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Nel PD abbiamo creduto in tanti, in tanti gli abbiamo voluto bene e ancora gliene vogliamo; ma da anni ormai è diventato una pietra al collo per la sinistra anziché uno strumento per il suo rinnovamento. Solo celebrando le esequie del Partito Democratico e seppellendo i suoi cari resti c’è qualche speranza di ricostruire un’alternativa politica ad una destra vincente ma tutt’altro che imbattibile.

Da anni ormai il PD non riesce ad elaborare uno straccio di strategia politica distintiva e tantomeno vincente; in compenso svolge alla grande la sua funzione di agenzia di governo interinale, un’organizzazione dedita allo svolazzamento tra maggioranze di ogni ordine e grado, alla cannibalizzazione dei suoi leader e soprattutto al collocamento dei suoi notabili. Notabili che non sono più in grado di generare consenso politico: esemplari sono le parabole di Andrea Orlando e Dario Franceschini i quali, acclarata la loro impopolarità, a quest’ultima tornata sono letteralmente scappati dai collegi uninominali per accaparrarsi il posto da capolista al proporzionale. Siamo arrivati al paradosso per il quale pochissimi dirigenti del Partito Democratico (si contano sulle dita di una mano) superano le forche caudine dell’uninominale mentre ex avversari come Pierferdinando Casini, o alleati distanti dalla storia del PD come Ilaria Cucchi, Angelo Bonelli e Bruno Tabacci vincono perché affrancati dallo stigma dell’apparato. Le liste degli eletti PD sono un vero e proprio monumento celebrativo del gruppo dirigente che si è impadronito del partito.

Enrico Letta paga per tutto questo, ma non ne è il principale colpevole. A inizio 2021 si è trovato di fronte a un partito a brandelli e a un dilemma diabolico: rivitalizzare il partito con una strategia politica movimentista e identitaria, demolendo il notabilato e scaricando il governo Draghi (come poi ha fatto, sia pur all’ultimo minuto, Giuseppe Conte) oppure restare il partito “cireneo” che si fa carico di tutti gli oneri e gli onori del governo, esaurendo in esse ogni energia vitale, ogni identità, ogni tensione ideale, ogni appeal elettorale. L’apparato, indisponibile a rinunciare al potere, lo ha schiacciato contro la seconda opzione, e lui non aveva né il mandato politico né la forza personale per muoversi diversamente. Certo, una gestione delle alleanze meno disastrosa di quella agostana avrebbe potuto giovare, ma non abbiamo la prova che una strategia centrista improvvisata all’ultimo minuto dopo anni di campo largo platonico (e magari una campagna elettorale meno appiattita sul terrore della destra) avrebbe prodotto risultati migliori di quelli odierni.

Letta, va detto, paga anche le scelte demenziali delle altre forze di centrosinistra. Nessuna di esse, benché minoritarie, ha mai agito pensando che prima o poi si sarebbe davvero votato, e con una legge elettorale sostanzialmente maggioritaria. Lo spettacolo di eterna rissa che si è inscenato, soprattutto tra ex compagni di partito, ha pienamente giustificato la punizione che l’elettorato ha dispensato a tutti i litiganti.

Così anche il terzo polo si ritrova nella sacca un obiettivo politico fallito, un risultato elettorale deludente, una compagine parlamentare risicata, una leadership bicipite e necessariamente instabile. I 5stelle hanno deciso di ricacciarsi nella ridotta dell’identità grillina, remunerativa nei seggi del meridione ma ora del tutto sterile per la lunga traversata che li attende all’opposizione. Non è quindi da questi potenziali alleati che può provenire una prospettiva di riscatto, e a ben guardare neppure una decente opposizione parlamentare. Anzi, queste forze continuano a definirsi come alternative al PD, come concorrenti desiderosi di occupare il suo spazio politico e indisponibili a riconoscerne la primogenitura. Più il PD sta in campo, più rabbiosa e virulenta è la contrapposizione dei suoi potenziali alleati.

Né, Dio ce ne scampi, il riscatto potrà venire dalla speranza che il centrodestra fallisca il suo appuntamento con il governo del Paese e che si riaprano scenari di larghe intese.

Se dovessi salvare qualcosa a sinistra, di questa sventurata legislatura, salverei solo i governi dei territori, dai quali continuano a provenire ottimi amministratori, stimati e reputati, ma anche esperienze politiche di successo in termini di alleanze, riforme, buona gestione, collaborazione sui programmi, lavoro comune su ciò che unisce anziché su ciò che divide.

Ma nulla di tutto ciò può essere valorizzato in un contenitore come l’attuale Partito Democratico. Troppe le cattive abitudini, troppi i cattivi esempi, troppi i fantasmi del passato e le divisioni interne. Manca il terreno buono necessario a far germogliare i semi migliori – che pure abbondano – e a farli attecchire in profondità perché portino frutto. Il PD va abbandonato a sé stesso, e a quei notabili che lo stanno sfruttando per i loro comodi. Chi ha creduto nel progetto originario può – anzi deve – serenamente recitare il suo de profundis, prendersi il suo tempo per elaborare il lutto ed alzare lo sguardo alla ricerca di nuovi progetti, prima ancora che di nuovi partiti. Il mio auspicio è che i democratici liberi dalle dinamiche di potere costituito, a partire dagli amministratori locali, si presentino in congresso riuniti sotto una mozione di apertura della fase costituente di un nuovo soggetto e di scioglimento del partito attuale. C’è tempo fino a marzo per metterne a punto obiettivi, finalità, metodo di lavoro; fondamentale sarà inserire regole draconiane per la partecipazione e la leadership dei giovani, trovare ruoli fuori linea per i seniores che hanno ancora contributi da dare ma che non possono più monopolizzare la vita del partito, infine aprire il cantiere a tutte le forze riformiste e progressiste di buona volontà. 5 anni di opposizione, al riparo da distrazioni e tentazioni governative, saranno sufficienti a selezionare le persone, le idee e le priorità.

La disfatta di queste elezioni è stata troppo sonora per pensare che l’ennesimo cambio dell’ennesimo buon segretario a parità di tutto il resto possa portare beneficio.

Addio PD, e grazie di tutto.

Sorgente: Addio al Partito Democratico | Politica per Jedi

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