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Sportwashing
Lavoro forzato, caldo, morti sul lavoro, maltrattamenti: i racconti dei lavoratori e delle lavoratrici straniere sono spesso una fotocopia l’uno dell’altro. E i rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani riportano in maniera unanime una situazione caratterizzata da una violazione sistematica.

Eppure, il 20 novembre nel piccolo emirato si aprirà la ventiduesima edizione della Coppa del Mondo di calcio maschile. Per quanto, dopo anni di parziali silenzi, i media di tutto il mondo stiano finalmente rivelando il contesto in cui 32 squadre si sfideranno per la conquista del più ambito dei trofei, i timidi tentativi di boicottaggio della competizione non hanno sortito gli effetti sperati e la kermesse andrà in onda per un mese, catalizzando l’attenzione di miliardi di persone.

Un’enorme vetrina internazionale per la petromonarchia qatariota, che sull’evento ha investito – non sempre in maniera limpida e legale – miliardi di euro al fine di rendere possibile una formidabile occasione di sportwashing che accrediti Doha come potenza mondiale dello sport e non solo.

Da quando nel 2010 riuscì ad aggiudicarsi il ballottaggio contro gli Stati Uniti – 16 dei 22 grandi elettori della Fifa, nel frattempo, hanno o hanno avuto a che fare con la giustizia per vicende di corruzione – ottenendo la possibilità di ospitare la prestigiosissima competizione, il piccolo ma incredibilmente ricco Qatar ha fatto molta strada.
Con soli 3 milioni di abitanti, Doha occupa il 55esimo posto nella classifica del FMI con un Pil di 221 miliardi di dollari. Sempre secondo il Fondo Monetario, i cittadini possono contare su un reddito pro capite di quasi 83 mila dollari, il decimo più alto al mondo (in classifica è tra le Isole Caiman e Singapore). Questa grande ricchezza è in gran parte dovuta al fatto che il paese detiene il 15% delle riserve mondiali di gas naturale, terzo al mondo alle spalle di Russia e Iran.

Sorgente: Qatar, i Mondiali della vergogna – Pagine Esteri

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