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20 April 2024
0 5 minuti 1 anno

Stati uniti. Pubblicato il video del pestaggio letale del ragazzo afroamericano da parte di 5 poliziotti. La sua ultima parola è stata «mamma»

Luca Celata

Il video del pestaggio mortale di Tyre Nichols a Memphis documenta quella che è sostanzialmente l’aggressione di un branco. Fermato a 100 metri da casa per una presunta infrazione stradale il giovane viene immediatamente aggredito dagli agenti che imprecando lo tirano giù di forza dall’auto. Le botte iniziano da subito, poi scariche di taser. Terrorizzato Nichols tenta di fuggire. Viene nuovamente raggiunto poco lontano dove inizia un terrificante pestaggio da parte dei cinque agenti che a turno usano manganelli, calci e pugni per ridurre il ragazzo ventinovenne in fin di vita. Passeranno poi quasi 20 minuti prima che gli vengano somministrate le prime cure; il decesso sopraggiungerà tre giorni dopo.

I GIOVANI POLIZIOTTI che si sono accaniti sul giovane dall’esile fisico sono Demetrius Haley, Desmond Mills Jr., Emmitt Martin III, Justin Smith e Tadarrius Bean, ognuno oltre 90kg di peso, due di loro ex giocatori di football americano. Tutti sono stati licenziati ed incriminati per le loro azioni. Licenziati anche due sceriffi e due addetti al pronto intervento, per omissione di soccorso. Le ultime parole proferite da Nichols sul selciato a pochi passi da casa, dove lo attendeva il figlio di quattro anni, sono state «mamma». «Potete capire come mi possa sentire adesso», ha dichiarato la donna dopo aver visionato il video del figlio massacrato. «Lui mi chiamava e io non ho potuto fare niente per aiutarlo».

MALGRADO IL TIMORE per possibili disordini, le manifestazioni di protesta tenute in molte città americane dopo la pubblicazione del video sono state pacifiche. Vi sono stati comizi e veglie in memoria della vittima a Washington, New York, Los Angeles e Portland. A Memphis la protesta ha chiuso per qualche ora un ponte autostradale sul Mississippi.

La nazione intanto è stata rimessa di fronte a una storica piaga. A Los Angeles Lora Dene King si è asciugata le lacrime guardando le immagini provenienti da Memphis. Suo padre, Rodney King, fu protagonista di un altro filmato in cui veniva selvaggiamente picchiato da un gruppo di agenti della polizia di La nel 1991. Quel documento inaugurò l’era dellaripresa video delle violenze di polizia che da lì in poi vide un numero sempre maggiore di episodi catturati su video da testimoni, ed ora sempre più spesso dalle telecamere che gli agenti sono tenuti ad indossare sulla divisa. Un archivio sempre più vasto di soprusi che dopo le uccisioni di Trayvon Martin, Eric Garner e Mike Brown e molti altri dopo il 2014 contribuì alla nascita di Black Lives Matter.

Ma dieci anni dopo, a 32 anni dal caso Rodney King, tre anni dopo le vaste proteste per la morte di George Floyd, prosegue il macabro stillicidio di vittime – prevalentemente di colore – cadute sotto i colpi di poliziotti violenti. Dieci giorni fa si è aggiunto al novero il parente di una fondatrice del movimento Blm, Keenan Anderson, cugino di Patrice Cullors. Ha ricordato ieri Alexandra Ocasio Cortez: «L’anno scorso i morti per polizia sono stati 1.176, dobbiamo porre fine a questo circolo vizioso».

LA LISTA INFINITA di vittime racconta una disfunzione tutta americana per cui il paese –come per il parallelo paradosso delle stragi da arma da fuoco – non sembra in grado di trovare una soluzione. Nel caso delle pistole, pesa la venerazione delle armi da fuoco come simulacri costituzionali di un “divino diritto americano” al porto d’armi. La cultura di polizia è invece legata ad una concezione punitiva dell’ordine pubblico utilizzato come strumento controllo sociale. Entrambe le problematiche hanno radici storiche nella disuguaglianza e congenita violenza insita nella società. Ed ogni cambiamento viene regolarmente contrastato da una forte componente conservatrice. La riforma proposta dopo il caso Floyd per rimuovere l’immunità di fatto degli agenti è stata approvata dalla Camera ma si è arenata in Senato. Biden ha rinnovato l’appello ad adottarla ma il Gop è compatto nell’opposizione ed ha anzi strumentalmente alimentato la psicosi del defund the police come ennesimo finto complotto per compattare la base conservatrice contro «sinistra e stato profondo».

RIMANGONO così invariate le cause profonde del problema: un’ordine pubblico fondato sulla militarizzazione degli agenti ed un addestramento che istilla sospetto, ostilità e una mentalità da forze di occupazione, soprattutto nei confronti delle comunità emarginate.

Sorgente: ilmanifesto.it

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