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Berna blocca la vendita dei vecchi tank a Kiev. Si tratta per restituirli al nostro Paese

di Gianluca Di Feo

In Italia c’è una panzer-division dimenticata: un centinaio di carri armati risalenti alla Guerra Fredda e finiti nei capannoni del Nord-Est in attesa di un compratore. Tank venuti dal passato, che il conflitto ucraino ha reso preziosi scatenando le grandi manovre per tentare di farli arrivare a Kiev. Il governo Zelensky ha bisogno di mezzi corazzati pesanti ma negli arsenali europei ne sono rimasti pochi e nessuno li produce. E di fronte alla necessità di fronteggiare le colonne russe, è ben felice di accettare modelli d’altri tempi. Ieri infatti la Germania ha annunciato che consegnerà trenta Leopard 1A5, l’ultima versione di un mezzo risalente agli anni Sessanta. Nonostante l’età, ha ancora un valore bellico: è veloce, ha un cannone da 105 millimetri, con strumentazioni per mirare e sparare in movimento.

 

Molti lo ricordano anche in Italia: il nostro Esercito era arrivato a schierare più di mille Leopard 1 e tanti ragazzi di leva hanno imparato a guidarlo. Poi, tra il 1993 e il 1996, centoventi tank sono stati trasformati nella serie A5 con una spesa pari a 534 milioni di euro attuali per inserire torrette e apparati di puntamento più moderni. La Storia ha reso rapidamente inutile questo investimento: dall’inizio del millennio la stagione del disarmo ha amputato organici e dotazioni, trasferendo così migliaia di colossi d’acciaio in un deposito all’aria aperta. Oltre ottocento Leopard 1 sono stati allineati nei prati di Lenta, in provincia di Vercelli, già affollati da semoventi e blindati. Paradossalmente, quando sono stati tolti dal servizio i carri migliori – gli A5 appunto – non c’era più spazio e sono stati parcheggiati in un terreno paludoso. In quel periodo Germania, Belgio e Olanda ne hanno venduti parecchi ad altri Paesi Nato – soprattutto Grecia e Turchia – mentre l’Italia ha abbandonato milioni di euro nel fango, anche per l’assenza di normative e organismi in grado di permetterne l’esportazione. 

 

Soltanto dal 2015, nel timore di problemi ambientali, si è cominciato a smantellare i veicoli più vetusti mentre gli equipaggiamenti validi sono stati offerti sul mercato o spostati in piazzole a prova di inquinamento. L’anno successivo per cento Leopard 1A5 è stato trovato un compratore, abbastanza sorprendente: la Ruag, società della pacifica svizzera che prevedeva di revisionarli ed esportarli in America Latina. Il contratto è stato firmato da Agenzia Industrie Difesa, controllata dal ministero della Difesa, per un valore di quattro milioni e mezzo: 45 mila euro per ciascun tank, un prezzo da rottami. 

 

La Ruag ha affidato alle Officine Goriziane la preparazione di alcuni prototipi: un video mostra la metamorfosi di un relitto in una macchina da battaglia efficiente, portata a termine in soli 45 giorni. Poi però i negoziati con il Brasile si sono arenati e la panzer-division è stata chiusa in alcuni capannoni, senza mai uscire dai nostri confini. Anni di oblio, finché l’invasione dell’Ucraina ha fatto decollare il valore dei tank di seconda mano: ci sono aziende belghe che domandano un milione e mezzo per un cingolato fabbricato mezzo secolo fa. E la Rheinmetall tedesca, d’intesa con il governo di Berlino, ha chiesto alla Ruag di comprare 96 dei tank ex italiani per donarli a Kiev. Parte di un programma congiunto di Germania, Danimarca e Olanda per reperire almeno duecento Leopard 1 da consegnare entro fine anno: in pratica, rimpiazzeranno le perdite della controffensiva. 

 

Il segretariato di Stato per l’Economia a metà marzo ha detto no: “La Svizzera non intende dare armi ai belligeranti”. Ma nella Confederazione le polemiche interne e le pressioni internazionali stanno aumentando: tre giorni fa la Commissione di sicurezza di Berna ha approvato a maggioranza due disegni di legge per rendere possibili le forniture militari a chi si avvale “del diritto dell’autodifesa”. 

 

Parallelamente, a margine del vertice di Ramstein in cui gli alleati occidentali decidono gli aiuti bellici, è stata ventilata un’ipotesi alternativa: chiedere la restituzione all’Italia dei 96 Leopard 1A5, che non hanno mai lasciato il Paese e sono stati ceduti come ferrivecchi e non come mezzi da combattimento. Una soluzione pragmatica – la Svizzera si libererebbe di un problema e l’Ucraina otterrebbe i rinforzi vintage – che finora non ha fatto passi avanti.

Sorgente: Le grandi manovre per i 96 Leopard italiani finiti in mani svizzere – la Repubblica

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