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L’obiettivo era togliere il nome del leader dal logo della Lega. Ma il blitz è stato bloccato per garantire la ricandidatura di Fontana in Lombardia

di Matteo Pucciarelli

MILANO – Per capire l’aria che tira davvero nell’ormai ex ed ultimo partito “leninista” basta farsi un giro al Pirellone, sede del Consiglio della Lombardia, con il folto gruppo della Lega composto da 30 eletti; lì a microfoni spenti si racconta del putsch rimandato, tra lo scontento generale. Subito dopo il risultato più che mai deludente dei ballottaggi ci si aspettava la presa di posizione in chiaro, di aperta contestazione della linea di Matteo Salvini, da parte di Massimiliano Fedriga e Giancarlo Giorgetti, con il silenzio assenso di Luca Zaia e dei veneti, con l’appoggio di svariati parlamentari e consiglieri regionali (almeno dieci in Lombardia).

Si doveva arrivare lì dove nessuno fino a qualche tempo fa neanche si azzardava a pensare, figurarsi a dirlo: chiedere un congresso straordinario per cambiare il nome alla Lega per Salvini premier, trasformandola semplicemente in Lega. Un atto simbolico, ma potente. “Sincero, una cosa del genere non l’ho mai sentita”, glissa il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, la scorsa legislatura guidava i consiglieri lombardi. “Attendavamo tutti il segnale, eravamo pronti – confida però uno dei congiurati – poi c’è stato lo stop: in questo momento era e rimane troppo importante garantire la ricandidatura di Attilio Fontana“, ovvero il presidente uscente che sotto sotto il segretario federale, se potesse, vedrebbe bene altrove. Incarnando Fontana il terzo anello dell’asse dei governatori del nord che tanto impensierisce, e a ben vedere, il “Capitano”. Ma non c’è, o non c’era, solo la richiesta di un congresso vero che aleggia, perché nel gruppone dei dissidenti qualcuno è convinto che il partito non sia scalabile e quasi converrebbe uscire. “L’opzione è stata discussa, è tra le ipotesi”, conferma un altro leghista di stanza in Lombardia.

 

 

Il capogruppo del Carroccio in Regione, Roberto Anelli, assicura che “al momento il problema del nome del partito è l’ultimo che abbiamo, quello che noi vogliamo adesso è far ripartire la macchina, tornare sui territori, darci la pacca sulla spalla tra militanti, è questo che ci fa bene a tutti: ricominciare con le feste, con il pratone a Pontida, ci serve il contatto con la nostra gente”. Quanto al malcontento, “come avviene nei partiti si sta cercando di capire perché stiano mancando i consensi, è normale però”, ragiona Anelli. Il problema è che la faglia sta(va) per uscire allo scoperto, Salvini e i suoi fedelissimi lo sanno e anche per questo il leader azzoppato ha offerto in fretta e furia una sorta di patto con i presidenti di Regione e con Giorgetti, la creazione di un ufficio politico per guidare il partito da qui alle elezioni.

 

 

E magari – è l’auspicio ma anche il sospetto di molti – per poi dividere equamente la torta delle candidature per il Parlamento, argomento quanto mai scottante visto che per la Lega si prevede un taglio drammatico degli eletti per via della mannaia della riforma voluta dai 5 Stelle e a causa del calo dei consensi che oggi fa sembrare assai lontano il 18 per cento del 2018. “La malattia esiste e il leader non può più fare finta di nulla, ora dobbiamo fare pulizia delle mezze figure, è finito il momento degli amici al bar, servono merito e competenza”, si sfoga un altro deputato. I numeri nella regione culla del Sole delle alpi, il vecchio zoccolo duro, sono da mani nei capelli: un consigliere eletto a Monza (erano sette), uno a Como (erano sei), tre a Lodi (erano sette), due a Sesto San Giovanni, dove pure il centrodestra ha vinto. Non è una dissoluzione ma di questo passo si fa presto. E il motivo è presto detto, perlomeno per gli insofferenti al salvinismo: la Lega ha dimenticato di esser nata per rappresentare il nord e il federalismo. “L’autonomia è la ragione fondante della Lega, non la vogliono quelli che preferiscono chiudersi nei palazzi romani e dimenticare da dove vengono”, scriveva giusto tre giorni fa sui social Paolo Grimoldi, già a capo della Lega Lombarda, oggi deputato. Il richiamo delle origini torna quindi a far proseliti, domenica a Pontida per siglare il “patto di lealtà per il nord” dell’associazione-corrente Autonomia e Libertà guidata dall’ex ministro Roberto Castelli c’erano 150 persone: poco meno degli iscritti al partito in tutta Milano.

 

Sorgente: Lega, la congiura mancata contro Salvini: “Congresso subito per cambiare simbolo” – la Repubblica

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