In un quadro di crescente incredulità rispetto alle prime mosse del governo entrante, il week end appena trascorso a Reggio Emilia rappresenta uno spazio di confronto e di possibilità di lotta transfemminista in vista della grande manifestazione nazionale del 26 novembre a Roma.
La norma cosiddetta anti rave appena approvata dal governo Meloni altro non è che un tentativo di colpire gli spazi di dissenso autorganizzati, rendendo di fatto “fuori legge” qualsiasi raduno al di sopra delle 50 persone, dunque, manifestazioni non autorizzate, assemblee, picchetti, occupazioni di scuole e università potrebbero rientrare arbitrariamente all’interno di una norma vaga e poco specifica come questa. Oltre alla sua ambiguità è importante sottolineare la durezza delle pene corrispettive ai reati, infatti, diventerebbe la legge più aspra in termini di condanne rispetto a tutta Europa, nonostante le parole del Ministro Piantedosi che giustifica tale decreto nei termini di dover eguagliare l’Italia agli standard europei.
In un contesto come questo la possibilità di esprimere dissenso nei confronti di questo Governo e delle scelte politiche che riguardano numerosi ambiti, dai diritti civili alla perpetuazione di una guerra per procura come quella in Ucraina, diventa centrale. La due giorni di Non Una di Meno, come viene raccontato dalle compagne di Torino e Pisa rappresenta quindi un momento importante di confronto e di attivazione collettiva. La scelta di chiamare la manifestazione del 26 novembre contro la violenza di genere a Roma assume dunque un significato ancora più forte.
Sarà una manifestazione che porterà dei temi centrali oggi, come la forte opposizione alla guerra e alle guerre che si combattono nel mondo sui corpi e sui territori, all’interno di una cornice comunicativa e politica che indica in alcuni slogan, come “risale la marea”, “sorella io ti credo” e “donna vita libertà”, le voci delle compagne che si stanno battendo contro le oppressioni nei loro paesi, come il Kurdistan o l’Iran, e le voci delle donne non credute nei tribunali che subiscono quindi una doppia violenza.
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