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Risale a settembre la sentenza che stabilisce che due donne abbiano il diritto di essere chiamate entrambe “madre” sulla carta di identità elettronica dei figli, “proibito” dal decreto di Salvini del 2019: sul passaporto due genitori dello stesso sesso però vedono riconosciuta anche la loro identità

Ce lo passiamo di mano in mano, fresco di stampa. C’è scritto: “Madre: Rory Cappelli Eugenia Romanelli“. Nonostante nel nostro Paese sia vietata per le coppie omosessuali la stepchild adoption, ossia l’adozione del figlio biologico del partner, la nostra bambina, figlia (naturale e giuridica) di due donne, da oggi ha un documento internazionale riconosciuto dal governo italiano che rappresenta correttamente la sua situazione familiare.

Questione, quella della corretta rappresentazione, evocata proprio dal giudice nella sentenza che, un mese fa, definendo un “eccesso di potere” il decreto del 2019 voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, autorizzava la dicitura “genitori” sulla carta d’identità della figlia delle due mamme che hanno vinto il ricorso, al posto dell’assurdo “padre” e “madre” imposto da Salvini, che va contro perfino al buon senso. Il passaporto, però, va oltre perché declina quel “genitori” in “padri” o “madri”. Non è cosa da poco: se infatti è importante che una donna possa chiamarsi avvocata o ministra contrastando il maschile sovraesteso, è altrettanto importante contrastare l’eteronormatività e fare in modo che i genitori possano essere definiti nel rispetto del diritto all’identità personale.

 

Infatti, a proposito di “genitore 1” e “genitore 2”, siamo d’accordissimo con la famosa frase che l’attuale premier pronunciò in Piazza San Giovanni a Roma che contribuì a trasformare il suo discorso omolesbotransbifobico in una hit da discoteca: “Noi non siamo dei codici, noi siamo delle persone e difenderemo la nostra identità”. Per questo, ai genitori omosessuali che stanno combattendo per vedersi riconosciuti tali sulla carta d’identità dei figli, diciamo di scavalcare il problema e puntare al passaporto.

 

 

Ovvio che per ottenere un documento come il nostro, in Italia, occorre che il figlio in questione abbia entrambi i genitori riconosciuti giuridicamente tali, ma questo non è semplice per le coppie same-sex, essendo appunto per loro vietata la stepchild adoption. Chi, come noi, è riuscito in questa impresa, ha affrontato un percorso giuridico impegnativo (abbiamo subito la prima Consulenza tecnica d’ufficio mai richiesta ad una famiglia omogenitoriale in Italia).

La strada è impervia perché il diritto di famiglia non regolamenta le famiglie omogenitoriali, ad oggi non contemplate da alcuna legge nonostante esistano di fatto (sono più di mille, secondo l’ultima dichiarazione pubblica di Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno). Ma la buona notizia è che, dal basso e un passo dopo l’altro, costruire una sostenibilità sociale è possibile.

A quanto pare, non per merito della politica e dei politici, troppo impegnati in affari che non prevedono la sostanziale presa in carico dell’articolo 3 della nostra bellissima Costituzione, ma grazie all’ampiezza del senso di giustizia delle singole persone, ad esempio degli impiegati e delle impiegate delle questure.

Nonostante i recenti attacchi personali, continueremo a raccontare la nostra storia, anche con un libro che uscirà ad aprile per Giunti: la speranza è poter ispirare e incoraggiare tutte quelle famiglie che stanno combattendo nei tribunali e con le burocrazie per il riconoscimento di diritti dovuti ma non concessi in un Paese che cerca di fermare il vento con le dita.

Sorgente: “Nostra figlia ha due mamme. Adesso c’è scritto anche sul passaporto” – la Repubblica

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