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di Francesco Battistini

A trattare sono le seconde file, mentre sul campo si spara e cadono bombe. Kiev chiede cose che Mosca non vuole concedere. Zelensky torna a chiedere l’adesione «immediata» all’Unione europea: non è il miglior inizio

DAL NOSTRO INVIATO
KIEV — Trattare. L’ultima parola a cui aggrapparsi, prima dell’apocalisse. Kiev si prepara con le barricate nelle strade, i copertoni impilati, le code ai supermercati. Dietro il nostro albergo, l’agenzia che un tempo organizzava i Chernobyl Tours per i turisti è chiusa: l’unica Chernobyl che interessi, è dove si sta provando a dialogare su una tregua, il maledetto posto dell’erba nera che si sogna faccia fiorire, se non la pace, una piccola tregua. Illusione: un quarto d’ora dopo la fine dei colloqui a due passi dal reattore della morte, la prima dichiarazione la fanno i russi con quattro gigantesche esplosioni che arrossano il cielo buio. E bastano i missili della sesta notte di guerra a capire come sta andando, coi cosiddetti negoziati: ci si parla per non dire granché.

Qualcuno vede uno spiraglio nell’annuncio che ci si rivedrà, sempre lì, «nei prossimi giorni» e nel Rumyantsev-Paskevich Residence di Gomel: l’antico palazzo messo a disposizione dai bielorussi, dove le delegazioni si siedono senza quasi guardarsi negli occhi. In realtà, è un negoziato da seconde file: Vladimir Putin non ha mandato né Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri (forse) in disgrazia, né Sergej Shoighu, il ministro della Difesa in grande ascesa fra i consiglieri del Cremlino. Il loro sherpa, Vladimir Medinsky, tesse un filo d’ottimismo, ma poi spiega che saranno i capi a decidere. E i capi disfano la tela: «Non annunciamo la nostra posizione — è delicato il portavoce putiniano Dmitry Peskov —, i negoziati si devono fare in silenzio, lasciamo il campo ai negoziatori…».

Alla mezza, la partenza dei colloqui di Chernobyl è quasi soave. «Qui potete sentirvi in totale sicurezza», nell’unico angolo di questa parte di mondo, fa cerimonia Vladimir Makei, il ministro degli Esteri del dittatore Aleksandr Lukashenko. La sostanza è ben più amara. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, si presenta in mimetica e in elicottero, «troppo pericoloso usare la strada». La sicurezza dura poco, perché le parti non smettono per tutto il giorno di spararsi addosso e pure al lungo tavolo del Residence non la finiscono di rinfacciarsi accuse e torti. La mossa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di tornare a chiedere proprio oggi e proprio in questa guerra l’adesione «immediata» all’Unione europea, non è il miglior inizio.

E infatti i tre round di colloqui, ore di caffè e telefonate, sembrano risolversi solo in grandi silenzi. Kiev chiede due cose che Mosca non vuole concedere : il cessate il fuoco (subito) e il ritiro di tutte le truppe russe dal suo territorio (subito dopo). Mosca esige due bottini di guerra che Kiev non si sogna nemmeno di toccare: il riconoscimento della Crimea russa e la neutralità militare degli ucraini. «Voglio che fermiate il genocidio dei russi e che denazifichiate tutta l’Ucraina», sono da sempre le due pubbliche e impossibili condizioni poste da Putin.

Anche lo Zar sa che ce n’è una terza — la smilitarizzazione, ovvero l’allontanamento della Nato da questi confini — che è la vera posta e, più delle altre, è irricevibile. Alle sei e mezza, dopo sei ore, le due delegazioni se ne vanno senza quasi salutarsi. Ciascuno «a riferire» a chi conta. Ma Putin sa già com’è andata. Se vuole «può intervenire l’Onu», la butta lì un suo ambasciatore. Mentre su Kiev partono di nuovo i missili. Ma una trattativa è possibile? Nella capitale spazzata da venti gelidi, pura guerra fredda, il borsino politico si fa nella borsa della spesa. E nessuno ne parla volentieri.

Al supermarket Novus su Ioanna Pavla si sta in coda due ore, si paga cash e l’unico negoziato possibile è sul latte: «Te lo danno gratis solo se è per i bambini», dice Volodymyr Huzov, 31 anni, venuto a fare provviste per al famiglia prima di tornare in caserma: «E hai la precedenza in coda se sei un soldato, non si tratta su nient’altro. Paghiamo tutto». Una donna con la treccia s’avvicina alla fila del Novus e grida ad alta voce: «Fratelli, non credete a quel che dicono i russi! Non vogliono trattare su nulla. Vogliono solo ammazzarci! Date un po’ della vostra spesa ai comitati per la difesa territoriale! Ci serve aiuto per i medici che curano i feriti». Un uomo piange , s’avvicina e svuota mezza sporta. Formaggio, scatolette, birra: «Dalli tu, ai nostri eroi».

Sorgente: Come sono andati i negoziati fra Ucraina e Russia?- Corriere.it

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