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I) Il 14 febbraio nel paesaggio urbano predominano i cuoricini commerciali. La pubblicità ha fatto dell’amore romantico un oggetto di consumo e una strategia di mercato.
In parallelo, aumentano i femminicidi. Nella loro stragrande maggioranza, all’interno del “sacro spazio casalingo dove il patriarcato si espressa in forma libera e genuina”.
Il “finché la morte ci separi” dei riti matrimoniali diventa così un avvertimento (e un epitaffio).
Questa celebrazione, per alcuni insulsa e/o inutile, paradossalmente ha un origine anti-imperialista e anti-militarista: quello decapitato il 14 febbraio era un sacerdote cattolico di Terni chiamato Valentino, condannato a morte nel III secolo dall’imperatore romano Claudio II per non avere rispettato il divieto di sposare giovani soldati per evitare che i legami matrimoniali si traducessero in rifiuto degli impegni militari.
Il connubio Stato/Religione spiega molte norme sessuali e coniugali.
Tuttavia, in ogni epoca l’esercizio della sessualità, del matrimonio e della riproduzione è avvenuto anche a contropelo di queste regolazioni: ci sono sempre state pratiche coitali fuori dal matrimonio, tra coppie eterosessuali e persone dello stesso sesso, figli nati fuori e dentro i matrimoni, unioni e separazioni libere o informali …
La cultura ha perpetuato molti precetti della sessualità, ma il tempo ne ha modificato le regolazioni e l’importanza relativa.
Dalla metà del ‘900 l’accesso ai metodi anticoncezionali ha aperto la strada alla separazione tra l’esercizio della sessualità etero e la riproduzione biologica facendo perdere alla istituzione matrimoniale il monopolio regolatore della vita sessuale e riproduttiva.
Ne sono derivati cambiamenti importanti: diminuzione del numero di figli e della dimensione delle famiglie; istituzionalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso; legalizzazione e sicurezza dell’aborto; aumento dell’età del matrimonio e prolungamento del celibato (anche per la crescita della scolarità formale dei giovani, la mancanza di un lavoro stabile e la possibilità d’intrattenere rapporti sessuali senza la tagliola gravidanza/matrimonio); diminuita stabilità delle coppie: la maggior parte degli adulti continua a vivere in coppia e a fare figli, ma durano meno tempo assieme e aumentano le seconde e le terze nozze.
Questa serie di trasformazioni del nostro passato recente hanno dato spazio ad una “secolarizzazione sessuale” o distanziamento progressivo tra regolazioni religiose e pratiche sessuali reali (anche tra i credenti).
II) Malgrado la sua “pratica di resistenza attiva”, Valentino non è ricordato per la sua opposizione alle leggi ingiuste dell’impero romano.
E’ “solo” il santo che benedice l’amore romantico eterosessuale.
Valentino non ha colpe nemmeno della successiva trasformazione commerciale di questo specifico tipo di amore: ben sedici secoli dopo, nel 1840, quando primeggiava il romanticismo come tendenza letteraria, la giovane libraia statunitense Esther Howland ebbe l’idea di stampare bigliettini con lettere d’amore da spedire il giorno di San Valentino, dando inizio ad una tradizione successivamente diversificata nei contenuti e globalizzata al ritmo del discorso egemonico sull’amore romantico eterosessuale promosso dall’industria culturale, in particolare da quella cinematografica.
III) Cosa c’entrano le puttane di San Julián, Argentina?
Nel 1920, i peones della Patagonia proclamavano uno sciopero per rivendicare ciò che a loro sembravano diritti: un giorno di riposo alla settimana, un alloggio dignitoso ed una confezione mensile di candele.
Nel 1921, l’esercito fucilava gli scioperanti e coloro che li appoggiavano: in 45 giorni, ne ammazzavano 1.000-1.500.
Come premio, ai soldati veniva offerto un servizio completo in una “casa chiusa”.
Si avvisavano le “responsabili”, incaricandole di preparare adeguatamente le prostitute.
Ma in una di queste, “La catalana”, le donne si rifiutavano di ricevere i soldati.
Erano cinque: “Non andiamo a letto con assassini”, dissero.
Racconta Osvaldo Bayer (“Las putas de San Julián”, in “La Patagonia rebelde”, 1994):
«Il sottoufficiale ed i soldati dei leva lo prendono come un insulto verso gli uniformi della Patria … Tutti, in gruppo, cercano di entrare nel bordello. Ma da lì escono le cinque donne con scope e bastoni che li affrontano urlando “assassini!, “merde!”, “non andiamo a letto con assassini!”
Il termine assassini raggela i soldati che, dopo aver provato ad estrarre la rivoltella, rinculano davanti alla decisione delle donne che distribuiscono bastonate come se fossero possedute da Satana. Il casino è grande. I soldati perdono la battaglia e si fermano sul marciapiedi. Le ragazze non li risparmiano insulti. Ad “assassini e merde” aggiungono “bastardi figli di puttana” e – aggiunge il successivo protocollo della polizia – “altri insulti osceni tipici da donnacce” …
Le cose non restano così. Il questore di San Julián fa portare le scostumate in gattabuia. Le cinque prostitute sono scortate da due agenti tra i sorrisetti ironici degli uomini ed il disprezzo delle donne oneste del paese. Portano via anche i musicisti dal bordello (…), ma li liberano subito perché si dichiarano enfaticamente in disaccordo con l’atteggiamento delle signorine. Inoltre, aggiungono, prestiamo sempre i nostri servizi a tutte le commemorazioni patriottiche gratuitamente.
Con le meretrici in gattabuia per vilipendio all’uniforme della patria e appoggio agli scioperanti, i militari decidevano di evitare lo scandalo: ”In fin dei conti, si tratta solamente dell’opinione di cinque puttane” …
Le cinque donnacce sono state i soli esseri viventi capaci di qualificare come assassini gli autori della più sanguinosa strage di operai della nostra storia (…)
Non è mai cresciuto un fiore sulle tombe comuni dei fucilati. Solo pietra, erbacce e l’eterno vento patagonico. Sono ricoperti dal silenzio di tutti, dalla paura di tutti. Il solo fiore che abbiamo trovato è stato questa reazione delle ragazze del bordello “La catalana”, il 17 febbraio 1922.»
I cuoricini consumistici non portano, non possono portare, traccia di queste ed altre storie.
IV) Chiudo citando un noto filosofo ebreo credente e un noto romanziere portoghese ateo sul protagonista principe di ogni credenza, quindi anche di questa.
Ha scritto Martin Buber: “Dio è la parola più vilipesa di tutte le parole umane. Nessuna è stata tanto disonorata, tanto mutilata (…) Le generazioni umane hanno riversato su questa parola il peso della loro vita tormentata fino a schiacciarla contro il suolo. Giace nella polvere e ne sostiene il peso. Le generazioni umane, con i loro patriottismi religiosi, hanno lacerato questa parola. Hanno ucciso e si sono fatte uccidere per essa. Questa parola porta le loro impronte digitali e il loro sangue. Gli uomini disegnano un fantoccio e ci scrivono sotto la parola ‘Dio’. Si assassinano gli uni gli altri e dicono ‘lo facciamo in nome di Dio’. Dobbiamo rispettare quelli che proibiscono questa parola, perché si ribellano contro l’ingiustizia e gli eccessi che con tanta facilità si commettono con una presunta autorizzazione da parte di ‘Dio’. Bene si comprende che molti suggeriscano di mantenere, per un certo tempo, il silenzio sulle ‘ultime cose’ per redimere quelle parole che sono state oggetto di tanti abusi” (“L’eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia”, 1961)
“Dio è il silenzio dell’universo, e l’essere umano il grido che dà un senso a tale silenzio” (José Saramago, aforisma, 2005).
Per un teologo, ma anche per un ateo dogmatico, definire Dio come silenzio dell’universo è dire poco o nulla. Ma penso che sia più che sufficiente per un teologo o per un agnostico seguace delle mistiche e dei mistici giudaici, cristiani e mussulmani (Pseudo- Dionigi l’Areopagita, Rabia al Adawiya di Bagdad, Abraham Abufalia, Algazel, Ibn al-Arabi, Rumi, Hadewijch di Anversa, Margherita Porete, Ildegarda di Bingen, Maestro Eckhardt, Giuliana de Norwich, Giovanni della Croce, Teresa di Gesù) e di laici quali Simone Weil. Si creda o non si creda alla sua esistenza, dire di più sarebbe una mancanza verso Dio.
A me pare che la definizione di Saramago meriterebbe di apparire tra le ventiquattro – e con essa venticinque – del “Libro dei ventiquattro filosofi” (Adelphi 1999), la cui paternità è attribuita a Ermete Trismegisto e raccoglie le definizioni di 24 saggi convenuti in un Simposio, il cui contenuto fu oggetto di un ampio dibattito tra filosofi e teologi durante il Medioevo.
Il prete Valentino – che mi sta simpatico ma non quanto il “Prete Liprando” di Enzo Jannacci – non porta colpa di questi arditi accostamenti.
A proposito, penso che sia un buon giorno per ascoltare “Me llaman calle”, di Manu Chao.
Calle, e cioè strada, luogo da calpestare, è uno dei tanti nomi per definire le prostitute nei gerghi spagnoleggianti.
Manu Chao - Me Llaman Calle (Official Music Video)

Manu Chao – Me Llaman Calle (Official Music Video) – YouTube

Sorgente: Rodrigo Andrea Rivas – Facebook

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