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Il Consiglio dei ministri dà il via libera al disegno di legge delega, ora tocca al Parlamento. Il Mef: “La lotta all’evasione diventa preventiva, non più repressiva”. Controlli, multe più leggere e concordato: arriva la tregua di due anni

ROMA – “Una rivoluzione attesa da 50 anni”, scrive Giorgia Meloni sui social per rivendicare la riforma del fisco. Approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri, ma chiamata ora a prendere forma nei decreti legislativi, che da qui a due anni dovranno tradurre la visione generale della destra al governo in risposte puntuali. A iniziare dalla promessa più impegnativa: far pagare meno tasse alle famiglie e alle imprese. Con la flat tax per tutti entro cinque anni, preceduta da una revisione delle aliquote Irpef che guarda al ceto medio, e con l’estensione della flat incrementale ai dipendenti. Ma anche attraverso il riordino dell’Iva, che punta all’azzeramento per il pane, la pasta e il latte, misura simbolica e identitaria. Ancora, il taglio dell’Ires e il superamento dell’Irap per le imprese: è il segnale a Confindustria, ma anche ai commercianti e agli artigiani.

 

Il sottotitolo della riforma è il Fisco amico, il grande patto tra il contribuente e lo Stato che passa da “una riscrittura” delle regole della lotta all’evasione fiscale. Che, mette in evidenza il ministero dell’Economia, “diventa preventiva e non più repressiva”. Perché lo schema attuale dell’accertamento, “dati alla mano”, non funziona. Dati che però, va ricordato, registrano invece il recupero record dell’evasione da parte dell’Agenzia delle Entrate (20,2 miliardi nel 2022). La traduzione del nuovo approccio sull’accertamento passa da sanzioni, penali e amministrative, più leggere. In alcuni casi cancellate. 

Il disegno di legge delega per la riforma apre una questione cruciale per il raggiungimento di tutti gli obiettivi: le risorse. Vanno trovate. La linea è quella della prudenza: il deficit non si tocca. L’opzione in campo è mettere mano alle agevolazioni fiscali: l’idea di un tetto alle detrazioni dovrà misurarsi con gli scontenti. Il recupero delle risorse sarà graduale, non è detto che basti per finanziare tutte le misure. Per questo il governo procederà passo dopo passo, scortato da una clausola “salva-conti” voluta dalla Ragioneria generale dello Stato.

 

 

L’Irpef, da 4 a 3 aliquote. Il riordino dal 2024

Un’imposta “molto complessa”, che presenta “criticità dal punto di vista dell’efficienza e dell’equità”. Per questo, spiega il governo, bisogna rivedere l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Si parte, ma dal 2024, con la riduzione delle aliquote, che passeranno da quattro a tre. Allo studio ci sono due opzioni. La prima prevede l’accorpamento delle aliquote centrali al 27%, mantenendo quella del 23% per i redditi fino a 15 mila euro, passando a quella mediana fino a 50 mila euro, e salendo al 43% per la fascia di reddito più alta. La seconda prevede l’estensione della fascia al 23%, da 15 a 28 mila euro, per poi salire al 33% per i redditi fino a 50 mila euro e mantenere l’aliquota del 43% per quelli superiori. L’intervento ha un costo importante (tra i 5 e i 10 miliardi); allo studio un tetto delle detrazioni per recuperare le risorse: lo sconto diminuisce man mano che il reddito aumenta. Escluse dal taglio le agevolazioni per le spese sanitarie, scolastiche e per la casa (mutui). Equiparazione per la no tax area dei dipendenti (8.174 euro) e dei pensionati (8.500 euro).

Tassa piatta, aliquota unica in cinque anni

Flat tax per tutti in cinque anni. L’obiettivo di legislatura è indicato in un passaggio della bozza della riforma fiscale: «La delega – si legge – prevede una revisione organica e complessiva del sistema che dovrà intervenire, nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva di transitare verso un sistema ad imposta unica». Il passaggio intermedio è l’estensione della flat tax incrementale ai dipendenti. Il nodo è quello delle risorse. L’unico bacino indicato dal governo è quello delle tax expenditures: il perimetro delle detrazioni e delle deduzioni conta oggi più di 600 voci, con un costo per lo Stato di 125 miliardi.

 

 

L’Iva. Ipotesi zero per pane, pasta e latte

La delega prevede una razionalizzazione del numero delle aliquote Iva. Tra le misure, un trattamento «tendenzialmente omogeneo» per i beni e i servizi similari, come gli alimentari. In pratica i beni e i servizi di una stessa “famiglia” potrebbero avere la stessa aliquota. La revisione delle quattro aliquote esistenti (22%, 10%, 5% e 4%) potrebbe prevedere anche un’aliquota zero, cioè un’esenzione con diritto a detrazione. Tra le ipotesi allo studio c’è l’azzeramento dell’imposta per alcuni beni di prima necessità come il pane, la pasta e il latte. Una misura che però costa e che a dicembre, durante i lavori preparatori della legge di bilancio, era stata bocciata dai tecnici del ministero dell’Economia. Nel pacchetto figurano anche norme per la semplificazione, come la revisione di alcuni vincoli previsti per la costituzione del Gruppo Iva, che riunisce più soggetti.

Le imprese. L’Ires scende al 15% per chi assume

Le imprese potranno beneficiare del taglio dell’Ires, l’imposta sui redditi delle società. L’aliquota, oggi al 24%, potrebbe essere ridotta al 15%, ma a condizione che le imprese impieghino una parte o tutto il reddito in investimenti e nuove assunzioni entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito. L’obiettivo del governo è favorire la competitività delle imprese e attrarre più investitori, anche esteri; un intervento di fatto obbligato dall’entrata in vigore, dal primo gennaio del 2024, della global minimum tax, l’imposta globale per le multinazionali con aliquota al 15%. Se non si interviene sull’Ires, è il ragionamento del governo, c’è il rischio di un disallineamento nella tassazione e quindi di una penalizzazione per le imprese italiane. La delega prevede anche un superamento graduale dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, garantendo comunque il finanziamento del fabbisogno sanitario attraverso una sovrimposta Ires.

 

 

L’evasione. Sanzioni più morbide, anche quelle penali

Un nuovo corso, per la lotta all’evasione fiscale, che include sanzioni, penali ed amministrative, più morbide. In alcuni casi saranno abolite. Per le piccole imprese è previsto il concordato preventivo biennale; in pratica un accordo con lo Stato, per due anni: si paga quanto pattuito in cambio dello stop a nuovi controlli. Guarda invece alle grandi imprese il rafforzamento dell’adempimento collaborativo (cooperative compliance): accesso più facile al regime che permetterà alle imprese che hanno tenuto comportamenti non dolosi, e comunicati tempestivamente al Fisco, di beneficiare di un alleggerimento delle sanzioni, in particolare quelle connesse al reato di dichiarazione infedele. Per tutti i contribuenti, le sanzioni dovranno tenere conto dell’impossibilità di pagare: sarà tollerata, quindi, l’evasione di necessità.

Il bilancio. Clausola “salva-conti” per non sforare

Messa a punto dalla Ragioneria generale dello Stato, la clausola “salva-conti” prevede che dall’attuazione della delega non dovrà derivare un aumento della pressione tributaria. Inoltre ogni schema di decreto legislativo dovrà essere accompagnato da una relazione tecnica che illustrerà gli effetti sui conti pubblici. Se lo stesso decreto determinerà maggiori oneri, allora dovrà trovare una compensazione al suo interno; in alternativa attingere al Fondo alimentato dalla lotta all’evasione fiscale. Se nessuna delle due strade sarà percorribile, allora il governo, prima di intervenire su una determinata materia, dovrà prima adottare un decreto legislativo per indicare il reperimento della copertura finanziaria. La clausola non è inedita; figurava già nel disegno di legge delega del governo Draghi, anche in quel caso voluta dalla Ragioneria.

 

Sorgente: Riforma fiscale: premio agli evasori. Obiettivo flat tax entro cinque anni – la Repubblica

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