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di Gino Ginetti


Michelangelo Severgnini lavora da anni come reporter indipendente e senza potentati dietro.

 

Michelangelo trova i fondi per produrre un film sulla Libia. Senza tesi precostituite parte alla volta della Libia attraverso un viaggio che è testimonianza anche di un percorso sofferto e dalle forti valenze umane, condividendo con noi i suoi dubbi. Il valore aggiunto di un film che è già un lavoro di denuncia tout court. Inizia faticosamente a dipanare la matassa e da una nebulosa di contraddizioni apparenti emerge una tesi chiara, esplicitata sinteticamente fin dal sottotitolo: “Schiavi in cambio di petrolio”.

Ad una lettura superficiale, tipica di certa sinistra istituzionalizzata e mediamente e passivamente acculturata, questo docufilm potrebbe apparire una semplice denuncia della moderna tratta degli schiavi. Denuncia forte, ma ascrivibile a ben delimitati confini dettati dal mainstream della sinistra antagonista politicamente corretta, alla “Report” per intenderci.

Quando Michelangelo è stato invitato, bene sottolinearlo, al “Festival dei diritti umani” a Napoli è consapevole in quale contesto si sarebbe trovato e sapeva che nel pubblico ci sarebbero stati numerosi attivisti delle ONG e, per onestà intellettuale, avvisa gli organizzatori del rischio di possibili cortocircuiti.  Ma questi, molto probabilmente, pensavano di avere tra le mani un prodotto “disinnescabile” alla bisogna.

Qualcosa va storto. Come tutti sappiamo dopo manco venti minuti la proiezione viene interrotta da una vera e propria censura squadrista(1).

Sorgente: L’URLO. Della borghesia messa a nudo dal film di Michelangelo Severgnini – DALL’ITALIA – L’Antidiplomatico

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