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Le sorprese nella prima residenza. Dai poster di Brando nei panni del Padrino al diario con i commenti sulle vicende politiche. E le cartelle con appunti e conti: spendeva diecimila euro al mese

di Salvo Palazzolo

Nel salotto, passeggiava davanti al poster di Marlon Brando nelle vesti del “Padrino”. Poi, andava nell’altra stanza, e si sedeva alla scrivania. Matteo Messina Denaro, il vero padrino – delle stragi e delle complicità – era sempre molto meticoloso. Nell’appartamento dove ha abitato fino a lunedì, conservava una serie di cartelle, in cui catalogava appunti e documenti. Accanto, teneva un diario personale, dove segnava pure considerazioni sulle vicende della politica nazionale. Su un taccuino annotava invece entrate e uscite: per la sua vita da latitante aveva bisogno di diecimila euro al mese. Non rinunciava alla bella vita, il padrino. Fra ristoranti nel Trapanese e negozi di abbigliamento a Palermo.

Il ritratto di Marlon Brando nel "Padrino" trovato nel covo
Il ritratto di Marlon Brando nel “Padrino” trovato nel covo (ansa)

Nel covo di via Cb 31, a Campobello di Mazara, era arrivato spostandosi di appena 450 metri, hanno scoperto ieri pomeriggio gli investigatori del Servizio centrale operativo, pure loro impegnati da tempo nelle ricerche del superlatitante: i poliziotti hanno perquisito un appartamento al primo piano di una palazzina gialla, in via San Giovanni 260; accanto abitava Giovanni Luppino, l’autista del superlatitante, arrestato pure lui lunedì. In via San Giovanni, il padrino sarebbe arrivato nel 2019, ancora una volta con l’identità di Andrea Bonafede. E avrebbe traslocato nel giugno scorso, non è chiaro perché. Per certo, oggi l’abitazione è vuota, ma verrà comunque passata al setaccio, per verificare se all’interno ci siano stanze segrete.

 

 

Ad aprire ai poliziotti è stato il fratello del proprietario, che da 40 anni vive in Svizzera: ha escluso che siano stati fatti lavori di ristrutturazione, come nell’altra abitazione di via Maggiore Toselli, dove mercoledì è arrivata invece la Guardia di finanza scoprendo una stanza segreta piena di gioielli, una quarantina di pezzi, potrebbero avere il valore di un milione di euro.

 

Un’altra certezza, ormai, è che il padrino più ricercato del mondo si sentiva sicuro a Campobello di Mazara. E continuava a scrivere, seduto alla sua scrivania. Annotava tutto. In alcuni fogli, ci sono numeri più consistenti rispetto a quelli delle spese giornaliere. E soprattutto sigle. Poi utenze telefoniche, segnate su foglietti e post-it. Altri numeri potrebbero essere conti correnti o dossier titoli. O forse un codice, come lo aveva Bernardo Provenzano per l’invio dei pizzini? Provenzano, un altro appassionato del film di Francis Ford Coppola: “Quando il Padrino parte terza arrivò a Palermo – ha raccontato il pentito Giuffrè – Binnu, che all’epoca era latitante, mi chiese di accompagnarlo al cinema”.

 

Dalla fiction alla realtà. C’è un vero tesoro nel covo di via Cb 31 dove i carabinieri del Ros hanno fatto irruzione martedì mattina: la perquisizione non si è mai fermata. Un tesoro per le indagini. Gli investigatori hanno trovato davvero tante carte, con nomi e questioni tutte da analizzare. Materiale prezioso per l’inchiesta coordinata dal procuratore capo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Adesso, si punta dritto alla rete dei favoreggiatori, ma anche ai complici. E agli affari. Non c’è ancora l’archivio che i magistrati cercano, con i documenti di cui hanno parlato i collaboratori di giustizia, forse quelli che conservava Salvatore Riina: “È stato consegnato tutto a Messina Denaro”, ha detto ancora il pentito Giuffrè, ex componente della Cupola.

 

E la caccia ai covi prosegue, ancora a Campobello. Gli investigatori provano a rompere il muro dell’omertà, ma non è facile. L’autista di Messina Denaro, interrogato dal gip nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto, ha continuato a negare. Dice Luppino: “Non sapevo che fosse Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss”.

 

Un pazzo. O un fedelissimo, che ha pure tanta fantasia. Come fosse dentro un film sulla mafia: “Mi ha detto solo che era il cognato di Bonafede e che si chiamava Francesco, poi mi ha chiesto un passaggio a Palermo”. Ma non ha convinto. Ha scritto il pm Pierangelo Padova: “La fiducia e il legame con i suoi fiancheggiatori ha contribuito alla latitanza di Messina Denaro (…) custode di segreti di alcune delle più cupe pagine della storia repubblicana”.

Sorgente: Messina Denaro, i segreti della latitanza in pizzini e numeri telefonici sulla scrivania del covo – la Repubblica

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