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Palazzo Chigi ora punta all’ok ucraino: in cambio Mosca si deve impegnare a non sfruttare l’opportunità per sbarcare nel Sud . La sponda di Usa e Ue

di Tommaso Ciriaco

ROMA – È un piano ardito. Quasi un “esperimento”, perché se dovesse riuscire sul grano potrebbe essere replicato per sbrogliare altri nodi e avvicinare una tregua. Prevede un patto – sia pure provvisorio e su un singolo punto – tra Kiev e Mosca. Mario Draghi ci lavora da due settimane per “liberare” le materie prime bloccate a bordo dei cargo ed evitare una crisi alimentare globale. Un percorso a tappe che è possibile sintetizzare così: gli ucraini si impegnano a sminare i porti in cui rischiano di marcire enormi quantità di cereali, i russi promettono di non attaccare le squadre di esperti impegnati nell’operazione. E, soprattutto, accettano di non sfruttare la finestra di accordo per sbarcare sulle coste di Odessa. La città che mai e poi mai sarà ceduta, pronta a resistere al nemico invasore.

 

Un piano ardito, appunto. Per il momento scritto sulla sabbia delle speranze diplomatiche. Ma che è possibile ricostruire soltanto adesso unendo i puntini degli ultimi contatti del presidente del Consiglio. L’idea nasce a Palazzo Chigi dopo aver ottenuto il via libera di Biden nel corso della missione di metà maggio alla Casa Bianca. Prende forma con la sponda di Bruxelles e il sostegno di Macron, che il premier incontrerà il prossimo 9 giugno durante un viaggio a Parigi per l’Ocse. E si propone di aggiungere un nuovo tassello lunedì, durante il Consiglio europeo straordinario, dove l’ex banchiere conta di compattare gli alleati.
Passo dopo passo, dunque. Il primo è stato il contatto con Zelensky, sabato scorso. Ne è seguita la richiesta al Cremlino di un colloquio con Vladimir Putin, fino alla telefonata di ieri. E la proposta di un progetto “umanitario”, perché a rischiare è soprattutto l’Africa.

 

 

Sia chiaro, nulla è scontato, perché si tratta di una mediazione al limite dell’impossibile. Lo ammette anche Draghi, senza bluffare: “Attenzione, è un tentativo che potrebbe finire nel nulla, ma che mi sento di fare. La gravità della situazione ci impone di rischiare e provare cose che possono anche non riuscire”. C’è un cruccio, in particolare, che spinge il capo dell’esecutivo a esporsi mentre la trama è ancora incompleta: non restare ostaggio della propaganda del Cremlino. La comunicazione di Putin sceglie di raccontare in fretta l’esito del colloquio. E mette in fila alcuni dati, non tutti coincidenti con quanto dirà poco dopo il premier. I russi fanno sapere che a chiamare è stato l’italiano. Che la crisi alimentare è colpa delle sanzioni e a bloccare i porti sono le mine ucraine. Che è possibile sminarli e liberare le navi a patto che l’Occidente cancelli misure ingiuste (a sera, poi, slegherà le due questioni). Che Mosca, infine, continuerà a fornire gas all’Italia ai prezzi già concordati. Draghi deve riequilibrare il racconto. Circoscrive l’iniziativa alla “battaglia del grano”, oltreché assicurare agli alleati americani che nessuna sponda – men che meno energetica – sarà fornita a Putin.

 

 

Per il premier non esiste la precondizione della revoca delle sanzioni. Ricorda che sono state varate a causa dell’invasione russa e non ne fa cenno descrivendo la trattativa: “La crisi alimentare che si sta avvicinando in alcuni Paesi africani è già presente e avrà proporzioni gigantesche. Dobbiamo vedere se è possibile una cooperazione tra Russia e Ucraina sui porti”. Serve “collaborazione”, dice. Ma come? “Da una parte devono sminare, dall’altra garantire che non avvengano attaccati durante lo sminamento”. Oltre non si spinge. Ad esempio, non dice nulla su un’opzione che pure esiste, quella del coinvolgimento di Paesi terzi (l’Italia sarebbe disponibile) per gestire la bonifica. Uno scenario che però presenterebbe enormi problemi, a partire da un quesito pesante: cosa potrebbe accadere se una nave di una marina occidentale venisse attaccata dai russi nel Mar Nero?

 

Non dice di più neanche sui paletti fissati dai contendenti. “Non abbiamo esplorato a lungo le garanzie – precisa – perché può essere che il tentativo non avrà esito”. È chiaro insomma che per adesso si cerca soprattutto di costruire fiducia tra nemici. Draghi, comunque, prende il buono del momento: ” C’è stata una disponibilità di Putin a procedere in questa direzione. Chiamerò Zelensky per vedere se c’è una analoga volontà”. La ragione dello sforzo è etica, ma anche strategica. Una crisi alimentare avrebbe conseguenze nei processi migratori. L’Italia, che è confine Sud dell’Europa, verrebbe investita da flussi pesanti. È l’emergenza è già adesso, come ha spiegato il Presidente algerino in visita a Palazzo Chigi, descrivendo la tenaglia che minaccia l’area: penuria di grano, aumento dei prezzi. Roma vuole mostrare al Continente più povero un interesse. Un modo, anche, per contrastare la penetrazione cinese e russa in Africa.

Sorgente: Il negoziato del premier Draghi per liberare il grano: “Via le mine da Odessa” – la Repubblica

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