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28 March 2024
0 5 minuti 12 mesi

Sul Pnrr sponde dai centristi e ostacoli nella maggioranza

IL DECRETO AL SENATO. Discussione generale in aula. Fitto apprezza le proposte di Calenda

Raffaele Fitto parla, non parla, forse sì e forse no. Alla fine il ministro responsabile per l’attuazione del Pnrr, rosa con molti petali ma quasi altrettante spine, è salomonico: parla ma non dice niente. Del resto non si tratta dell’attesa informativa sullo stato del Piano e sulla strategia del governo per recuperare il ritardo. Quella arriverà, Fitto se ne incaricherà «con piacere», ma solo dopo l’approvazione del decreto Pnrr a palazzo Madama, forse oggi stesso, oppure la settimana prossima, e senza che sia stato ancora deciso se in aula o in commissione. Per ora il responsabile si limita a replicare ai rilievi emersi nella discussione generale sul decreto Pnrr: facilissimo cavarsela senza specificare niente.

A palazzo Madama è finalmente approdato in aula il decreto che dovrebbe spianare gli ostacoli che frenano la marcia del Piano e che qualcosa farà anche se nessuno si illude che basti. Scontato il pollice verso dell’opposizione ma con un distinguo che sia la Lega che lo stesso ministro Fitto non mancano di notare e rilanciare: il Terzo Polo, dato per cadavere ma chissà se è vero, è ben più collaborativo degli altri.

Avanza proposte e il capogruppo leghista Massimiliano Romeo le coglie al volo: «Calenda propone di spostare le risorse su Italia 4.0 ed è un’idea intelligente». Fitto conferma: «Noi abbiamo approvato molti emendamenti del Pd e del Movimento 5 Stelle, qui però è prevalsa la posizione politica tranne che per il gruppo di Azione-Iv». Segnali di fumo incrociati e di quelli vistosi.

Per il resto Fitto mette soprattutto le mani avanti: «Nessuno può fare lo scaricabarile sul nostro governo dopo soli cinque mesi. Le parole d’ordine sono serietà e responsabilità. Non c’è nessun accentramento e nessuna contrapposizione tra palazzo Chigi e ministero dell’Economia». Il Piano dovrà cambiare e non si tratterà solo di ritocchi, questo almeno pare chiaro: «Serve una riflessione a 360 gradi per capire come rendere attuali gli interventi. Da quando è stato scritto il Piano è scoppiata la guerra e il rincaro delle materie prime incide. Rispetto alla programmazione iniziale cambiano le priorità».

La «terapia utile» per risolvere i guasti del Paese, quella che per Fitto bisogna ora «immaginare», passerà soprattutto per l’accorpamento di Pnrr e politiche di coesione, «visione politica che il governo rivendica con forza». Poi per l’intreccio con il RePowerEu: «Dobbiamo articolarlo pensando che potrebbe essere finanziato da parte dei soldi del Pnrr che non riusciremo a spendere entro il 2026».

In sintesi, la «rimodulazione» del Piano nazionale di ripresa e resilienza somiglierà da vicino a una riscrittura e per ulteriori dettagli si attende la sospirata informativa del ministro. Resta da vedere la Ue cosa ne pensa: la disposizione iniziale è positiva e flessibile. Il commissario Paolo Gentiloni lo ha confermato anche ieri: «La terza rata arriverà e il ritardo non è un’eccezione. Importante non è questo versamento ma la dimensione del programma a sostegno della ripresa italiana.

L’impegno congiunto Bruxelles-Roma è molto importante». Parole che dicono più di quanto non sembri, soprattutto se lette alla luce dell’articolo firmato ieri sul Corriere della Sera dal capo di gabinetto dello stesso commissario all’Economia, Marco Buti. Sul tavolo del Pnrr italiano si gioca il futuro dell’Europa, il bivio tra proseguire sulla strada del debito comune o invertire la marcia come vorrebbero i Paesi del nord. Bruxelles è dunque disposta a concedere ampi margini alla riscrittura del Piano, purché però l’Italia non ceda alla tentazione di abbassare la posta, derubricando il Piano a occasione fra tante, questione non di vita o di morte. L’allusione di Buti è alla Lega, che non risparmia frecciate quotidiane.

Ieri se ne è occupato proprio il capogruppo Romeo: «Qualcuno spera che ci indebitiamo sempre di più con l’Europa, così poi a comandare sarà proprio l’Europa e non il governo eletto. Non possiamo permetterci di pagare interessi per mutui su opere che non faremo mai». È solo una fronda ma che a Bruxelles seguono con massimo allarme.

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