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Irresistibile è l’evoluzione del contesto in cui i temi della fine della vita si impongono alla discussione. Si tratta di aspetti diversi, ma contigui: dalla cessazione delle terapie all’aiuto attivo offerto a chi vuol metter fine alla propria vita. Vi è la possibilità della medicina di prolungare quasi senza termine qualche forma di vita di malati che solo pochi anni orsono sarebbero naturalmente già morti. Essa si confronta con la sensibilità sempre maggiore verso il rispetto della libertà delle persone su ciò che riguarda la propria vita e il proprio corpo.

È di questi giorni in Italia l’ennesimo episodio in cui un malato ha dovuto affrontare il viaggio in Svizzera per poter mettere fine ai propri giorni senza dover ricorrere a modalità violente e umilianti. E lo ha reso pubblico, facendone strumento di coinvolgimento dell’opinione pubblica. Chi poi l’ha appoggiato nel mettere in esecuzione la sua determinazione si è denunciato, per porre la magistratura davanti all’obbligo di prendere posizione con una indagine penale ed una conclusione secondo legge.

Ancora una volta una sfida? Una ricerca del caso clamoroso e non ignorabile? Una iniziativa necessaria per smuovere il Parlamento? Il nuovo caso, per quel che se ne sa, potrebbe non rientrare nell’area nella quale la sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019 ha eliminato la applicabilità del delitto previsto dall’art. 580 del Codice penale, che punisce chiunque agevoli l’esecuzione dell’altrui proposito di suicidio (da 5 a 12 anni di reclusione). In passato, in casi simili, si sono avute autodenunce di Marco Cappato e finora nessuna condanna.

Anzi nel primo dei casi i giudici hanno investito la Corte costituzionale, che, dopo aver inutilmente sollecitato il Parlamento a legiferare in un senso compatibile con i valori costituzionali che sono in gioco, ha provveduto esse stessa. E ha stabilito che non sia punibile il sanitario che aiuti altri a morire, quando si tratti di persona capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetta da patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, e sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale. L’attuale applicazione di mezzi di sostegno vitali come la respirazione o l’alimentazione artificiali è una condizione particolarmente irragionevole imposta dalla Corte costituzionale, assente nelle legislazioni dei vari Stati europei. Nel recente caso non erano applicati particolari sostegni vitali la cui cessazione producesse la morte.

 

Fine vita, Cappato e due volontarie si autodenunciano per la morte di Massimiliano

 

Mentre la vita e la morte reali non aspettano, cosa fa il Parlamento, il cui intervento resta necessario anche dopo la sentenza della Corte costituzionale? La materia è difficile e le diverse posizioni che si confrontano dovrebbero sempre svilupparsi entro un quadro di reciproco rispetto. Non si confrontano i cultori della vita contro i cultori della morte. È possibile mettere l’accento sul rispetto della volontà di chi, decidendo per sé, ritiene di porre fine alla propria vita, oppure assegnare allo Stato legislatore l’autorità di regolarla limitandone il rispetto.

Ma poi contano i dettagli, particolarmente quando si stabilisca, come ha fatto la Corte costituzionale, che l’esclusione della punibilità di chi aiuti il suicida operi solo se la morte venga praticata nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Così si è imposta una condizione che limita la portata del riconoscimento dell’autonomia decisionale del soggetto e di chi lo assiste, ma al tempo stesso si è istituito per il Ssn un onere di prestazione, cui corrisponde un diritto per le persone. Ed è questo che ancora non è assicurato in Italia, tanto che si deve ricorrere ai giudici, invece di trovare i servizi sanitari pronti a provvedere.

Il nuovo Parlamento ha ripescato dal lascito del precedente un testo di legge approvato dalla Camera e rimasto pendente in Senato. Esso è particolarmente restrittivo nel prevedere le condizioni in cui la volontà della persona di morire può essere rispettata fornendole aiuto da parte del Ssn. La condizione della attualità dell’impiego di mezzi di sostegno vitale ad esempio è mantenuta, non ostante che in diversi casi giudiziari essa abbia mostrato la sua irragionevolezza.

Ma alcuni sviluppi positivi, rispetto alla sentenza della Corte costituzionale, sono da apprezzare, come una maggiore attenzione alla qualità della volontà di morire (attuale, informata, consapevole, libera ed esplicita) e al suo accertamento, nonché la sottolineatura di reali alternative (come le cure palliative) da proporre alla accettazione della persona interessata. Quali siano le prospettive di una rapida approvazione di una legge, però, non è dato ora immaginare.

È necessario il coinvolgimento della opinione pubblica in un dibattito adeguatamente informato su una realtà gravissima e nemmeno, come forse si crede, limitata ai pochi casi che divengono noti. Certi caratteri, certi condizionamenti del dibattito politico parlamentare, in casi come questo, dovrebbero essere superati. C’è un esempio che viene dalla Francia, ove il presidente Macron ha lanciato una “Convenzione cittadina” che vede proprio a partire da questi giorni un ampio campione di cittadini tirati a sorte discutere insieme ai Comitati etici regionali, al Comitato nazionale di bioetica e a rappresentanze parlamentari.

Ciò fino a marzo prossimo. Poi toccherà a governo e parlamento decidere se la legge attuale debba essere modificata anche nel senso di prevedere l’aiuto “attivo” al suicidio. È possibile che un simile dibattito preliminare -come è avvenuto recentemente sui temi del clima – non porti a grandi risultati e novità. Ma il legislatore deve essere assistito dalla consapevolezza e dalla partecipazione cittadina, poiché, mai come in questo caso, ognuno è direttamente, drammaticamente toccato.

 

Sorgente: Massimiliano, il fine vita e la lezione che arriva da Parigi – La Stampa

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