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Oggi la premier partecipa al Cop27 in Egitto

SHARM EL SHEIKH – ROMA – Non una parola. Un riferimento, anche di circostanza. Una telefonata alla famiglia, come avevano fatto tutti i governi che l’avevano preceduta. Il viaggio in Egitto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, comincia con quello che è in qualche modo un primato: questo è il primo governo che apre il dossier Egitto senza aver mai affrontato pubblicamente il sequestro, la tortura e la morte di Giulio Regeni. La premier non l’ha fatto appena insediata, quando con un tweet ringraziò il presidente Sisi per gli auguri di inizio mandato. Non ha ritenuto opportuno nemmeno farlo ora, alla vigilia di un viaggio in qualche modo storico: un presidente del Consiglio italiano torna in Egitto dopo un omicidio così atroce e carico di significato politico come quello del ricercatore italiano, diventato in tutto il mondo un simbolo di come sia possibile calpestare ogni diritto umano. Di più: si prepara a organizzare un bilaterale con il presidente di un Paese che da anni calpesta il diritto e i diritti, rifiutandosi persino di consegnare anche soltanto gli indirizzi dei quattro agenti imputati dell’assassinio Regeni, necessari per fare cominciare il processo nel nostro Paese.

 

Seppur nel mezzo di questo grande imbarazzo è possibile che Giorgia Meloni incontri da sola il presidente Sisi. Ed è possibile che incontri anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Cop 27 è il primo vertice internazionale alla quale la premier partecipa. E l’Egitto è un partner cruciale per i due dossier più caldi aperti sul tavolo del Governo: i migranti e l’energia. Tutto si sta muovendo su un filo, retto dal lavoro della diplomazia. In ballo ci sono le regole d’ingaggio – dichiarazione finale, durata, contenuti, e ovviamente il nodo Regeni – che i due leader eventualmente accetterebbero, perché è evidente che soprattutto dal fronte italiano esiste la necessità di non esporsi a eccessive critiche in patria.

Resta il fatto che la mano di Al Sisi, quella è praticamente certa che andrà stretta, cosa che è già successa negli anni scorsi: lo ha fatto Giuseppe Conte, per esempio, che ha incontrato in Italia e in diversi vertici internazionali il presidente egiziano. Seppur accompagnando quella stretta di mano con parole di circostanza e promesse mai mantenute. Tocca a Meloni, adesso, bilanciare pro e contro. Consapevole che ogni scelta non sarà neutra, una volta accettato di volare fino a Sharm el Sheik per partecipare alla Cop 27. In principio, a dire il vero, il dilemma si limitava appunto alla stretta di mano. Ed evitarla appariva complesso. È la ragione per cui Mario Draghi, a settembre e prima dell’esito elettorale, sembrava orientato a non partecipare, delegando a un suo ministro la missione. La nuova presidente del Consiglio, però, ha ribaltato la posizione, partendo da un presupposto: è ragionevole declinare l’invito alla Cop27, un evento che le Nazioni Unite hanno scelto di organizzare nella nota località balneare egiziana? Da qui, a cascata, il nuovo bivio.

Il silenzio, per adesso, è la reazione del governo. Ed è il silenzio quello a cui si è affidata anche la famiglia Regeni. Convinti che non tocca ai “cittadini” dover pietire davanti al proprio Stato quello che sono convinti essere un diritto non loro, ma di tutti gli italiani: la verità e la giustizia, “perché” come più volte hanno ricordato Paola e Claudio Regeni, “qui non stiamo parlando del dolore di una famiglia a cui hanno torturato e ucciso un figlio. Ma in ballo c’è la democrazia di un Paese. Il nostro”.

Sorgente: Caso Regeni, Al-Sisi chiama Meloni. L’invito che imbarazza Palazzo Chigi – la Repubblica

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