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A Kiev arrivano Blinken e il capo del Pentagono
Nelle ore in cui le truppe ucraine perdono terreno in particolare nel Donetsk e l’esercito russo ricomincia gli assalti all’acciaieria di Mariupol, torna a muoversi la diplomazia, almeno in apparenza. A parlare ieri, in una lunga conferenza stampa dalla metro di Kiev, è stato il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky che da una parte ha avvertito l’Europa (“Dopo di noi a chi toccherà?”) e dall’altra ha auspicato un intervento più deciso del Vaticano, parlando proprio di “mediazione”. Ma Zelensky ha anche attaccato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, colpevole – secondo lui – di andare prima a Mosca e dopo a Kiev. Una “scelta sbagliata e illogica” l’ha definita. Intanto Zelensky aspetta l’arrivo del segretario di Stato americano Antony Blinken e il capo del Pentagono Lloyd Austin. E dice di attendere anche il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi prossimamente: “L’Italia sta con noi”.
“Chi toccherà dopo di noi?”. La risposta ipotetica porta la mente alla Moldavia e soprattutto alla Transnistria, la fascia di territorio lungo il confine con l’Ucraina ufficialmente appartenente alla Moldavia, ma de facto indipendente da oltre 30 anni. Fin dal 2014 le autorità secessioniste hanno chiesto l’annessione alla Federazione russa su imitazione di quanto avvenuto per la Crimea. Ma il protrarsi della guerra in Ucraina provoca qualche nervosismo anche nelle cinque ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Specie per i malumori e le divisioni che rischia di provocare tra la popolazione. Le autorità del Kirghizistan hanno vietato ai sostenitori dell’invasione di utilizzare la lettera simbolo Z – tracciata sui mezzi militari russi d’invasione – per i festeggiamenti del 9 maggio, quando si celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale, o meglio la Grande Guerra Patriottica, come è chiamata nell’ex Urss. Il rischio, è stato sottolineato, è che ciò provochi “ostilità tra diverse etnie”. Cioè tra le nutrite minoranze russe che vivono in questi Paesi e la popolazione autoctona. E’ il caso anche del Kazakhstan, il gigante centroasiatico vera potenza del settore energetico, dove la parata del 9 maggio è stata semplicemente cancellata, ufficialmente per carenza di fondi.

Sorgente:  da ricerca Facebook

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