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19 April 2024
0 5 minuti 2 anni

Il grano c’è, a milioni di tonnellate. Nei porti contesi tra Russia e Ucraina. Su camion che viaggiano verso la Russia, Su misteriose navi russe che spengono il transponder in mezzo al mare e non si sa più dove facciano prua. Nei depositi di stoccaggio dei grandi produttori mondiali, mai così pieni. Il grano c’è, ovunque. Ma non sulla tavola di milioni di abitanti di nazioni povere, per lo più in Africa e Medio Oriente. E’ la battaglia del grano, la carestia senza che manchi il cibo. Ed è appena cominciata.

Ieri è stato annunciato un accordo preliminare tra Mosca e Kiev, con la mediazione della Turchia di Erdogan, per le 25 milioni di tonnellate di grano accatastate nei silos ucraini: genieri turchi smineranno il Mar Nero (minato dagli ucraini dopo l’invasione russa dei loro porti, dice Mosca) e potrebbero metterci un mese, poi la marina militare di Ankara scorterebbe i cargo dai porti ucraini catturati fino ad acque neutrali, e da qui versi i mercati della fame. Tra Bosforo e Dardanelli, secondo la Convenzione di Montreux del 1936, solo la Turchia decide chi più passare, e solo Bulgaria e Romania (rivieraschi e membri della Nato) potrebbero scortare i convogli.

Per ora limitato a Odessa, l’accordo è stato annunciato dal giornale russo Izvestia come raggiunto tra Russia e Ucraina e dall’agenzia americana Bloomberg come raggiunto solo da Russia e Turchia. L’Ucraina in effetti non si fida. «Putin dice che non userà le vie commerciali per attaccare Odessa? È lo stesso Putin – afferma il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba – che diceva al cancelliere Scholz e al presidente Macron che non avrebbe attaccato l’Ucraina». Trattative sono in corso, alla scorta potrebbero aggiungersi altri paesi, potrebbero persino muoversi sotto ombrello Onu. Ma Kiev avrebbe una soluzione migliore, la solita: armi. «Dateci armamenti navali – ha chiesto il presidente Zelensky – e scorteremo noi i nostri convogli. Da qui all’autunno il grano fermo nei silos arriverà a 75 milioni di tonnellate». È il nostro grano, ce lo trasportiamo e ce lo vendiamo noi, oltretutto i russi ce lo stanno già saccheggiando.

A caccia del grano rubato si è messo il Dipartimento di Stato americano. Un cablogramma da Washingtion ha avvertito 14 paesi, per lo più africani, che navi russe cariche di 500mila tonnellate di cereali saccheggiati sono stati imbarcati su navi russe che potrebbero arrivare nei loro porti. Le navi sarebbero tre, almeno quelle individuate, e avrebbero spento i transponder una volta al largo, sparendo dalla mappa marittima. Potrebbero riapparire ovunque – gli Stati uniti chiedono persino segnalazioni a chiunque le vedesse da riva – e la richiesta americana è quella di non comprare il loro contenuto, per non diventare complici di un crimine di guerra.

Chiedere a un paese affamato di non comprare decine o centinaia di migliaia di tonnellate di grano in quanto sarebbe refurtiva è piuttosto impraticabile. Ai reporter del New York Times che hanno lanciato la notizia delle navi pirata cerealicole, scritto onestamente che solo nel Corno d’Africa ci sono dai 14 ai 17 milioni di affamati (colpa della siccità e un pochino anche del neoliberismo, non della guerra) e chiesto interviste all’Istituto di studi strategici Horn in Kenya, il direttore Hassan Kannenje ha risposto tagliente: «Non è proprio un dilemma, agli africani non importa da dove viene il loro cibo, e se qualcuno vuole farci sopra del moralismo si sbaglia di grosso. Il bisogno di cibo è così forte che non c’è proprio niente da dibattere”.

La fame africana, naturalmente, interessa anche all’Italia. Domani alla Farnesina si svolgerà un’iniziativa multilaterale con 24 paesi dell’area mediterranea e 7 organizzazioni internazionali, la principale delle quali è la Fao, che porterà il direttore generale Qu Dongyu. Per trovare “misure concrete per affrontare l’impatto” della crisi del grano, e “trovare una soluzione che eviti una crisi alimentare che provocherà maggiori flussi migratori verso l’Italia”. Flussi migratori, per questo ci interessa. E per questo potrebbe interessare anche Putin: usare la fame come grimaldello di instabilità per punire paesi renitenti e premiare quelli che lo chiamano “il caro amico Putin” – come ha fatto di recente il presidente del Senegal (e dell’Unione africana) Macky Sall in visita alla residenza putiniana di Sochi. Criticatissimo, ma spiegatelo ai senegalesi, che compravano il 20% del loro grano dall’Ucraina e il 46% dalla Russia…

Sorgente: IlManifesto.it

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