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Nel suo intervento sul Corriere della Sera la premier mette insieme alcuni capisaldi del revisionismo della destra erede del postfascismo e non include quel lemma del vocabolario civile che è fondamento della Repubblica

di Simonetta Fiori

La voce 25 aprile secondo Giorgia Meloni non prevede la parola antifascismo. Il suo lungo intervento, che mette insieme alcuni capisaldi del revisionismo della destra erede del postfascismo, non include quel lemma del vocabolario civile che è fondamento della Repubblica. In sostanza la presidente Meloni non ha ascoltato il consiglio che le aveva rivolto qualche giorno fa Gianfranco Fini, vero innovatore della destra postfascista: riconoscere “il valore storico dell’antifascismo come momento di ripristino delle libertà democratiche” (principio presente nelle Tesi di Fiuggi) e definire il fascismo come “male assoluto”. Nella riflessione di Giorgia Meloni questi due passaggi essenziali mancano.

Ne troviamo, molto sfumati, altri. Dice Meloni sul Corriere della Sera che “i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo”. In realtà è proprio la mancanza di un confronto con il passato fascista che crea ambiguità. Gli ammiccamenti e le provocazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa, le parole mai dette della stessa premier, i richiami sotto forma di locuzioni connotate ideologicamente (vedi “la sostituzione etnica” del ministro Francesco Lollobrigida) strizzano l’occhio a un bacino elettorale nostalgico o comunque autoritario.

Meloni parla di “ventennio nero” e non di dittatura

Meloni riconosce che “il 25 aprile è stata l’affermazione dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”, ma è una riflessione isolata, annegata in una serie di luoghi comuni propri della polemica antipartigiana: la spirale di violenza dopo la Liberazione, le foibe, l’esodo giuliano (peraltro tutte questioni studiate da svariati decenni dagli Istituti storici della Resistenza). Colpisce ad esempio che la presidente Meloni parli di “ventennio nero” e non di dittatura. E là dove evoca la parola totalitarismo è per affiancarlo all’altro totalitarismo, quello comunista, secondo uno schema classico che ha ispirato il revisionismo storico di questa destra, lo stesso che innerva le sue leggi sulla storia e anche atti amministrativi comunali, risoluzioni di consigli regionali, delibere delle commissioni toponomastiche locali: il comunismo parificato al fascismo, per cui il partigiano comunista della Brigata Garibaldi è eguale al fascista repubblichino che combatteva con i nazisti. È lo stesso principio che oggi spinge La Russa a rendere omaggio a Jan Palach, simbolo dell’anticomunismo. La risoluzione europea a cui si richiama Meloni è stata molto incoraggiata (giustamente) dai paesi dell’Europa orientale vissuti sotto i regimi comunisti. Ma in Italia – dove il partito comunista ha contribuito alla costruzione della democrazia  – la parificazione perde di senso. Berlinguer non può essere equiparato all’aguzzino della Stasi o alla nomenclatura criminale dell’Est.

Errori storici sulla nascita della Costituzione

Così come è storicamente sbagliato dire che “il paziente negoziato volto a definire principi e regole della democrazia” fu contrastato da alcune componenti della Resistenza: la Costituzione rappresentò l’opera magistrale di confronto di componenti politiche sideralmente distanti – cattolici, comunisti, socialisti, liberali, azionisti – che annullarono la propria diversità proprio nel rispetto della comune lotta antifascista. L’unico partito che rimase fuori dal patto costituzionale fu il Movimento Sociale, un partito che continua a essere celebrato da Meloni e dal presidente del Senato come “destra democratica”, nonostante la sua storia piena di ombre.

Il richiamo a Paola Del Din

Infine il richiamo a Paola Del Din, l’unica paracadutista donna che si gettò da un velivolo delle forze aeree britanniche per liberare il Nord Est. È vero: Paola non vuole essere chiamata partigiana, ma patriota, lunarmente distante dalla cultura di sinistra. Ma la patriota “Renata” – era il suo nome di battaglia – va ascoltata anche quando invita a studiare la storia. Studiate che cosa fu il fascismo. Che cosa è stata la dittatura di Mussolini. Non fu solo un “ventennio”, ma qualcosa di molto profondo con cui continuiamo a fare i conti.

Sorgente: Il 25 aprile di Meloni non prevede la parola “antifascismo” – la Repubblica

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