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19 April 2024
0 10 minuti 2 anni

Centinaia i militari morti per i bombardamenti nella ex Jugoslavia, ecco il documento con il quale l’organizzazione militare vorrebbe “salvarsi”. E poi c’è il caso “Torio” di Teulada e Quirra, anche qui la Nato invocherà l’immunità?

Per tutti era “Snuffy”, l’ammiraglio dal fiuto lungo. Leighton Warren Smith, figlio di un allevatore di maiali dell’Alabama, Stati Uniti del sud, nella sua vita ha bombardato come pilota di caccia d’attacco per ben 280 volte il Vietnam più profondo. Gli annali di quella guerra letale gli attribuiscono il merito di aver distrutto persino il ponte Thanh Hoa, il più resistente di tutto il Vietnam del Nord. Nel 1994 è diventato il Comandante in Capo delle Forze della Marina degli Stati Uniti in Europa e delle Forze Alleate della Nato nel Sud Europa. Sono gli anni nefasti delle operazioni Nato in Bosnia. In pochi sanno quello che sta realmente accadendo in quella terra di corvi e morti. Smith è a capo di quelle operazioni di guerra.

Snuffy sa tutto

Lui, invece, sa tutto. Conosce, come pochi, l’impatto di quelle bombe che gli aerei sganciano come una pioggia torrenziale su obiettivi civili e militari. Lo ripete ai più alti in grado e si scontra senza mezze misure con gli assertori della folle teoria che bisogna “bombardare per la pace”. Il 31 luglio del 1996 con un colpo di scena, in piena guerra, rinuncia alla guida della Marina degli Stati Uniti e delle forze della Nato in Europa. L’abbandono è prematuro, inatteso, per molti versi senza una spiegazione. Lui, però, sapeva tutto, compreso il tipo di proiettili che copiosamente si stavano scaraventando, senza un domani, in quella terra di sangue e guerra fratricida. Prima di lasciare l’incarico, però, è il 31 agosto del 1995, nel quartier generale della Nato del sud Europa, a Napoli, raduna tutti i vertici militari italiani e non solo.

Italia, negare sempre

Ci sono i Capi di Stato Maggiore delle tre Armi e della Difesa. Camicia desertica, maniche corte, graduata con le onorificenze più alte, un microfono in mano e un cavalletto da pittore sulla sua destra. Il cartello che illustra ai suoi omologhi del Bel Paese non è cifrato. Tutt’altro. La rappresentazione è geografica e numerica: «Abbiamo bombardato in 359 aree, con 3.500 colpi». È molto più che una confessione. Insieme al numero di “targets” colpiti, c’è anche l’ammissione più cruenta: «abbiamo usato armi all’Uranio impoverito». Il messaggio è fin troppo chiaro: la presenza di militari, anche in assetto di “peacekeeping”, per mantenere la pace, può essere letale. L’informativa è riservata ai vertici militari che, però, dopo qualche anno se ne dimenticano. Gli “smemorati” della Difesa italiana sono talmente “distratti” che finiscono per mandare i militari italiani, la maggior parte saranno sardi, con la Brigata Sassari, direttamente in quelle aree colpite da proiettili letali all’uranio impoverito. Negano tutto, però. E il primo a negare quei fatti è il Ministro della Difesa di allora, Sergio Mattarella, l’attuale Capo dello Stato, che, il 27 settembre del 2000, a Montecitorio affermava: «Desidero anzitutto riaffermare che ad oggi nessun militare del nostro contingente in Kosovo è stato rimpatriato perché affetto da leucemia e che non sono mai emersi casi sospetti di questa malattia. Va escluso anche che siano collegabili all’uranio impoverito i due casi letali di leucemia acuta che si sono verificati nelle Forze armate, il primo sei anni fa, il secondo l’anno passato. Nel secondo caso, il giovane militare era stato impiegato in Bosnia, precisamente a Sarajevo, dove non vi è mai stato uso di uranio impoverito».

La strage di Stato

Le sentenze giudiziarie diranno ben altro. I due militari, di cui uno sardo, sono morti per casi di leucemia acuta provocata proprio dall’uranio impoverito, lo stesso per il quale “Snuffy” aveva avvertito tutti i vertici militari italiani. Dopo di loro la strage, silenziosa, di militari coinvolti in quelle missioni di pace non si è mai fermata. L’Osservatorio Militare tiene la mesta contabilità delle croci: 7600 i militari italiani che si sono ammalati di cancro a causa dei proiettili all’uranio impoverito utilizzati dalla Nato durante i bombardamenti del 1999 in Jugoslavia e, di questi, 400 sono deceduti. Negare è sempre stata la regola. Nei report di allora si leggeva: le analisi hanno permesso di confermare che i livelli di inquinamento radioattivo nelle aree dove operano i nostri soldati sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalle norme italiane per il nostro territorio.

Tutto falso

Ovviamente, tutto falso. I Tribunali italiani, quelli civili e amministrativi, in centinaia di sentenze, ribaltano “la verità di Stato” per affermare quella che condanna il Ministero della Difesa a risarcire danni di ogni genere. Una vera e propria ecatombe giudiziaria. L’avvocato che mette a soqquadro il Palazzo dei Generali è la “bestia nera” di via XX settembre, sede romana del dicastero di guerra. Angelo Fiore Tartaglia da 20 anni, causa dopo causa, mette spalle al muro uno Stato, quello della Difesa, che vorrebbe negare giustizia proprio alle vittime dell’Uranio impoverito, servitrici di quella nazione che le ha mandate “consapevolmente” ad ammalarsi in Kosovo come in Bosnia.

Lo sbarco nei Balcani

Ora quei fatti giudiziari varcano il confine del Bel Paese per sbarcare direttamente nelle aule giudiziarie dei Balcani, a partire dal Tribunale di Belgrado. Il pool di legali ha deciso di chiedere all’avvocato delle vittime italiane di guidare la difesa di migliaia di vittime civili colpite proprio da quei bombardamenti che “Snuffy” voleva evitare. Sono 3.300 i cittadini bosniaci che hanno già sottoscritto la delega legale per mettere sotto accusa la Nato accusata di aver devastato i Balcani a colpi di uranio impoverito causando migliaia di vittime civili e non solo. Non è una passeggiata per la Nato che pensava di aver chiuso da tempo i conti con l’ignavia e la coscienza. Per la prima volta nella storia del Kosovo, della Bosnia e dei Balcani, dell’Italia, della Sardegna e della giustizia militare l’Organizzazione del Trattano Nord Atlantico, la Nato appunto, verga e trasmette al Tribunale di Belgrado una Nota a Verbale, della quale riproduciamo integralmente, in esclusiva, il testo.

Nato & immunità

Nel documento, senza mezzi termini, dichiara: la Nato è immune dalla giurisdizione in virtù di accordi di cooperazione e presenza di un Ufficiale di collegamento della Nato in Serbia. Come per dire: fermiamo tutto, non ci potete processare perché la nostra organizzazione gode di una immunità senza confini. Compresi i crimini di guerra, dunque, secondo l’immunità eccepita dalla Nato, possono “godere” dell’immunità, quella più totale e senza appello.

In Bosnia la “bestia nera”

La comunicazione è del 21 marzo scorso, ma è emersa solo ieri nell’ambito dell’acquisizione degli atti processuali a Belgrado. Una mossa da ultimo stadio, che sa di confessione, visto che l’immunità giurisdizionale invocata altro non è che l’estremo tentativo di sottrarsi al processo.Angelo Fiore Tartaglia non gioca in casa, ma non si scompone. Ogni giorno di più, in quella landa balcanica rasa al suolo dall’uranio impoverito, cresce la consapevolezza delle tante vittime e dell’infinita devastazione ambientale provocata da quei bombardamenti. Le mosse per annientare la richiesta “confessoria” della Nato sono state depositate ieri a Belgrado. L’avvocato delle vittime da uranio impoverito non si perde in chiacchiere: l’accordo a cui fa riferimento la Nota della Nato è stato stipulato dopo i fatti in contestazione. In pratica saremo dinanzi ad una immunità siglata nel 2005 che non può essere retroattiva per il periodo 1995-2000.

Avvocato senza remore

C’è di più nella replica dell’avvocato italiano: «La presenza di un Ufficiale di collegamento, insediatosi dopo i fatti in contestazione, non acquisisce efficacia sanante nei confronti di una condotta che costituisce comunque una violazione delle norme fondamentali del diritto umanitario internazionale (consistenti nell’aver commesso crimini di guerra)». L’accusa nelle note depositate a Belgrado da Angelo Fiore Tartaglia sono un atto d’accusa senza appello: «La condotta della Nato, alla luce dei dettagli fattuali illustrati nell’atto introduttivo, risulta certamente classificabile quale “crimine di guerra” in quanto incontrovertibilmente riconducibile a quanto previsto espressamente al secondo comma dell’art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.

Crimini di guerra

Detto articolo così recita testualmente: “Agli effetti dello Statuto, si intende per “crimini di guerra”: gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno dei seguenti atti posti in essere contro persone o beni protetti dalle norme delle Convenzioni di Ginevra: omicidio volontario; tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici; cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute».

Rischio Sardegna

Il processo a Belgrado entra nel vivo. In Sardegna, invece, le immagini “radioattive” di Quirra e Teulada, con l’uso di missili a tracciamento a base di Torio, ben più pericoloso dell’Uranio impoverito, aprono uno scenario inquietante. La Nato, insieme alle forze italiane, ha operato ripetutamente nei poligoni della Sardegna con conseguenze gravissime sul piano ambientale e non solo. La domanda sorge spontanea: chiederanno l’immunità anche per il disastro nella terra dei Nuraghi?

 

da: L’Unione Sarda.it

Sorgente: Uranio impoverito, la Nato invoca l’immunità

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