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di Gianluca Mercuri
 

Il pomeriggio se ne va / il tramonto si avvicina / un momento stupendo / il sole sta andando via (a letto) / È già sera tutto è finito

Questa poesia, intitolata Il tramonto, è di Nadia Nencioni, che aveva 9 anni quando, nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, un’autobomba della mafia distrusse la sua casa in via dei Georgofili, nel cuore di Firenze, uccidendo lei, la sorellina di neanche due mesi, Caterina, e i genitori.

Tramonto è il nome in codice dell’operazione che lunedì mattina, a Palermo, ha portato all’arresto del boss Matteo Messina Denaro. Quei versi sono incorniciati nella sede del Ros (Raggruppamento operativo speciale) del capoluogo siciliano: pare che i carabinieri abbiano mostrato quel quadro al mafioso, e che lui abbia chinato il capo.

All’1,20 di ieri mattina, Matteo Messina Denaro è entrato nel supercarcere Le Costarelle dell’Aquila. Intanto, è stato scoperto il covo del Trapanese in cui si nascondeva. Da due giorni è iniziata la caccia ai suoi segreti, che potrebbero nascondere molte verità sui misteri italiani degli ultimi decenni.

 

 

imageLa poesia e il disegno di Nadia Nencioni trovati nel 1993

Il day after del padrino

Ieri, i siti erano pieni di dettagli in apparenza pruriginosi (il Viagra, i preservativi) che, come i selfie che si scattava in clinica, danno l’idea della vita indisturbata di Messina Denaro fino agli ultimi giorni della latitanza. Ogni dettaglio può contribuire a scoperte importanti. Punto per punto:

 

  • Il covo Fino a lunedì mattina, il boss si nascondeva a Campobello di Mazara, a pochi chilometri dalla sua roccaforte, Castelvetrano. L’appartamento era intestato al suo alter ego, il geometra Andrea Bonafede, 60 anni, sotto il cui nome Messina Denaro andava in giro e si faceva curare in clinica con un documento falsificato. Bonafede, indagato per favoreggiamento aggravato e associazione mafiosa, ha confessato di aver comprato la casa a suo nome, con soldi del boss. Alfonso Tumbarello, il medico che ha rilasciato prescrizioni a Messina Denaro, e Giovanni Luppino, il suo ultimo autista, sono indagati per favoreggiamento.
  • La caccia ai complici «Nessuno crede, o si rassegna, all’idea che all’ultimo padrino stragista di Cosa nostra sia bastata la protezione di un vecchio amico d’infanzia o un paio di conoscenti compiacenti per garantirsi la latitanza», scrive Giovanni Bianconi. Nell’appartamento sono stati trovati solo scatoloni pieni di documentazione medica: niente «pizzini» o carte riconducibili al suo ruolo criminale. Si cerca, dunque, il vero covo del boss, dove potrebbe aver conservato materiale più scottante.
  • La borghesia mafiosa È il concetto usato dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, che lo ha spiegato così a Lara Sirignano: «Per me la borghesia mafiosa è quel mondo amorale al quale appartengono alcuni esponenti delle professioni, della politica e dell’imprenditoria allenati da generazioni a risolvere i problemi attraverso la mediazione di una mafia sempre disponibile».
  • Le domande senza risposte Sono quelle che si fa De Lucia: «Come è possibile che uno dei più pericolosi ricercati italiani si sia fatto operare e per mesi si sia sottoposto a visite in una delle cliniche più note della città, senza che, fino al nostro intervento, nessuno si sia accorto di nulla? Qualcuno sapeva e lo ha coperto?». E ancora: «Siamo davanti a un rapporto simbiotico, utile per entrambi i partner direi. La borghesia ne ha tratto vantaggio in termini di protezione e anche economici. Cosa nostra è riuscita così a entrare nei salotti buoni dove si discute di affari, finanziamenti, appalti, dove si decidono le politiche pubbliche».
  • La mafia e la sanità Un legame che il magistrato spiega così: «Oltre la metà del bilancio regionale è destinato alla sanità. Questo dice bene perché l’attenzione di Cosa nostra, da sempre, sia rivolta a quel settore e perché la mafia abbia cercato di stringere relazioni con chi in quel settore ha un ruolo».
  • «Un arresto senza dietrologie» Tiene a sottolinearlo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervistato da Fiorenza Sarzanini: «Questo arresto è un risultato limpido, senza retroscena. Chi cerca di banalizzarlo e minimizzarlo, di metterlo in dubbio, di mortificarlo, fa un grave errore in malafede. Le manette ai polsi di Matteo Messina Denaro le ha messe solo un lungo e duro lavoro investigativo portato avanti da unità dedicate con metodi di indagine tradizionali senza fronzoli e fantasie» (al tema è dedicato l’editoriale di Antonio Polito, sotto).
  • Il boss in carcere All’arrivo all’Aquila, rivela Virginia Piccolillo, il mafioso è apparso «in perfette condizioni fisiche e sicuramente palestrato». Nessuna traccia delle depressione mostrata nel 2006 da Bernardo Provenzano, semmai è apparso «più che reattivo, per niente aggressivo, anzi, a suo modo, ironico». Alla domanda sui precedenti ha risposto: «Fino a stanotte ero incensurato, poi non so quello che è successo». Residente a..?: «Non ho mai avuto una residenza».
  • Ma come sta davvero? Vittorio Gebbia, responsabile dell’oncologia clinica della clinica La Maddalena, dove Messina Denaro è stato arrestato, dice che «le sue condizioni di salute si sono aggravate negli ultimi mesi». Un infermiere si sbottona di più con il nostro Alfio Sciacca: «Le aspettative di vita di quel paziente hanno un orizzonte molto limitato». Gebbia, da parte sua, trova una «coincidenza inquietante» il fatto che, poco dopo aver detto al boss che si era aggravato, il pentito Salvatore Baiardo rivelò lo stesso particolare a Massimo Giletti, su La7: «Strano, visto che erano informazioni riservate e noi non sapevamo la vera identità di Bonafede».
  • La chemio fuori dal carcere Messina Denaro si curerà il cancro al colon all’Ospedale san Salvatore dell’Aquila, che ha un reparto ad hoc per i detenuti al 41 bis. La prospettiva non piace ai sindacati di polizia penitenziaria, che temono che il boss riesca così a comunicare con l’esterno.
  • L’avvocata che lo difenderà Sarà la nipote Lorenza Guttadauro, detta Enza, 40 anni, figlia della sorella di Messina Denaro, Rosalia, e di Filippo Guttadauro, figlio del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. «Sarà Enza l’ultima donna a occuparsi del padrino e delle sue carte bollate», scrive Felice Cavallaro nel racconto delle «sei donne della vita del boss».
  • I segreti di MMD Ci sono domande, ricorda Bianconi, alle quali potrebbe rispondere solo lui: perché Salvatore Riina rinunciò all’idea di uccidere Giovanni Falcone a Roma — tutto era pronto e Messina Denaro faceva parte del commando — e decise di farlo in Sicilia? Cosa c’era davvero dietro le stragi di mafia del ‘93 a Firenze, Milano e Roma? Che fine ha fatto l’archivio di Riina sparito dopo il suo arresto? Come si passò dalla strategia terroristica di Riina alla «mafia silente» di Provenzano?
  • E cosa succederà dopo di lui? È la domanda cui cerca di rispondere Roberto Saviano: «Cosa Nostra ha perso struttura, unitarietà dopo la cattura di Provenzano, ultimo erede del verticismo corleonista; Messina Denaro non ha cercato di governare come avevano fatto i suoi padrini ma ha governato con l’ossessione di intervenire il meno possibile, cosa che spesso ha mandato allo sbando l’organizzazione».
  • Il dominio della ‘ndrangheta Lo scrittore conferma che i riflettori (solo) sulla Sicilia hanno favorito le altre mafie, una soprattutto: «Le altre organizzazioni continuano a sfruttare la sostanziale minore attenzione mediatica che nell’ultimo decennio è comunque aumentata rispetto al passato. Eppure quando, nel 2008, viene arrestato Pasquale Condello, boss della ndrangheta che negli ultimi anni ha assunto un potere di influenza politico-industriale di gran lunga superiore a quella di Messina Denaro, non c’è stata la stessa attenzione mediatica perché la ’ndrangheta ha saputo inabissarsi». Ormai, in realtà, «tutto (o quasi, se escludiamo le famiglie siciliane con base in Sudamerica) il narcotraffico che passa per le mani di Cosa Nostra ormai è egemonizzato da un’Opa — si direbbe nel linguaggio finanziario — dei calabresi».

 

Sorgente: Corriere.it

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