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di Marta Serafini

Gli ucraini hanno disseminato la baia di ordigni per impedire lo sbarco dei russi. Alcune di queste «bombe» sono arrivate al Bosforo rendendo pericolosa la navigazione

ODESSA — Quando Kandinskij bambino imparò a disegnare proprio nel porto di Odessa, le mine non erano ancora state inventate. Avanti veloce di oltre 160 anni, passando per due guerre mondiali, milioni di morti e svariati trattati di pace. Ora sulla spiaggia della regina del Mar Nero non si va più a prendere il sole. A meno di non voler saltare per aria. Tantomeno qualcuno si azzarda a mettere in acqua anche solo un canotto.
Per proteggersi da uno sbarco russo, Odessa, considerata uno gli obiettivi più ambiti dallo Zar, non ha avuto altra scelta che piazzare a terra e in acqua ordigni esplosivi in grado di bloccare l’avanzata del nemico. Nessuno in città è disposto a confermarlo. Le questioni militari sono coperte da segreto e il portavoce delle forze ucraine è abbottonatissimo in merito. Ma fin qui sono tanti gli elementi che contribuiscono a tratteggiare il quadro.

 

La nave estone e il peschereccio turco

Il 3 marzo una nave cargo estone della Vista Shipping Agency è affondata 20 miglia da Odessa, dopo un’esplosione «vicino alla chiglia». L’equipaggio, composto da marinai ucraini e russi, è riuscito a mettersi in salvo. La causa dell’incidente non è stata chiarita ma il sospetto è che si tratti di una mina. Due settimane dopo, il 18 marzo, la stazione costiera russa Novorossiysk ha rilasciato un inquietante Navtex (sigla che sta per Navigational telex, servizio internazionale che fornisce avvisi e previsioni meteo) in cui si avvertiva che le mine ancorate dalle forze navali ucraine vicino al porto di Odessa si erano mosse a causa di una tempesta. Ma non solo. Il report russo parla di 420 mine marine sull’acqua e accusa l’Ucraina di violare le disposizioni della Convenzione dell’Aia del 1907. E, ancora, il 26 marzo, una Milco (mina a contatto) è stata rilevata da un peschereccio turco all’ingresso del Bosforo, parecchie miglia di distanza da Odessa, informazione confermata dal ministro della Difesa turco.

La nave estone

Ma come ha fatto una mina da Odessa ad arrivare nello Stretto di Istanbul? Era «vecchia»? Si tratta di una fake news? Dubbi, ipotesi. Avanti così per quasi un mese. Gli esperti spiegano: gli armamenti utilizzati in mare sono di due tipi, la prima è una piccola mina ad àncora di 20 chili, con un diametro di 53 cm, che può rimanere pericolosa per molto tempo. L’altra è una mina anti-sbarco, del peso di circa tre chili e con un diametro inferiore a 30 cm. Intanto — e questo è certo — il più grande porto marittimo dell’Ucraina e il più importante del Mar Nero, con un traffico commerciale di 40 milioni di tonnellate di merci, è fermo. E, mentre le navi militari russe salpano dalla Crimea con l’obiettivo di bersagliare il porto, le merci ora arrivano via terra e via ferrovia.

La bonifica

E questo porta all’ultimo punto. Se la guerra dovesse finire e il porto di Odessa dovesse essere sminato quanto tempo ci vorrebbe per bonificarlo? A tentare di rispondere sulla base delle poche informazioni confermate, è Vito Alfieri Fontana, 71 anni, uomo che le mine le conosce bene perché prima le ha prodotte e poi ha contributo a combatterle, lavorando alla bonifica dei Paesi della Ex Jugoslavia. Fontana, via telefono spiega al Corriere che le mine del porto di Odessa sono probabilmente PDM1, «ex sovietiche, tenute insieme da un cavo legato al fondale, simili a quelle tedesche, meno potenti ma più instabili». Le difficoltà per la bonifica in mare sono maggiori. «Ancora oggi nel Mediterraneo ci si può imbattere in mine della Seconda guerra mondiale, sono molto pericolose ovviamente, dico questo per dare l’idea dei tempi». Inoltre, due le questioni sul tavolo di chi dovrà occuparsi delle operazioni: la mappatura, perché bisogna capire dove sono state posizionate «e non sempre questa viene fatta in modo preciso nel momento della posa». E poi evitare l’«effetto fratricida». Ossia che una mina esplodendo faccia saltare tutte le altre collegate ad essa.
Fontana non è uomo che perde la calma facilmente. Parla piano. E scandisce. «Per riavere il porto di Odessa operativo, facendo una stima assolutamente approssimativa, posso dire che ci vorrà almeno un anno».

Sorgente: Odessa e le mine subacquee che mettono a rischio il Mar Nero- Corriere.it

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