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Giorgia scarica sui benzinai gli errori del suo Governo. E così facendo lascia tutti gli italiani a secco.

Domenica il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, si è rivolto accorato ai benzinai per un ultimo appello a revocare lo sciopero definito “un danno per i cittadini”. “Lo stop era ed è confermato e le dichiarazioni del ministro sono l’ennesima dimostrazione della confusione in cui si muove il Governo in questa vicenda”, hanno replicato con una nota congiunta i presidenti di Faib, Fegica e Figisc-Anisa, chiedendo l’intervento diretto di Palazzo Chigi.

Che l’altro ieri c’è stato ma non con l’esito sperato dai sindacati. A chiudere la porta in faccia ai benzinai, ultima ruota del carro, ci ha pensato Giorgia Meloni. Che da Algeri non ha avuto nei loro confronti nessuna pietà: “Il provvedimento è giusto, non si torna indietro”, ha detto pur precisando che “nessuno vuole colpire la categoria”.

Pugno duro

La premier ha spiegato che sono stati “convocati già due volte, il governo non ha mai immaginato provvedimenti per additare la categoria dei benzinai ma per riconoscere il valore dei tanti onesti. Poi la media del prezzo non diceva che erano alle stelle. Sono state molto poche le speculazioni.

Ma non potevamo tornare indietro su provvedimento che è giusto, pubblicare il prezzo medio è di buon senso. Su altro siamo andati incontro”. Intanto, ci sono stati nuovi rialzi nel fine settimana sui listini dei prezzi consigliati dei carburanti, sulla scia dell’aumento delle quotazioni internazionali dei prodotti raffinati. La benzina “fai da te” è a 1,84 euro/litro (1,98 sul servito) e il gasolio a 1,89 (2,026 sul servito).

Ma i benzinai si sono sempre difesi sostenendo che sono le aziende petrolifere a decidere il prezzo secondo le regole del libero mercato e che gli aumenti non dipendono da loro. Il risultato è che, a partire da oggi alle 19 sulla rete ordinaria e dalle 22 sulle autostrade, i distributori di carburante anche self service saranno chiusi per due giorni.

Faib Confesercenti, Fegica e Figisc-Anisa Confcommercio a poco più di 24 ore dall’inizio della protesta, quasi come ultimo appello, sono tornate a spiegare con una nota che “il Governo, invece di aprire al confronto sui veri problemi del settore, continua a parlare di ‘trasparenza’ e ‘zone d’ombra’ solo per nascondere le proprie responsabilità e inquinare il dibattito, lasciando intendere colpe di speculazioni dei benzinai che semplicemente non esistono”.

Quindi, aggiungono, “ristabilire la verità dei fatti diviene prioritario, per aprire finalmente il confronto di merito”. Le modifiche al decreto messe sul tavolo da Urso non sono state considerate sufficienti per revocare la mobilitazione. Eppure dopo il primo incontro a Palazzo Chigi (con il sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano, Urso e Gancarlo Giorgetti per l’Economia e il Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo) i benzinai avevano congelato lo sciopero.

Sono state le due successive riunioni al dicastero di Urso a convincerli a confermare la protesta. E questo, appunto, nonostante il ministro abbia ammorbidito la stretta sull’obbligo della comunicazione del prezzo medio regionale e sulle sanzioni previste nel provvedimento – che oggi comincia l’iter parlamentare con audizioni in commissione Attività produttive alla Camera – e abbia presentato un’app per facilitare agli utenti la ricerca dei distributori più convenienti. Ma l’obbligo che rimane del cartello ai sindacati non va giù.

Le ragioni

Nelle stazioni di servizio da oggi per 48 ore ci saranno due locandine per indicare tutte le ragioni della protesta. La chiusura degli impianti è stata decisa “per protestare – si legge nei volantini delle tre sigle sindacali – contro la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori.

Per scongiurare nuovi aumenti del prezzo dei carburanti”. Le politiche di prezzo al pubblico, si legge, “non sono imputabili ai gestori, il cui margine medio di guadagno (3 cent/litro) rimane invariato a prescindere dal prezzo finale al consumatore”.

E “per dire no ai nuovi, inutili, obblighi di legge a carico dei gestori, che già da anni operano in completa trasparenza; per impedire che il prezzo dei carburanti torni a salire contro gestori e consumatori, in assenza di politiche di riforma e razionalizzazione del settore; contro il rischio di una nuova campagna di criminalizzazione dei gestori che nascondano le vere inefficienze e lo spazio debordante della criminalità”.

Contro i benzinai si schierano i consumatori. Il Codacons annuncia un esposto alla magistratura ipotizzando “interruzione di pubblico servizio”. L’Unione nazionale consumatori si dice pronta a “denunciare alla Commissione di garanzia sullo sciopero ogni violazione della regolamentazione del settore” e invita il Governo a far intervenire prefetti e governatori.

“Sarebbe sbagliato prendersela con i distributori: la loro protesta è il frutto degli errori a catena dell’esecutivo Meloni. Prima il mancato rinnovo del taglio delle accise, poi la confusa autodifesa, la disastrosa campagna anti-speculatori e infine un decreto che non risolve nulla”, dice Mariastella Gelmini di Azione.

“Le accuse rivolte ai benzinai da parte del governo, additati come i responsabili della speculazione per l’aumento dei prezzi del carburante, dimostra come questo esecutivo scelga sempre di colpire gli anelli più fragili della catena per coprire le proprie inadeguatezze e incompetenze”, dice Francesco Silvestri del M5S. Mentre la senatrice pentastellata, Barbara Floridia, annuncia che il Movimento, nell’iter di conversione del dl Milleproroghe, ha presentato un emendamento per recuperare lo sconto sulle accise.

Sorgente: Meloni scarica sui benzinai gli errori del suo Governo.

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