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Il comizio dei due leader a Verona per spingere il candidato Sboarina. FI con Tosi. Siparietto sul palco: “Non faremo la fine di Giulietta e Romeo”

VERONA – Più che una reunion, alla fine, sembrava la sagra degli abbracci. Se e quanto genuini si può intuire, e comunque si vedrà. Risultato: Meloni mattatrice (“Giorgia!, Giorgia!” è il primo coro che si alza, il più caldo); tanti autonomisti, ovvero la claque del “doge” Zaia, applauditissimo padrone di casa, che gridano “Veneto libero!”; Salvini in affanno a rincorrere nella scia dell’alleata-competitor. “Guardateci, siamo belli come il sole”, e la stringe. In piazza dei Signori tanti “capifamiglia”, status identitario caro alla destra sovranista e conservatrice del “Dio, patria e…”.

Maschi alfa naturalmente inclini alle campagne securitarie e dunque paladini di una Verona “bella”, “pulita”, “sicura”: si sa che cosa s’intende. Bandiere con la fiamma e anche leoni di San Marco; a occhio, sopra le teste, più FdI che Lega, sarà che i vessilli leghisti di un tempo – nell’era Tosi, il cui fantasma assetato di scherzetti aleggia – avevano il Sole delle alpi e invece adesso sono più che altro scritte su scritte. Eccoli “Giorgia” e “Matteo”: insieme sullo stesso palco. Dopo mesi. Abbracciati e divisi, vicini e lontani. Perché il sottopancia di questo comizio congiunto per sostenere il sindaco uscente di FdI Federico Sboarina è sempre lo stesso: la lotta per il primato nel centrodestra. Il match ai punti fa tappa nella fatal Verona. È l’appuntamento più atteso.”Il centrodestra è compatto”, ripetono tutti e due. Stessa musica della vigilia. È la formula concordata tra le parti. Ma è plasticamente evidente che dietro quella frasetta-mantra covano i tizzoni ardenti della sfida Lega-FdI, ormai prossima alla resa dei conti. “Poiché ci hanno detto che siamo come Romeo e Giulietta, vi garantisco che non faremo la stessa fine”, schiaccia la battuta Meloni.

Dopo l’incontro per definire la strategia sull’elezione del presidente della Repubblica, era dal vertice dei leader di centrodestra ad Arcore, a maggio, che non si rivedevano: e certamente anche l’esito disgiunto di quelle manovre – sciagurate e fallimentari da parte del segretario della Lega, attendistiche e dunque infine a loro modo azzeccate da parte della leader di FdI – hanno influito sul “gelo”. La serata doveva servire a dare l’immagine della fluidità, della compattezza. I due big della destra salgono sul palco in momenti diversi: ad annunciare l’arrivo di Salvini e Zaia è la stessa Meloni, la prima a presentarsi al pubblico, introdotta da Sboarina. Piazza piena per metà, non proprio un bagno di folla. “Verona è storicamente una città di destra, non può andare alla sinistra” , sarà la chiosa del candidato sindaco di FdI e Lega (Forza Italia sostiene Tosi). Basta dare un’occhiata a chi c’è.. Sulle ali della piazza e in fondo, decine di teste rasate, qualcuno di CasaPound. Ci sono i naziskin di Piero Puschiavo, leader storico del Veneto fronte skinhead, oggi dirigente meloniano. Ultrà dell’Hellas e alfieri dell’ultracattolicesimo integralista, ci sono qusi tutti. “Giorgia! Giorgia” grida la piazza. Poi parte un “Luca! Luca!”. Per Salvini zero cori. Scalda un po’ di più quando, a proposito della polemica sul “capofamiglia” reintrodotto qui a Verona dalla Lega nelle lettere elettorali, dice “viva i bambini che nascono da un papà e da una mamma”.

Che poi nemmeno si capisce, tecnicamente, il senso della sottolineatura. Ancora il “capitano”: “Tra un anno, insieme agli amici di Forza Italia, governeremo l’Italia”. Chi sarà il leader della coalizione, se l’intesa terrà, non è difficile immaginarlo. “Mi dicono più brava che bella”, si prende in giro la Meloni. Molti sono venuti per lei, molti altri per Zaia. La componente salviniana, guardando la folla, ne esce contratta. “Sono io che ho voluto questa serata insieme”. 

Il sempre più arrancante capo leghista si è intestato la paternità dello show insieme all’alleata: una medaglietta di Pirro che Meloni lascia scorrere come acqua fresca sulla freschezza dei sondaggi a lei favorevoli. “Abbiamo, avete, avrete un grande sindaco”, dice lei. “Con Sboarina Verona è tornata capitale della cultura e basta biglietti dell’Arena agli amici degli amici”. Ci sarebbe anche Maurizio Lupi, come macchia “centrista”. Ma gli umori, meglio di tutti, li intercetta Zaia. Versione sceriffo: “I ragazzi di Peschiera del Garda devono finire in galera, chi non è d’accordo stasera è nella piazza sbagliata”. La scena finale è identica a quella dell’inizio: abbracci. Abbraccio mediatico. “Giulietta” e Romeo sorridono un po’ forzati. Uniti lassù, sotto i riflettori, distanti anni luce appena scendono. Il prima erano stati i botta e risposta sulle amministrative di domenica. Coi due che si sono rinfacciati le mancate alleanze in 15 Comuni. Poi, a poche ore da questo incontro sfuggente che sa di passaggio obbligato più che una carrambata, il tentativo di tenere insieme i pezzi. “Situazioni minoritarie”. Meloni definisce così i casi di divisione. Dettaglio: una delle situazioni minoritarie è proprio Verona, dove – dice lei – “curiosamente Forza Italia non sostiene il sindaco uscente di FdI”. Donna Giorgia Se la prende coi berlusconiani, sì, ma sembra parlare a scuocera affinché nuora intenda.

 

Sorgente: Salvini e Meloni a Verona: tregua e abbracci, ma in gioco c’è il primato a destra – la Repubblica

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