Ministero della Difesa, che hanno eccepito
principalmente il difetto assoluto di giurisdizione ritenendo che quelli oggetto di ricorso siano “atti
di natura politica” e che siano per tale motivo totalmente insindacabili .
Negli atti depositati dai Ministeri e dalla Presidenza del Consiglio si ammette formalmente che
siano proseguite, e che proseguiranno, le consegne di materiale di armamento verso Israele,
precisando che si tratterebbe di materiali residui di licenze autorizzate prima del 7.10.2023, che
sarebbero stati sottoposti ad analisi tecnica e sarebbe risultato materiale non letale e non suscettibile
di essere direttamente impiegato contro la popolazione civile; infine, si dice che si tratterebbe in
gran parte di documentazione tecnica e corsi di formazione o di materiale non offensivo.
Il Giudice si è limitato ad osservare che le richieste di tutela in via di urgenza avanzate dal Sig.
Salahaldin non possono essere decise dall’autorità giudiziaria, venendo in rilievo atti politici sottratti
ad ogni controllo, e che gli obblighi che derivano dalle convenzioni internazionali, quali quello di
prevenire crimini contro l’umanità e genocidio, riguardano solo i rapporti tra Stati.
Quanto al requisito per l’intervento d’urgenza dell’Autorità Giudiziaria consistente nella sussistenza
del pericolo di un danno grave ed irreparabile (il c.d. “periculum in mora”), nell’ordinanza si legge
che il ricorrente “si trova attualmente in Egitto palesandosi quindi insussistente il requisito del
periculum nei termini di imminenza ed irreparabilità richiesti dalla tutela cautelare in via
d’urgenza essendo oltretutto già deceduti i suoi più stretti familiari e difettando altresì l’istante di
interesse ad agire rispetto agli invocati diritti della comunità o di altri familiari superstiti”.
L’ordinanza sarà impugnata in modo che nei prossimi giorni possa essere trattata, questa volta da un
Collegio di tre giudici del Tribunale, con i caratteri dell’estrema urgenza.
Commentando alcune delle circostanze che sono emerse nel corso del procedimento, delle quali ha
riferito la difesa del Governo, i difensori del Sig. Salahaldin svolgono alcune considerazioni.
La prima tesi dell’Avvocatura dello Stato, come anticipavamo fatta propria dal Giudice, è che di
fronte ad atti che abbiano anche carattere politico non c’è alcuna possibile difesa, anche quando
questi comportino violazioni di diritti fondamentali anche costituzionalmente affermati. Insomma,
l’Esecutivo rivendica la sua autonomia e l’insindacabilità delle sue decisioni, anche se queste
dovessero comportare la violazione di diritti e principi fondamentali. Una tesi in verità piuttosto
datata, secondo l’Avv. Gianluca Vitale, membro del team difensivo del Sig. Abdalaty in quanto
“superata da sentenze anche della Corte Costituzionale, e soprattutto pericolosa: assolutamente
intoccabile deve essere il principio della separazione dei poteri; tuttavia, anche il potere esecutivo
(ormai pressoché esautorato e svuotato quello parlamentare) non può agire senza limiti, non può
essere onnipotente, soprattutto di fronte ai limiti che la Costituzione e le norme in tema di diritti
fondamentali impongono (si pensi proprio alla Convenzione contro il genocodio, che allora con
atto politico si potrebbe commettere; peraltro il Tribunale dimentica che anche una norma interna,
la legge 962/1967, punisce il genocodio). In breve, secondo il Governo ed il Tribunale di Roma
il potere esecutivo sarebbe libero di violare qualunque principio fondamentale, purché lo faccia con
atto che possa definirsi “politico”. Tesi, prosegue Vitale “che dovrebbe preoccupare tutti”.
Prosegue l’Avv. Emanuele D’Amico: con questa lettura “i crimini eventualmente commessi e i
danni conseguenti a tali crimini, anche in forma di concorso (come ipotizzato con riferimento ai
crimini in corso a Gaza), non sarebbero in alcun modo “giustiziabili” in Italia. In verità – prosegue
il giurista – in materia di diritti umani (e di conseguenza di crimini come il genocidio, i crimini di
guerra, i crimini contro l’umanità; tutti crimini che lo Stato di Israele sta probabilmente
commettendo a Gaza) sono le stesse convenzioni internazionali ad imporre di fare tutto quanto
possibile per prevenire e reprimere la commissione di tali violazioni, anche al proprio interno”.
Passando alla questione specifica del trasferimento di armi e materiale bellico verso Israele
l’Avvocatura dello Stato afferma in primo luogo che sarebbe stato sospeso, dopo il 7 ottobre, il
rilascio di nuove licenze perchè Israele rientra tra i Paesi verso i quali non possono esportarsi armi
in quanto paese in guerra in contrasto con i principi dello Statuto delle Nazioni Unite (è la legge
185/90 a vietare in questi casi l’esportazione di materiale di armamento), e che quindi
cautelativamente sarebbe stato sospeso il rilascio di nuove licenze. Questo è già un dato importante,
per l’Avv. Vitale, secondo cui pertanto “lo Stato italiano riconosce che Israele sta violando lo
statuto delle Nazioni Unite!”.
Per quanto riguarda invece le “vecchie” licenze conferma, invece, che anche dopo il 7 ottobre e
dunque dopo l’inizio della guerra contro Gaza sono stati esportati materiali di armamento, e che
queste forniture proseguiranno (peraltro le inchieste giornalistiche ci dicono che le esportazioni
sono proseguite in modo molto significativo, con decine di tonnellate di materiale giunto in Israele
negli scorsi mesi); inoltre (non avendo il Governo documentato nulla anche su questo punto) non si
capisce quali siano state le verifiche effettuate e soprattutto come si possa escludere che materiale
non offensivo venga comunque utilizzato dalle forze armate israeliane per finalità connesse alle
operazioni belliche e di aggressione a Gaza. L’Avv. Stefano Bertone sul punto mette in luce che il
Governo si è ben guardato dal documentare “quali sarebbero state queste verifiche, da chi e come
sarebbero state svolte, come e da chi sarebbe stato valutato (e che cosa significhi veramente) che
un armamento non sia in grado di colpire direttamente la popolazione civile”. Soprattutto –
prosegue Bertone – “me lo chiedo a fronte delle modalità agghiaccianti, ripugnanti con le quali
Israele bombarda indistintamente qualunque essere vivente che si muove all’interno della Striscia
di Gaza: vorrei davvero incontrare l’esperto italiano che sta svolgendo queste verifiche, chiedergli
quali sono le informazioni che ha ricevuto, chi gliele ha date, e poi presentarlo al nostro cliente”.
Gli avvocati, in ogni caso, ricordano che una volta che lo stesso Governo ammette di non poter
inviare armi ad Israele perché impegnato in un conflitto bellico, non deve più e non avrebbe più
dovuto farlo sotto ogni forma, inclusi la “documentazione tecnica” ed i “corsi di formazione”
essendo chiaro che anche quei materiali tecnici siano utili per la riuscita delle operazioni militari.
Per quanto riguarda i finanziamenti all’UNRWA, l’Avv. Bona ha così commentato: “nella memoria
dei ministeri ci si limita a richiamare alcune dichiarazioni del sottosegretario Matteo Perego di
Cremnago alla Camera, che ha dichiarato che il Governo avrebbe deciso di riaprire i finanziamenti
su progetti specifici; il Ministro Tajani, peraltro, ha recentemente dichiarato che il Governo
starebbe valutando di riprendere i finanziamenti con 5 milioni di euro; ma ha anche precisato che i
finanziamenti andrebbero per 2 milioni a progetti in Cisgiordania e per 3 milioni per progetti in
Siria, Libano e Giordania. Neanche un euro, dunque, per progetti di aiuto alla popolazione
martoriata di Gaza”?
Nonostante queste difese risultassero vaghe, prive di supporto documentale e recanti dati discutibili,
il Tribunale ha ritenuto di respingere tutte le richieste del Sig. Salahaldin, tra l’altro affermando che
non vi sarebbe prova del nesso di causalità fra, da un lato, i trasferimenti di materiali di armamento,
il blocco dei finanziamenti all’UNRWA, il perdurante appoggio che l’Italia fornisce ad Israele in
qualunque sede internazionale (dall’ONU al G7 all’Unione Europea), e, dall’altro lato, quello che
succede a Gaza e le condotte di Israele (probabilmente genocidiarie, secondo la Corte
Internazionale di Giustizia; quanto meno connotate da commissione di crimini di guerra e contro
l’umanità, secondo il Procuratore della Corte Penale Internazionale).
Il Tribunale di Roma non ha poi compreso che il Sig. Salahaldin non si lamentava solo della
uccisione (in un colpo solo) di madre, fratello, sorella, cognata e nipotina di 2 anni ma al contrario
chiedeva l’intervento del giudice italiano, tramite l’ordine all’Italia di svincolarsi da tutte le
condotte complici con Israele, perché riducesse i rischi che anche gli altri familiari a Rafah e Khan
Younis venissero uccisi e affinché lui stesso potesse ritornare nella sua terra e vivere e godere lì dei
suoi diritti umani fondamentali
Eppure nel ricorso e nei successivi scritti difensivi si era evidenziato che molti familiari sono ancora
all’interno della Striscia di Gaza, esposti a continui rischi di morte, e che il danno atteneva anche
all’urbanicidio in corso, con distruzione di un’intera comunità di persone, di abitazioni e di ogni
tipo di servizio, anche quelli più basilari, per lo svolgimento dell’attività quotidiana. Ogni giorno
che passa viene ulteriormente minata la possibilità per il Sig. Salahaldin e la sua famiglia di tornare
a vivere nel proprio Paese.
La netta presa di posizione a favore del Governo emerge anche dalla ingiusta se non punitiva
condanna del Sig. Salah alle spese di giudizio (per più di 7.000 € complessivi), non solo atteso il
diniego assoluto di accesso alla giustizia pur dinanzi a gravissime violazioni dei diritti fondamentali
suoi e della sua famiglia, ma anche in ragione della particolare situazione in cui si è trovato e dei
suoi obiettivi degni del massimo rispetto. Stupisce che il Tribunale non abbia neppure inteso di
compensare le spese di lite fra le parti.
In questo quadro gli avvocati ricordano ancora che la motivazione (al netto delle intestazioni e dei
richiami formali alle domande del ricorrente) è lunga appena di 71 righe, a fronte di un ricorso
introduttivo di 33 pagine, di oltre 20 pagine di difese dell’Avvocatura dello Stato, e di centinaia di
pagine di documenti a supporto fra convenzioni ed ordinanze di Corti internazionali ed europee,
dati sull’export di armi, aggiornamenti sulla mortalità nella Striscia di Gaza, ecc.
Sintomatico dell’approccio del Tribunale al caso proposto dal Sig. Salahaldin, per l’Avv. Bertone, è
che “pur essendo un procedimento di urgenza ex art. 700 il Tribunale di Roma ha deciso solo due
mesi dopo la proposizione del ricorso”. “Ricordo solo” – prosegue Bertone “che quando due fazioni
della disciolta Democrazia Cristiana litigarono per lo svolgimento di un convegno, il Tribunale di
Roma rinviò per l’udienza a 33 giorni, la metà. Ma a parte questo caso, avevamo dimostrato al
Tribunale che i tempi medi di attesa erano in Italia di 20 giorni”.
Il Sig. Salahaldin M. A. Abdataly provvederà quindi ad impugnare l’ordinanza romana per tentare
di ridare forza allo “Stato di diritto” e di interrompere o perlomeno disicentivare ogni condotta da
parte dell’Italia che possa anche solo continuare ad agevolare la commissione dei gravi violazioni
dei diritti umani nella Striscia di Gaza.
Gruppo di comunicazione del caso Gaza Italia.
Informazioni di contatto: [email protected]


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