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La Cassazione il 9 maggio ha respinto la richiesta di tre imputati condannati il 7 marzo 2020 a un mese e dieci giorni di reclusione dalla Corte d’Appello di Milano: non è ammessa l’ “attenuante” delle “finalità commemorative” e di avere agito “per motivi di valore morale o sociale”

di Paolo Berizzi

Dunque l’immunità “da cordoglio” è caduta. I camerati che non riusciranno a resistere alla tentazione di tendere il braccio nel saluto romano dovranno tenere conto che il pretesto-alibi-paracadute della commemorazione funebre non regge più: e che gli autori di quel gesto codificato dai legionari fiumani di D’Annunzio, dal regime fascista, dal nazismo commettono un reato e sono da perseguire e condannare. In sostanza – ha stabilito la Cassazione il 9 maggio respingendo la richiesta di tre imputati condannati il 7 marzo 2020 a un mese e dieci giorni di reclusione dalla Corte d’Appello di Milano – non è ammessa l’ “attenuante” delle “finalità commemorative” e di avere agito “per motivi di valore morale o sociale” .

Accolta come fosse una decisione sorprendente – e in qualche modo, anche se sembra paradossale, lo è – la sentenza della Corte Suprema sul ricorso di tre neofascisti intruppati nel rito del “presente!” a Milano per Sergio Ramelli, Carlo Borsani e Enrico Pedenovi, riafferma un principio che in una democrazia repubblicana nata dalla Resistenza e dalla Liberazione dal nazifascismo dovrebbe essere acquisito. Se non scontato. Questo: non può e non deve esistere alcuna attenuante per chi, schierato in assetto paramilitare, in corteo, assembrato in una pubblica via, luogo pubblico, cimitero, stadio, piazza, si esibisce nel saluto caro a Mussolini e Hitler. Finalmente. Ribaltando un precedente pronunciamento della stessa Corte (2018), ricordando che il “presente!” e le braccia e le dita della mano distese sono figli del dizionario di politica edito dal Partito nazionale fascista del 1940, gli ermellini tracciano ora una linea di separazione netta. Ridisegnano il confine tra lecito e illecito, memoria e propaganda, legittimo cordoglio e riproposizione dell’estetica che richiama direttamente il passato peggiore dell’Italia fascista alleata della Germania nell’abisso della seconda guerra mondiale.

La sentenza del 9 maggio arriva certamente in ritardo, sì. Ma per capire quanto e perchè sia necessaria in questo momento basta pensare al tempo che stiamo vivendo. Un tempo nel quale pare che la pregiudiziale sul fascismo sia gradualmente venuta meno, anche nel discorso pubblico, per lasciare pericolosamente spazio a un subdolo a-fascismo alimentato dagli sforzi revisionisti di alcuni politici, anche di primissimo piano, lanciati nella sfida oltraggiosa della riscrittura della storia, delle picconate alla Costituzione sulla quale hanno (sper)giurato, dello smantellamento della religione laica dell’antifascismo.

Pensateci. Per quanto tempo e in quante occasioni i neofascisti hanno danzato sul velluto steso dalle archiviazioni e dalle assoluzioni decise dai tribunali? Quante braccia si sono alzate, in questi anni, per commemorare i “camerati” caduti: Benito Mussolini, Farinacci, Muti, i gerarchi, i soldati e i torturatori della Rsi, e poi Acca Larenzia, e certo il Ramelli nel “29 aprile” milanese andato di nuovo in scena pochi giorni fa, mille braccia tese e il grido “presente!” scandito in mezzo al traffico della sera. Da Predappio a Salò, da Roma a Milano, Cremona, Ravenna, Dongo e Giulino di Mezzegra – era domenica scorsa: teste rasate e vecchi nostalgici, associazioni reducistiche, arditi, ultrà neofascisti, militanti di gruppi e movimenti neri. Saluti fascisti in libertà. Come sdoganati, in sostanza “permessi” perché infilati nello spazio stretto delle oscillazioni delle sentenze dei tribunali e, a volte, nella tollerante distrazione delle forze dell’ordine.

Tra coloro che dovranno considerare la recentissima Cassazione ci sono anche esponenti e militanti di partiti di governo, Fratelli d’Italia su tutti. Come non ricordare, tra i tanti episodi, la fotografia in posa fascista dei quadri e militanti napoletani il 31 dicembre 2021? O il saluto romano di – sembra uno scherzo delle parole, nomen omen – Romano La Russa, assessore regionale alla sicurezza di FdI, era settembre 2022, a un funerale, in strada, a Milano? Il più celebre fratello Ignazio Benito, presidente del Senato, seconda carica dello Stato, cofondatore di FdI, il saluto romano lo fece addirittura in parlamento, nel 2017: le immagini restano incise in rete.

Parliamo di vertici delle istituzioni. Il che significa(va) tana liberi tutti per capi, capetti, militanti e simpatizzanti di partiti, movimenti e gruppi neofascisti: Forza Nuova, CasaPound, Lealtà Azione, Fortezza Europa, Dodici Raggi, Azione frontale, e le curve nere del calcio, Lazio, Verona, Roma, Inter.

Si cambierà, ora? Che effetto avrà il verdetto della Cassazione sulle decisioni di giudici e  magistrati? Quali indicazioni darà il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, alle forze di polizia impegnate in occasione di raduni e manifestazioni? Attendiamo. Così come ci aspettiamo che i partiti che trainano il governo Meloni, FdI e Lega, facciano rispettare la sentenza anche ai loro dirigenti e militanti. Una destra moderna, non ostaggio del passato, ha il dovere di farlo.

Sorgente: Quel braccio alzato va punito – la Repubblica

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