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Pena ridotta di un anno per Di Bernardo, che si è costituito a Isernia e D’Alessandro accusati di aver massacrato il giovane. Le scuse dell’Arma alla famiglia: “Violati i nostri principi”

di Andrea Ossino

La Cassazione ha cristallizzato ciò che ormai era evidente da tempo: i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro hanno massacrato e ucciso Stefano Cucchi e per questo motivo dovranno scontare 12 anni di carcere, uno in meno di quanto già deciso dalla Corte d’Appello. Di Bernando qualche ora dopo si costituisce in una caserma di Isernia.

I carabinieri si scusano con la famiglia: “Violati i nostri principi”

“Siamo vicini alla famiglia Cucchi di cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere al nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico”. Così il comando generale dei carabinieri dopo la sentenza,  sottolineando che a questo punto “saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore” i procedimenti disciplinari a carico dei due. La sentenza, aggiunge l’Arma “ci addolora perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire”

Ilaria Cucchi: “Fatta giustizia, Stefano fu ucciso di botte”

“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via”. Sono le parole di Ilaria Cucchi subito dopo la lettura della sentenza. “Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie va anche al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”, ha concluso la sorella di Stefano.

Appello bis per Mandolini e Tedesco

Da rifare invece il processo di secondo grado nei confronti del maresciallo Roberto Mandolini e di Francesco Tedesco, accusati di aver mentito su ciò che è accaduto la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 nella caserma Casilina, quando il ragazzo romano era stato fermato dopo essere stato trovato con pochi grammi di droga. Mandolini era stato condannato a scontare 4 anni di reclusione, mentre Tedesco, che dopo anni ha deciso di vuotare il sacco raccontando ciò che sapeva, era stato condannato a due anni e mezzo di carcere. Per entrambi è previsto un appello bis.

Il pg: “Stefano e la sua famiglia hanno vissuto una vera e propria via Crucis”

Una sentenza, quella appena emessa, che arriva appena pochi giorni prima della conclusione dell’altro procedimento, quello sui depistaggi nati per coprire i fatti e terminati con il processo in cui sono coinvolti altri otto carabinieri.  Perché se è vero che, come ha detto il procuratore Generale della Cassazione Tommaso Epidendio, Stefano Cucchi ha vissuto una vera e propria via Crucis “in cui tutti coloro che lo vedevano rimanevano impressionati dalle sue condizioni”, è altrettanto vero che anche le vicende processuali collegate alla sua morte si sono trasformate in un calvario in cui la famiglia e l’avvocato Fabio Anselmo hanno dovuto lottare per 13 anni prima di riuscire ad ottenere la verità.

 

 

Anselmo: “Una vicenda estenuante, 15 gradi di giudizio e 150 udienze”

“Quindici gradi di giudizio, più di 150 udienze. È una vicenda estenuante, siamo stremati ma siamo arrivati fin qui e abbiamo avuto sempre fiducia nella verità”, aveva infatti detto l’avvocato Anselmo entrando al “Palazzaccio” per l’ultima udienza, quella con cui sono stati giudicati i quattro carabinieri che lo scorso 7 maggio erano stati condannati dalla Corte di Assise di Appello di Roma.

 

L'avvocato della famiglia Cucchi, Corrado Oliviero, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d'appello per la morte di Stefano Cucchi
L’avvocato della famiglia Cucchi, Corrado Oliviero, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi (ansa)

 

I giudici avevano emesso una sentenza a 13 anni di carcere per omicidio preterintenzionale nei confronti dei militari Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, mentre Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, accusati di falso, erano stati rispettivamente condannati a scontare quatto e due anni e mezzo di carcere. Nel verdetto i giudici dell’appello avevano confermato le aggravanti dei futili motivi: “le violente modalità con cui è stato consumato il pestaggio ai danni dell’arrestato, gracile nella struttura fisica, esprimono una modalità nell’azione che ha ‘trasnodatò la semplice intenzione di reagire alla mera resistenza opposta alla esecuzione del fotosegnalamento”, avevano scritto.

 

 

Il sette aprile le sentenza per i depistaggi

Da un lato il procedimento appena concluso sul pestaggio letale, dall’altro il processo per i depistaggi, su cui giovedì prossimo dovranno esprimersi i giudici romani. E in mezzo altri filoni di indagine, sentenze, mistificazioni e prescrizioni. Una lunga storia che il sostituto procuratore Giovanni Musarò ha rimesso in ordine quando nel 2015 è stato riaperto il caso. Perché oltre al pestaggio e ai depistaggi c’è stata anche una prima inchiesta. Erano stati coinvolti tre agenti della polizia penitenziaria, poi assolti in via definitiva e ora parti civili nel procedimento sui depistaggi: “Io sono stato tradito da altri servitori dello Stato – aveva detto Nicola Minichini, uno degli agenti della Penitenziaria, sentito nel processo sui depistaggi – che hanno falsificato documenti, uomini che portano la divisa anche se di un altro colore ma che lavorano per lo Stato come me. Una cosa impensabile”.

 

Il generale Vittorio Tomasone, ex comandante provinciale dei carabinieri di Roma, testimonia nell'ambito del processo bis
Il generale Vittorio Tomasone, ex comandante provinciale dei carabinieri di Roma, testimonia nell’ambito del processo bis (ansa)

 

E ancora alla sbarra, in un altro processo, erano finiti cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini, accusati di omicidio colposo e poi assolti nel novembre 2019 grazie alla prescrizione, intervenuta per 4 medici imputati, mentre uno di loro non avrebbe “commesso il fatto”. Processi terminati in un nulla di fatto, indagini scaturite dalle menzogne, sentenze in arrivo e una verità sancita questa sera

 

Il comando generale dell’Arma: “Addolorati per i comportamenti contrari ai nostri valori”

 

“La sentenza emessa oggi dalla Corte di Cassazione sancisce le responsabilità di due dei quattro carabinieri coinvolti, a diverso titolo, nella vicenda della drammatica morte di Stefano Cucchi. Una sentenza che ci addolora, perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve, sempre e comunque, ispirare il proprio agire – è il commento del Comando generale dell’Arma – Siamo vicini alla famiglia Cucchi, cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere la nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico. Ora che la giustizia ha definitamente terminato il suo corso, saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore, i coerenti procedimenti disciplinari e amministrativi a carico dei militari condannati. Lo dobbiamo alla famiglia Cucchi e a tutti i Carabinieri che giornalmente svolgono la loro missione di vicinanza e sostegno ai cittadini”.

 

I due carabinieri condannati pronti a consegnarsi: Alessio Di Bernardo si è costituito in caserma a Isernia

“Quando ha appreso la sentenza il mio assistito è rimasto in silenzio ed è andato a costituirsi in caserma a Isernia”. Ad annunciarlo è l’avvocato Lara Capitanio, dello studio Pesaturo, difensore di Alessio Di Bernardo, uno dei due carabinieri condannati a 12 anni che ha aggiunto: “Anche la Cassazione ha risentito della mediaticità della vicenda”.

E anche l’avvocato Maria Lampitella, difensore di Raffaele D’Alessandro, l’altro carabiniere condannato a 12 anni dalla Cassazione dopo la lettura della sentenza ha precisato:”D’Alessandro è un carabiniere, non si sottrarrà ad alcuna responsabilità in ossequio alla sentenza”.

 

 

Sorgente: Caso Cucchi: in Cassazione confermate le condanne – la Repubblica

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