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ANNALISA CUZZOCREA

Accade che il potere possa inebriare, confondere, dare alla testa. Accade quindi che un deputato di maggioranza, capo dell’organizzazione del proprio partito, vicepresidente del Copasir, uomo di fiducia della presidente del Consiglio, possa pensare che a questo punto – arrivati fin qui – tutto sia lecito. Che sia lecito alzarsi nell’aula della Camera mentre si vota – in modo unitario – l’istituzione di una commissione delicatissima come la commissione antimafia e alludere a presunti intrallazzi tra il principale partito di opposizione e le organizzazioni criminali. Senza vergognarsene, senza chiedere scusa, senza tentare di riparare, anzi, rivendicando la domanda: “Da che parte sta il Pd? Dalla parte dello Stato o dalla parte della mafia e del terrorismo?”. E tutto questo, solo perché alcuni parlamentari di opposizione hanno esercitato uno dei loro doveri: andare a trovare un detenuto accertandosi del suo stato di salute. Andare a trovare Alfredo Cospito, che da oltre 100 giorni fa lo sciopero della fame, mentre era ancora nel carcere di Sassari, un istituto inadeguato alle cure di cui ha ora bisogno.

Il delirio di onnipotenza di Giovanni Donzelli, detto Giova dai frequentatori del Transatlantico, è andato oltre. È arrivato a fargli credere che sia accettabile rivelare stralci di conversazioni avvenute tra detenuti al 41 bis, in possesso del ministro della Giustizia in via riservata, senza alcun confronto con il Guardasigilli, che ora ha chiesto al suo capo di gabinetto come sia stato possibile, e che oggi lo dovrà spiegare in Parlamento. Informazioni riservate passategli da un compagno di partito come se si trattasse di bigliettini scambiati tra amici. Come fossero le lettere segrete che alle scuole medie ci si passava nei bagni. Donzelli non è nuovo a sparate polemiche e sopra le righe, consumate di solito in un salotto televisivo magari compiacente. Ma è di certo nuovo alla serietà delle istituzioni democratiche, dove se lanci accuse gravissime e palesemente false sei come minimo accusato di “analfabetismo istituzionale” senza che il presidente d’aula di turno – nello specifico Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia – ti difenda o lo consideri in alcun modo un insulto.

Sarà il giurì d’onore a ristabilire la verità. Lo ha chiesto il Pd, è una pratica poco usata e questo rivela la gravità di quanto accaduto. Ma qualunque cosa dicano Donzelli e poi il capogruppo Fdi Tommaso Foti, che in aula gli ha dato man forte, e tutti i loro sodali che si sono avvicendati in tentativi di accuse e assimilazioni indicibili tra centrosinistra e terrorismo, resta la ferita inferta alle istituzioni democratiche. Trattate come palchi da dove lanciare argomenti propagandistici di bassa lega. Con un atto di squadrismo istituzionale che colpisce per la sua violenza e per la sua cecità.

Donzelli sa bene che Serracchiani, Orlando, Verini non sono andati da Cospito a incoraggiarlo nella sua protesta, come ha raccontato. Ma l’argomento gli serviva per gettare il seme del discredito sui suoi avversari politici. Per dimostrare che chi si occupa delle condizioni delle nostre carceri, chi verifica che i regimi più duri non si trasformino in forme di tortura, chi chiede legittimamente al ministero di fare attenzione perché in prigione un uomo si sta lasciando morire di fame, è in realtà un amico dei terroristi, dei brigatisti, dei mafiosi. Perché, seguiamo il sillogismo di Donzelli, Cospito quel giorno ha parlato con uno ‘ndranghetista, un camorrista e quattro parlamentari dem. Tutti complici nel volere che lo Stato – sotto attacco da parte degli anarchici che bruciano macchine e inviano minacce – si pieghi al terrore. Questo sostiene il fedelissimo di Meloni usando l’artificio della domanda retorica.

I tribunali diranno della diffamazione, qui interessa il punto politico. Chi è oggi al potere accetta le regole della democrazia – ad esempio, non divulgare le informazioni riservate di cui è in possesso lo Stato per i propri interessi di partito – o le rifiuta? Non è una domanda da poco se la si rivolge al vicepresidente del Copasir, forse l’organismo parlamentare da cui passa il maggior numero di informazioni riservate della Repubblica. E ancora, la presidente del Consiglio era al corrente di quanto Donzelli, Delmastro, Foti, stavano organizzando nell’aula della Camera? Ha voluto quell’attacco all’opposizione, lo ha richiesto, ne era all’oscuro? Davanti alla gravità delle accuse, la premier dovrebbe dire qualcosa di chiaro e non limitarsi a veline che invitano ad “abbassare i toni”.

Infine, a chi conviene uno scontro del genere su quanto di più caro dovremmo avere, e cioè le garanzie dello Stato di diritto? Conviene agli anarchici, che quello Stato vogliono sovvertirlo e poco importa se uno di loro muore in carcere. Ne faranno un martire, proveranno a usare quella morte così come stanno usando quel martirio. E conviene alla destra, che non ha potuto incassare il successo mediatico della cattura di Messina Denaro per via delle incaute dichiarazioni anti-pm del ministro della Giustizia, e ha bisogno ora di farsi vedere nella sua veste tradizionale: legge, ordine e faccia feroce. Gli unici a cui questa guerra non conviene sono i difensori dello Stato di diritto, della Costituzione e dei suoi valori. Calpestati nell’aula di Montecitorio in un martedì di fine gennaio da incauti passanti della democrazia.

Sorgente: Analfabetismo istituzionale – La Stampa

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