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Si è decisa l’ammissione di nuove prove a favore dell’ex sindaco di Riace, tra cui un’intercettazione non presentata in primo grado

C’è un’importante novità nel processo d’appello a Domenico Lucano, detto Mimmo, ex sindaco di Riace, in provincia di Reggio Calabria, condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di reclusione per reati legati alla gestione dei celebri progetti di accoglienza dei migranti che aveva realizzato in città. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte ha ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. È un fatto molto rilevante, non frequente durante i processi d’appello.

In particolare sono state ammesse nel processo d’appello 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito ha trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste ci sono differenze, che la difesa definisce «fondamentali», tra il testo che presenta Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado. Una delle intercettazioni, poi, non venne nemmeno presentata e quindi non fu valutata dal tribunale di Locri che poi emise la sentenza di condanna.

Le cinque intercettazioni sono tutte ambientali, realizzate cioè tramite microspie poste in determinati ambienti. Due sono intercettazioni effettuate nell’auto di Lucano, due nella sede dell’associazione Città Futura, fondata da Lucano, presso il Palazzo Pinnarò di Riace, e l’ultima all’interno di uno studio professionale.

L’intercettazione che la difesa considera più rilevante venne realizzata il 20 luglio 2017, quando all’ex sindaco non era stato ancora notificato l’avviso di garanzia, non sapeva quindi di essere oggetto d’indagine né poteva immaginare che nell’ottobre 2018 sarebbe stato arrestato. L’intercettazione riguarda una conversazione tra Lucano e il funzionario della prefettura Salvatore Del Giglio, uno degli ispettori che venne inviato a Riace per redigere una relazione sulla gestione dei migranti. Al processo, Del Giglio è stato uno dei testimoni della procura contro Lucano.

Nella chiacchierata registrata e riportata da molti quotidiani, tra cui il Manifesto e il Fatto Quotidiano, Del Giglio dice a Lucano: «Non è improbabile che un domani, così come (incomprensibile) se non è già arrivata da voi, verranno la Guardia di Finanza». Poi Del Giglio spiega: «L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace. Vuole… perché oggi la mission dello Stato… sapete, lo Stato è composto… come qua da voi. C’è l’opposizione». Ancora, sempre nella stessa conversazione, l’ispettore, parlando della gestione dell’accoglienza da parte dello Stato, dice: «La mia certezza è che l’organizzazione fa acqua da tutte le parti. Non ultimo il fatto che dopo lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) non c’è niente. E allora, questo mi fa dedurre che l’obiettivo integrazione è soltanto una parola buttata là».

Lucano chiede: «Perché deve pagare Riace?» Risponde Del Giglio: «Io ritengo dal suo punto di vista della sua relazione che comunque Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative, quindi della burocrazia, abbia realizzato una realtà evidentemente ancora unica sul territorio nazionale, dovete difenderla. Con qualsiasi conseguenza. Che ve ne fotte sindaco!».

Lucano chiede: «Quindi siete d’accordo con la mia idea?» e Del Giglio risponde: «Ma certo che sono d’accordo… L’amministrazione dello Stato… ipocritamente non ha ritenuto di volerlo affrontare. Perché ancora naviga nel ni-no-na… Il caso di Riace… in Italia in un certo senso è atipico perché non ha una duplicazione da nessuna altra parte…. Io che sono pessimista per natura, quando si parla di Italia, vi dico che io vi auguro di arrivare da qualche parte. E forse, se lo farete, vi sarà possibile perché avete accanto altre forme di autorità. Ma se fate conto sullo Stato italiano, sull’apparato statale, onestamente ho le mie riserve perché si continua a guardare questo problema come a un fastidioso inconveniente di passaggio. Intanto non è di passaggio (…)».

Nel ricorso presentato in appello, gli avvocati di Lucano, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, hanno scritto che l’obiettivo di Lucano «era uno solo e in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola evidenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». In più, secondo i due legali, «il giudice di prime cure (giudice di primo grado, ndr) si è preoccupato di trovare “a ogni costo” il colpevole nella persona di Lucano, utilizzando oltremodo il compendio intercettativo, con un’interpretazione macroscopicamente difforme dal suo autentico significato».

«Perché», ha chiesto l’avvocato Daqua, «una importantissima prova a discarico è stata silenziata?».

Mimmo Lucano, nel settembre 2021, era stato giudicato colpevole in primo grado di associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Le motivazioni della sentenza di condanna erano state depositate a dicembre. I giudici scrissero che Lucano era «invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo. Ma essendosi reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, Lucano aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti».

Secondo le motivazioni, gli investimenti fatti con i soldi avanzati dal progetto di accoglienza per i migranti erano «una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».

Il cosiddetto “modello Riace”, messo a punto da Lucano e dalla sua giunta, prevedeva che ai richiedenti asilo fossero assegnate in comodato d’uso le case abbandonate e recuperate del vecchio centro abitato della cittadina, e che i soldi dei progetti di accoglienza stanziati dal governo fossero usati per borse lavoro e per attività commerciali gestite dagli stessi richiedenti asilo insieme ai cittadini del paese. Il modello di integrazione seguito a Riace divenne presto famoso in tutta Europa: nel 2016 Lucano fu citato dalla rivista Fortune tra le 50 personalità più influenti al mondo.

Dopo che la Corte d’appello di Reggio Calabria ha reso nota la decisione della riapertura dell’istruttoria dibattimentale, Mimmo Lucano ha detto di essere fiducioso. Parlando con Il Manifesto ha però spiegato:

«Ma non mi interessa una riduzione di pena, sconti o altro. Io voglio l’assoluzione piena. Voglio solo ristabilire la verità. Mi hanno condannato perché secondo loro avrei truffato lo Stato destinando i fondi dell’accoglienza ad altri progetti? Quei soldi sono serviti a fare una scuola, un frantoio e i laboratori in cui lavoravano riacesi di nascita e d’adozione. Basta venire a Riace per averne la prova».

Per gli avvocati le nuove prove «potranno cambiare le sorti del processo» che riprenderà il 26 ottobre.

Sorgente: C’è una grossa novità nel processo d’appello a Mimmo Lucano – Il Post

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