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Dicono che sia il secondo lavoro più antico del mondo, di sicuro negli ultimi 20 anni ha avuto un boom di fatturato. È il mestiere del mercenario e la ditta per cui lavorano sono società di sicurezza. Si tratta di decine di migliaia di soldati capaci, a seconda dei casi, di addestrare, proteggere o combattere. Ma il vantaggio della privatizzazione è soprattutto nella nebbia. Pochi controlli pubblici e contratti senza appalto. I soldati a noleggio sono i co.co.co. della guerra, licenziabili a fine contratto e senza problemi di reinserimento a carico del bilancio pubblico. Gli Stati esternalizzano sempre di più il lavoro sporco nei conflitti: costa meno e non li espone politicamente, perché questi soldati non indossano divise. Nella definizione di David Isenberg del Peace Research Institute di Oslo i moderni soldati di ventura colmano il gap tra gli obbiettivi geopolitici e gli strumenti che il pubblico può accettare. Quando muore uno di loro è un incidente sul lavoro, quando muore un milite in divisa è un dramma nazionale. I casi di violenza e violazione delle regole internazionali non si contano.

Russia: dove opera la Wagner

Putin ha a disposizione gli uomini della Wagner, società di sicurezza, perfetta estensione del suo rinnovato senso imperiale: Ucraina, Siria, Sahel sono i teatri più attivi. Per la Wagner lavorano russi ed ex sovietici delle repubbliche dell’Asia Centrale. Il Codice penale italiano e una legge del 1995 vietano di combattere all’estero per soldi e un messinese di 28 anni, Giuseppe Russo, che su Facebook si vanta di sparare «per Putin» è ricercato dal 2016. La Procura di Genova ha mandato a processo 21 mercenari italiani, per lo più neonazi filorussi, che rispondono agli ordini d’un ex iscritto a Forza Nuova, Andrea Palmeri, un hooligan di Lucca che tutti chiamano «il generalissimo».

L’Africa paga con miniere d’oro e pozzi di petrolio

L’ondata di colpi di Stato di questi mesi in Africa Occidentale è stata salutata con soddisfazione da Evjeny Prigojne, fondatore della Wagner e soprannominato il «cuoco di Putin». I successi della Nigeria contro Boko Haram dipendono dall’aiuto dei «carri armati volanti» Mi-24 Hind della Wagner. Con quel biglietto da visita, in Sudan la Wagner ha aiutato i militari golpisti. In cambio Mosca potrebbe ottenere dal nuovo governo la sua prima base navale africana dalla caduta dell’Urss. In Centrafrica la Wagner ha ottenuto una miniera di diamanti. In Ruanda una d’oro. In Siria un pozzo di petrolio. A metà febbraio i soldati francesi lasciavano il Mali e i mercenari russi li rimpiazzavano come consiglieri militari dell’esercito nazionale. Il maggiore successo russo in Africa resta forse il salvataggio nel 2019 del generale Haftar dall’offensiva dell’esercito nazionale libico appoggiato dai turchi. Mille mercenari e 8 cacciabombardieri hanno impedito la riunificazione del Paese. In cambio ora controllano due pozzi petroliferi e Mosca punta alla concessione di un altro porto sul Mediterraneo dopo aver salvato quello siriano dallo Stato Islamico. La chiave dei successi del binomio Wagner-Putin è che non pesano sulle casse pubbliche di Mosca. La Wagner punta a farsi pagare dai Paesi che «aiuta», Mosca dà solo semaforo verde. Un’eccezione è l’Ucraina. Lì Mosca paga di tasca sua.

Crimea e Donbass

Il 26 febbraio 2014 in Crimea, paramilitari con anonime divise – «omini verdi» li chiameranno – occupano i palazzi del potere ucraino a Sinferopoli e a Sebastopoli, imponendo un governo filorusso e aprendo la via all’annessione della penisola da parte di Putin. Sono sempre gli uomini della Wagner. Pochi mesi dopo, non appena scoppia la guerra nel Donbass, l’Ucraina orientale diventa terra di conquista per mercenari d’ogni parte. Ceceni, cechi, moldavi, kazaki. Molti vengono dai Balcani: i serbi ad aiutare i «fratelli russi», i croati in sostegno degli ucraini. I soldati di ventura dell’organizzazione serba «Jovan Šević» si vantano sui giornali di Mosca d’avere distrutto molti tank ucraini. Il governo di Kiev cattura un volontario di Belgrado, Dejan Berić, cecchino della società «Vento del Nord», che combatte coi separatisti di Donetsk. Lo stesso dall’altra parte: nel 2015 si scopre che 25 croati reclutati dall’organizzazione «Misanthropic Division» di Zagabria sono inquadrati nel Battaglione Azov, una formazione paramilitare ucraina, e s’addestrano agli ordini d’un cecchino svedese di nome Mikael Skilt, in arte «Viking». Uno di questi mercenari, Denis Šeler, è noto alle questure di mezza Europa come capo degli hooligan della Dinamo Zagabria, i Bad Blue Boys. Di recente un’operazione internazionale ha fatto arrestare e processare nella Repubblica Ceca un reclutatore bielorusso, Aleksey Fadeev, in affari con un rappresentante dell’autoproclamata repubblica di Donetsk che aveva in agenda 26 mercenari di vari Paesi, pagati 5mila dollari al mese. Dall’altra parte anche i filorussi denunciano la presenza dei contractor della compagnia privata Lancaster-6, base a Dubai, e dell’ex Blackwater americana. Gli accordi di pace di Minsk, firmati fra il 2014 e il 2015, al punto 10 esigevano il «ritiro dei mercenari stranieri». Non è mai avvenuto.

Usa: Le società di sicurezza fedelissime

Anche gli Stati Uniti hanno le loro «società di sicurezza»: tre o quattro (delle decine attive) fedelissime e super pagate. Quelle dai fatturati più consistenti sono registrate in Gran Bretagna, Australia, Usa e Sud Africa, ma il cliente geopolitico resta Washington. In Nord Carolina c’è un poligono di addestramento per soldati di ventura da 28 chilometri quadrati con 20 aerei, blindati, trasposta truppe, lanciarazzi, artiglieria. È la base della Academi, ex Blackwater. I bilanci arrivano a essere miliardari, ma neppure il Congresso Usa rilascia le cifre di quanto gli costano. Per le società occidentali lavorano soprattutto americani, britannici, australiani, sudafricani, cileni, colombiani, nepalesi, filippini, europei. Utilizzati in Afghanistan e soprattutto in Iraq, dove durante l’occupazione tre compagnie di mercenari sono arrivate ad avere più di 250 mila dipendenti non iracheni nel Paese e offrivano servizi ai soldati regolari: pulizia latrine e mense per l’85% dei casi, ma scorte ai convogli, guardia alle infrastrutture petrolifere, contrasto al terrorismo, interrogatori per il restante 15%. Sembra poco, ma non lo è visto che, nei momenti più caldi in Iraq, morivano in combattimento più mercenari che soldati regolari. Nel 2003 in Iraq c’era 1 mercenario ogni 10 soldati; a fine missione nel 2017, invece, il rapporto era invertito: 3 a 1. Gli Stati Uniti hanno «esternalizzato» molti compiti per non aumentare gli arruolamenti. Ogni 5 dollari spesi in Iraq per l’occupazione uno andava alle compagnie di sicurezza, ogni 4 militari Usa uccisi uno era di ventura.

Dalla Turchia all’Iran: per fede e per denaro

Turchia, Sudan, Afghanistan, Iran e persino la galassia jihadista hanno (o hanno avuto) «società di sicurezza» create da loro veterani che mantengono legami privilegiati con i rispettivi governi. Ci sono afghani, siriani, libanesi e iracheni al servizio dell’Iran: oltre a combattere per soldi hanno il collante della fede sciita. Sono stati fondamentali per battere lo Stato Islamico. Sudanesi offrono i loro mitragliatori sin dai tempi di Gheddafi in Libia e altri Paesi africani, ma senza un disegno geopolitico cambiano spesso datore di lavoro. Per Isis e Al Qaeda la società Malhama Tactical ha curato l’addestramento dei volontari. È composta da uzbeki, ceceni e daghestani rigorosamente sunniti, ma comunque indisponibili senza finanziamenti, al massimo possono aspettare l’esito di campagne online di crowdfunding, ma vogliono essere pagati. La Turchia offre i suoi droni bombardieri con istruttori privati annessi. Ankara ha arruolato nella dissoluzione dello Stato Islamico siriani ed ex volontari del jihad e li sta impiegando in Libia. Secondo l’Armenia sono stati gli artefici nella sua sconfitta nella guerra con l’Azerbaijan per il Nogorno Karabach. Droni turchi (e relativi piloti) combattono in questi giorni in Ucraina contro Mosca.

Quanto sono pagati

Ci sono soldati in cerca di guadagno in Libia, Egitto, Algeria, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Burkina Faso, Mali, Guinea Bissau, Mozambico, Ruanda, Eritrea, Ciad, Zimbabwe, Israele, Yemen, Kurdistan iracheno, Venezuela, Ecuador, Panama, El Salvador, Cile, Indonesia. I loro stipendi variano di molto. I più alti passano dalle impermeabili banche delle Isole Vergini. Si dice che ex Navy Seal prendano 10 mila dollari al giorno dagli Emirati per i loro interventi in Yemen. In Libia sembra che i 1.200 russi siano pagati 3600 euro al mese, ma un pilota da caccia ne prenderebbe 18 mila; secondo diverse interviste, i turchi pagano 2 mila dollari i loro 7 mila mercenari arruolati in Siria e mandati a combattere in Libia; per gli operatori di droni arrivano a 5 mila contro i 10 mila mensili che ricevono i piloti privati dei droni di sorveglianza della Cia. Somali e ciadiani si accontentano di 1,5 mila; i colombiani della Academi viaggiano sui duemila dollari mensili, la metà i gurka nepalesi che difendevano l’Onu in Iraq; i più economici restano gli afghani hazara che hanno combattuto in Siria contro la Stato Islamico ricevendo appena 600 dollari al mese dall’Iran. La Convenzione Internazionale Onu del 1989 vieta «il reclutamento, il finanziamento, l’addestramento, l’uso di mercenari», ma solo la Svizzera ha deciso nel 2015 di non accettare più società di sicurezza nel suo registro delle imprese.

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(Francesco Battistini, Milena Gabanelli e Andrea Nicastro – corriere.it) –

Sorgente: Mercenari e guerra: gli Stati che appaltano il lavoro sporco – infosannio – notizie online

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