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9 aprile 2023 , da Alfonso Navarra (Disarmisti Esigenti )

 

Due note a margine sul “diritto alla vita delle persone”, diritto umano fondamentale, che deve precedere come priorità il “diritto all’integrità territoriale di uno Stato”.

Questo approccio, che si fonda su una interpretazione plausibile del diritto internazionale vigente, rende legittimo e logico pretendere un cessate il fuoco immediato nel conflitto in Ucraina, prima che sul campo vi sia il ritiro di eserciti su confini oggetto di disputa armata tra Stati.

Il fatto che ci sia la condizione di non ammazzare e non essere ammazzati viene prima, anzi è la base per costruire la “pace giusta” oggetto dei negoziati.

Il contrario di quanto ora affermano gli impegnati nel conflitto in Est Europa: ragionamento sbagliato, a partire da quanto possa essere giusta l’affermazione, poniamo, che la Crimea è parte integrante dello Stato ucraino; oppure costituente organica e fondante del “mondo russo”…

Anche futuri accordi sulla sicurezza comune degli Stati non devono prescindere dall’accordo immediato sulla sicurezza delle persone di potere uscire per strada senza paura di vedersi cadere bombe sulla testa…

Qui di seguito si propongono, per cominciare, argomentazioni per analogia. Sono tratte da:

Laura Rusconi

Dottoressa in Giurisprudenza

Case Study: Il primato dei diritti umani sulla sovranità dello Stato nel caso di Carola Rackete

Marzo 8, 2021 in Diritto ed Economia

L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta, o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale o dalle autorità di coordinamento dei soccorsi, non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety).

Le Raccomandazioni dell’Unione europea, pur riconoscendo la sovranità degli Stati, hanno tracciato alcuni importanti limiti:

«Sebbene gli Stati abbiano il diritto di controllare i propri confini (…), ciò non può avvenire a scapito dei diritti umani delle persone, sia in mare che a terra. Una protezione efficace di questi diritti richiede la piena attuazione degli obblighi degli Stati membri, derivanti dal diritto marittimo internazionale, dalle convenzioni sui diritti umani e sui diritti dei rifugiati (…)»

5. Conclusioni

La decisione del Tribunale, successivamente confermata anche dalla Corte di Cassazione a seguito del ricorso25, ha stabilito che la tutela dei diritti fondamentali delle persone, così come imposti dalle norme sovranazionali, è più importante della protezione dei confini nazionali e, quindi, quando sono a rischio vite umane, la disobbedienza ai divieti ministeriali d’ingresso non è solo una condotta lecita, ma un dovere. La riflessione che ne deriva è un invito a considerare quanto, ancora oggi ed illegittimamente, il concetto di sovranità nazionale possa essere utilizzato nella politica anti-migratoria come giustificazione per privare altri esseri umani dei loro diritti fondamentali.

I diritti umani e i diritti dei popoli sono oggi riconosciuti dal diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite stabilisce all’art. 1 che il rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei popoli costituisce uno dei fini principali delle Nazioni Unite. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del l948 specifica una prima lista di diritti umani e ne raccomanda il rispetto. I due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, contengono norme giuridiche vincolanti sul piano mondiale.

Le fonti del diritto internazionale dei diritti umani, sono quelle sopra citate, più altre che le hanno aggiornate ed ampliate, e vanno a costituire una branca del diritto completamente nuova.

Mancano da codificare i “diritti dell’Umanità” e i “diritti della Natura”, intesa come ecosistema globale, “corpo” di cui la specie umana è “membro”, “organo” (vedi concetto di “terrestrità”), che possono essere indicati da alcuni accordi internazionali, ad esempio l’accordo di Parigi sul clima globale.

Le norme giuridiche internazionali riconoscono che ogni essere umano ha diritti innati, quindi inviolabili, inalienabili e imprescrittibili, che preesistono dunque alla legge scritta. L’individuo – la “persona” – è soggetto originario di sovranità e viene prima dello stato e del sistema degli stati.

In virtù dei diritti che ineriscono egualmente a ciascuno dei suoi membri, anche la famiglia umana universale è soggetto collettivo originario che viene prima del sistema degli stati e del singolo stato. Alcuni diritti innati (all’esistenza, all’identità, all’autodeterminazione) sono riconosciuti anche alle comunità umane che hanno il carattere di popolo.

Individui e popoli sono dunque soggetti originari anche nel sistema legale internazionale e gli stati sono da considerarsi come entità complesse “derivate” anche nel sistema del diritto e della politica internazionale. I principali principi di questo nuovo diritto internazionale sono: il principio di vita; il principio di eguaglianza degli individui e dei popoli; il principio di pace; il principio di solidarietà; il principio di giustizia sociale; il principio di democrazia.

Un principio fondamentale per l’implementazione dei diritti umani è quello di interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani: civili, politici, economici, sociali, culturali; individuali e collettivi; dell’essere umano e dei popoli, dell’ecosistema globale in quanto “corpo” cui appartiene la specie umana.

Le norme giuridiche internazionali sui diritti umani rafforzano il principio della soluzione pacifica delle dispute e quello del divieto dell’uso della forza stabilito dai paragrafi 3 e 4 dell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite.

Le norme internazionali sui diritti umani pongono il principio di autorità sopranazionale, come necessario per allestire e far funzionare efficacemente una appropriata struttura internazionale di garanzia.

Possiamo dire, e questo appare chiaro dal loro preambolo, che le Nazioni Unite “ripudiano la guerra”, “flagello” da cui i popoli costituenti devono essere liberati, e che quindi le controversie internazionali, a partire dalle dispute sui confini, non possono essere affrontate e risolte ricorrendo al mezzo della guerra.

Quanto sopra affermato si ribadisce che viene proposto come “bussola” per orientare la diplomazia popolare di base quando avanza le sue ipotesi di soluzione a conflitti in corsi, con relativi percorsi per far partire e procedere i negoziati. Abbiamo, come enunciato nell’appello per la mobilitazione del 26 aprile, l’idea di un trattato di pace dal basso da stipulare in una conferenza della società civile ad Assisi…

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