Il terremoto potentissimo che ha colpito la Turchia ha investito anche il nord della Siria, la regione che aveva già sofferto le conseguenze più pesanti di dodici anni di guerra civile. È molto probabile che il terremoto sia stato più duro dal lato siriano, perché le case sono molto più vulnerabili – in tantissimi casi sono piccoli edifici tirati su in fretta negli ultimi anni per ospitare gli sfollati – , perché i soccorsi sono molto più deboli (ci sono meno medici e meno ospedali) e perché tutto è più complicato: dalle strade distrutte alla presenza di mine al fatto che in molti casi palazzi distrutti dal terremoto sorgevano accanto a palazzi distrutti dalle bombe. “La distruzione è immensa, ci sono famiglie intere sotto le case crollate, aspettatevi una conta dei morti più alta del numero, quattrocento, che circola adesso”, dicono fonti locali.
Il nord della Siria è diviso in quattro aree che non comunicano fra loro: una è sotto il controllo del regime, una seconda con tre milioni e mezzo di abitanti è sotto gli ultimi gruppi ribelli (dominati dagli islamisti), una terza è di fatto sotto il controllo della Turchia e infine una quarta appartiene ai curdi (quest’ultima e molto a est rispetto all’epicentro e lì, dicono fonti di Repubblica, il terremoto ha fatto soltanto danni minori). Inoltre il confine fra Siria e Turchia è militarizzato, protetto da un muro di cemento lungo centinaia di chilometri e difeso da garitte con soldati turchi, non è possibile passare da una parte all’altra se non con una procedura complicata. Già soltanto questa divisione rende l’idea dell’incubo logistico dei soccorsi. Se l’ospedale più vicino è in una zona controllata dai nemici è come se non esistesse.
L’area in mano ai gruppi ribelli, con capitale la città di Idlib, anche nei tempi normali dipende all’ottantacinque per cento dagli aiuti dall’esterno ed è diventata il rifugio di più due milioni di sfollati, siriani che abitavano nelle altre parti del Paese ma sono stati costretti a fuggire a causa del conflitto e delle persecuzioni del regime del presidente Assad. È come se il terremoto avesse colpito una seconda e più ampia Striscia di Gaza. Quella zona inoltre è usata da un network clandestino dello Stato islamico – è lì che si erano nascosti e sono morti due cosiddetti “califfi” nel giro di due anni – ed è probabile che gli estremisti sfrutteranno il caos dopo il sisma per fare qualche spostamento e sfuggire ai controlli. I soccorsi in queste ore sono organizzati dalla Difesa civile siriana, un gruppo di volontari specializzato nell’estrarre civili da sotto i palazzi colpiti dai bombardamenti.
La città di Aleppo è in mano al regime del presidente Assad dal 2016, fu presa dopo anni di assedio e grazie a ondate di bombardamenti russi in stile Ucraina che devastarono i suoi quartieri. Il sisma è stato molto violento e secondo molti testimoni ha fatto crollare decine di palazzi. Anche le città sulla costa di Latakia e Tartous, che invece sono rimaste sempre sotto il controllo di Assad e non sono mai state coinvolte nella guerra, sono state colpite con molta violenza dal terremoto.