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Attenzione: alcune immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità

“C’era un uomo con due bimbi al seguito e un cestino in mano che andava incontro ai soldati, sul volto la disperazione. Gridava ‘No VC, No VC, No VC!’. Cercava di dire che loro non erano vietcong. Uno dei militari, non fece una piega. Sparò a tutti e tre”. Cinquant’anni fa, il 16 marzo 1968, il massacro di My Lai fu una delle pagine più scure del Vietnam. Una carneficina in cui morirono 350 persone inerm per mano dell’esercito statunitense. A chi partiva per il fronte di quella che si rivelò una delle più logoranti e cruente guerre portate avanti dagli Usa dicevano “Andate e sparate, i vietnamiti non sono umani”, racconta oggi al Time Ron Haeberle, testimone e fotografo di quella mattanza. Le immagini impresse sui suoi rullini servirono a dare la sveglia a un’America fino a quel momento intorpidita, che di fronte all’orrore di quei corpi fu costretta a interrogarsi e a guardare le sue mani sporche di sangue.

Partito per conto del Cleveland Plain Dealer, il giornale della sua città, a 26 anni Ron era uno dei più vecchi della Compagnia Charlie impegnata nella missione nel Sud Est asiatico: l’età media dei compagni non superava i vent’anni. Erano in Vietnam da poche settimane, carne fresca armata di fucile sotto la guida del tenente 24enne William L. Calley. “Il giorno del mio arrivo erano pronti a intervenire. Girava voce che i Vietcong fossero nascosti nel villaggio di My Lai”, ricorda il fotografo, che aveva incontrato i commilitoni la mattina stessa. Informazione che poi si rivelò sbagliata, in giro non c’era traccia dei guerriglieri. “Udii molti spari, pensai che fossimo all’inferno, in una zona calda, ma dopo un paio di minuti mi fu chiaro che non era così. Vidi un soldato che sparava a un civile, non capivo cosa stesse succedendo”.

Ronald L. Haeberle via Getty Images
Ronald L. Haeberle via Getty Images 
The LIFE Images Collection/Getty Images
The LIFE Images Collection/Getty Images 

Follia omicida e delirio di onnipotenza. Le donne furono violentate e uccise, i vecchi massacrati. Non furono risparmiati neppure i bambini. A un certo punto Haeberle si imbattè insieme a Jay Roberts, reporter dell’esercito, in un gruppo di abitanti terrorizzati, che si tenevano stretti stretti tra loro sotto il tiro dei soldati. “Pensavo li stessero interrogando”, racconta Haeberle. “Poi sentii gli spari. Non potevo voltarmi per guardare ma li vidi cadere, con la coda dell’occhio”.

“Avevo una sensazione di potenza, di distruzione…in Vietnam ti rendevi conto che potevi violentare una donna e nessuno poteva dirti nulla”, dirà poi uno dei soldati che presero parte alla carneficina. L’arrivo di un elicottero pose fine alla mattanza, ma a inchiodare l’esercito furono anche le foto di Haeberle. I cadaveri ammassati su un sentiero della giungla vietnamita sferrarono un pugno nello stomaco dell’America dalla prima pagina del Plain Dealer il 20 novembre 1969. Era passato quasi un anno dalla tragedia, ma quelle immagini, scattate non con la Leica ufficiale fornita dall’esercito, ma con la Nikon personale di Haeberle (quindi sfuggite al controllo e alla censura) circolavano già da un po’ tra riunioni di quartiere e qualche aula di scuola. E facevano tremare i polsi. Nella gloriosa narrazione del Vietnam prima scorrevano le diapositive della propaganda, truppe in posa con i bambini vietnamiti sorridenti o medici-salvatori in missione nei villaggi. Poi il colonizzatore si toglieva la maschera: ed ecco donne e bambini mutilati, cadaveri che riempivano di orrore gli schermi, e di angoscia le coscienze . “La gente era incredula, non si capacitava. Tutti dicevano, non può essere accaduto veramente”.

Ronald L. Haeberle via Getty Images
Ronald L. Haeberle via Getty Images 
The LIFE Images Collection/Getty Images
The LIFE Images Collection/Getty Images 

Una crepa nella versione ufficiale americana del Vietnam la aprì per primo Seymour Hersh, un giornalista investigativo freelance, che scoprì la storia di My Lai il 12 novembre 1969. Alcune grandi testate si rifiutarono di pubblicare la storia. Ebbe il coraggio di farlo la piccola agenzia “Dispatch News Service”. Nel giro di una settimana il massacro di My Lai campeggiava su Time, Life e Newsweek, e anche le foto di Haeberle. “Per me è stato automatico continuare a fotografare anche in quella situazione. Come fotografo il mio ruolo era catturare quel che stava accadendo durante l’operazione. Sentivo che ero testimone di un fatto storico, soprattutto la carneficina. Continuavo a pensare: Non è giusto”. In un’immagine si vede anche il riflesso di Haeberle che scatta una foto a un cadavere in un pozzo. “Mi dissero che l’avevano buttato lì per avvelenare l’acqua”.

Sorgente: Massacro di My Lai, cinquant’anni fa le foto che mostrarono al mondo la vergogna del Vietnam. Il fotografo: “Ai soldati dicevano: Andate e sparate, i vietnamiti non sono umani” – HuffPost Italia

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