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DISARMISTI ESIGENTI

Sotto riportato il volantino che distribuiamo per il presidio indetto a Milano in data 26 febbraio 2022, in occasione della mobilitazione nazionale ecopacifista contro la guerra in Ucraina.
Iniziativa promossa da: Disarmisti esigenti, WILPF Italia, Energia Felice, Lega Obiettori di Coscienza, Mondo senza guerre e senza violenza
Ci riuniamo in piazzale Stazione di Porta Genova dalle ore 13:00 alle ore 15:00.
Invitiamo a partecipare con una bandiera della pace e con un cartellone recante uno slogan.
Molto gradite vignette che collegano il caro bollette ai venti di guerra pagati innanzitutto dai cittadini europei!
Dopo la popolazione ucraina, l’Europa, in termini molto concreti, è la prima vittima di una escalation bellica che va fermata subito!

Anche per questo motivo lanciamo con il 26 febbraio un documento per l’Europa di pace, pubblicato sotto, che riteniamo abbia una impostazione e dei contenuti assolutamente unici e qualificanti rispetto al panorama alquanto deludente di tanto pacifismo, lamentoso su sé stesso ma incapace di fare un minimo di revisione del proprio modo di pensare e di operare…

Concludono infine questa pagina le considerazioni del portavoce dei disarmisti esigenti sulla centralità strategica della questione energetica nella crisi ucraina.

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PER UNA EUROPA DI PACE
CRISI UCRAINA: LA GUERRA NON E’ UNA SOLUZIONE!

Condanniamo l’invasione del Donbass

Siamo qui in questa piazza, parte attiva di una giornata di mobilitazione nazionale, per fare sentire la voce popolare che – ne siamo convinti – non vuole l’escalation bellica cui stiamo assistendo in Ucraina: una tensione violenta che ha subito una accelerazione per la decisione di Putin (la condanniamo senza ambiguità!), di stracciare gli accordi di Minsk e mandare truppe nelle Repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk.

Siamo preoccupati per i pericoli di guerra nucleare sullo sfondo

Il riconoscimento del Donbass all’insegna del “prima i russi” costituisce un oggettivo impedimento alla possibilità di sempre auspicabili soluzioni diplomatiche alle contese in corso, contrassegnate anche da spargimenti di sangue. La presenza nell’arena di USA e Russia fa correre il pericolo che, se gli sciagurati giochi di potere sfuggono di mano, si arrivi al confronto nucleare anche per caso o per errore.

Non cerchiamo i “buoni” e i “cattivi” nella lunga catena di comportamenti sbagliati da parte di tutti

Questo al di là della lunga catena di atteggiamenti e gesti inconsulti, con vari gradi di responsabilità, che coinvolgono più attori, dagli USA alla NATO, dai Paesi UE al governo ucraino, tutti incapaci di fuoriuscire dalle logiche di potenza e di guerra. O, almeno, di fronteggiarle con credibili dinamiche di pace.

Non possiamo accettare le “sfere di influenza” di competenza di presunti “imperi”.

E questo vale anche, forse oggi soprattutto, per la parte “occidentale”, con i suoi patti militari, cui non ci allineiamo poiché è arrivato il momento della “terrestrità”, di pensare a un mondo che non sia più divisibile, nemmeno metaforicamente, e quindi soprattutto culturalmente e politicamente, per i quattro punti cardinali dell’Ovest e dell’Est, del Nord e del Sud.

Non possiamo accettare che le controversie internazionali siano risolte con mezzi militari.

Dobbiamo continuare a lavorare, con gli strumenti della mobilitazione di base, per evitare ulteriori escalation che avrebbero conseguenze funeste per il mondo, ma soprattutto per l’Europa: sviluppi negativi sia dal punto di vista di evoluzioni geopolitiche progressive verso una realtà multipolare fondata sulla forza del diritto; sia di una transizione energetica orientata alla soluzione della crisi climatica. Senza trascurare il fatto che i venti di guerra stanno già adesso producendo una crisi economica pagata dalle realtà produttive e dai ceti popolari grazie al caro bollette determinato in modo decisivo dalle restrizioni nell’approvvigionamento del gas russo.

Vogliamo la pace con la Natura e quindi la nonviolenza tra le donne e gli uomini.

Il manifestarsi di logiche di guerra più o meno fredda o calda è sempre una sconfitta per l’umanità e gli sforzi per la costruzione di paci locali e globali, con la cultura e i metodi della nonviolenza attiva, non vanno mai dismessi. Papa Francesco è una autorità morale che dovrebbe essere più ascoltata su questo punto, espresso in particolare nell’enciclica “Laudato Si’”. C’è un bene globale comune, la salvaguardia dell’ecosistema planetario, che andrebbe perseguito, aggiungiamo noi, come “pace con la Natura” quale condizione per una pace stabile e duratura tra le società umane: non c’è giustizia senza pace!

Una Europa dall’Atlantico agli Urali che cooperi per l’equa prosperità nell’ecosviluppo.

Quello che, in buona sostanza, sollecitiamo dal basso è un ruolo protagonista della UE, sotto l’egida ONU, per ottenere un accordo politico negoziato che faccia rientrare in gioco gli accordi di Minsk aprendo allo stesso tempo negoziati più ampi per denuclearizzazione, smilitarizzazione e decarbonizzazione a livello continentale.

L’Italia faccia la sua parte nella crisi per l’Europa di pace, non allineata e orientata sulla neutralità attiva.

Al nostro governo chiediamo che, svincolandosi dalla subalternità verso la NATO, insista a cercare una soluzione diplomatica alla crisi e, anche memore del nostro dettato costituzionale, non si avventuri in una partecipazione militare al conflitto, da cui rischia di non potere tornare indietro.

Info: Alfonso Navarra c/o LOC, via Mario Pichi, 1 – 20149 Milano

[email protected] – cell. 340-0736871

Andrea Bulgarini c/0 SPAZIO FOPPETTE, via Foppette 2 – 20144 Milano

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Questo documento che pubblichiamo per l’”Europa di pace” e sui suoi presupposti valoriali e strategici è la base politica su cui manifestiamo con i nostri partners (WILPF Italia, Mondo senza violenze e senza guerra, Energia felice, etc.), il 26 febbraio a Milano, dalle ore 13:00 alle ore 15:00, in piazza Stazione di Porta Genova.

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da parte di Alfonso Navarra

portavoce dei Disarmisti esigenti

Care e cari, con le vostre modifiche e integrazioni lanciamo questo documento per l’occasione della giornata del 26 febbraio.

Ecco adesso, dopo l’invasione russa del Donbass, la QUARTA versione (22 febbraio 2022) che, oltre a comprendere spunti forniti dalla elaborazione di “Un ponte per…”, riportata da un articolo apparso su “Repubblica”, propone per l’Italia un impegno sulle politiche energetiche rinnovabili contro il caro energia.

Ecco i punti qualificanti e caratterizzanti, che rendono il documento UNICO (scommetto – e spero – in senso positivo) nel panorama politico attuale:

1- l’Europa protagonista, indipendente, attiva di fatto contro le logiche di guerra fredda, proiettata sulla verità che “non c’è giustizia senza pace con la Natura” (dimenticare di citare l’Europa o concentrarsi su “fuori l’Italia dalla NATO” – cioè oltretutto entrare nella “trappola della torre” tra americani e russi – significa comportarsi in modo analogo a Legambiente il 12 febbraio: stava dimenticando il nucleare e i referendum!)

2- memori che è sulla rampa di lancio la questione del ritorno degli euromissili, la denuclearizzazione come grimaldello per sciogliere la NATO (i Patti militari sono contestati in generale perché contrari agli statuti e allo spirito dell’ONU, nata dal trauma del secondo conflitto mondiale e organizzata ufficialmente per l’obiettivo del disarmo generale)

3- la considerazione dell’aspetto energetico e climatico anche per entrare in sintonia con le preoccupazioni popolari per la fine del mese. Non dobbiamo ripetere l’errore degli FFF (e degli ambientalisti in genere) che hanno dimenticato di collegare la pandemia alla distruzione degli habitat nella propaganda pubblica. Oggi, ad esempio, Berlusconi è su un titolone de “il Giornale” a proporre il nucleare contro il caro bollette. Noi dovremmo, al contrario, lavorare sull’opinione pubblica (scontando l’handicap della stampa contro) per proporre energie di pace contro la crisi economica. La distensione in Ucraina, grazie anche alla collaborazione energetica con la Russia, è condizione per dirigerci verso uno sviluppo più equo, garantendo reddito e occupazione.

4- Il ruolo delle donne – dalla WILPF traiamo appunto il testo base di partenza – che ci viene sempre richiamato dalla ONG femminista quali animatrici trainanti la mediazione nonviolenta dei conflitti

Sull’invasione russa del Donbass, da condannare senza se e senza ma, si veda il comunicato riportato prima del presente testo.

La sua (del comunicato) logica è quella di non arrendersi alle derive belliche e di continuare a proporre alternative all’uso dello strumento militare per affrontare contenziosi.

L’esempio di Cuba va richiamato ma non esaltato come modello. Bisogna tener conto dei legittimi interessi di sicurezza delle controparti, ma questo succede in modo più efficace se si riesce a incardinare una nozione di bene comune che supera l’interesse particolare.

E’ comunque decisiva, da parte di chi si proclama pacifista e vuole mediare per la pace, la capacità di parlare super partes, da “non allineati”.

Alfonso Navarra – portavoce dei disarmisti esigenti
Documento – E’ necessario ridurre l’escalation del conflitto in Ucraina
L’Europa deve assumere il ruolo di protagonista del dialogo e dei negoziati per la pace nella regione e nello spazio continentale

Noi, Disarmisti esigenti, WILPF Italia, Energia felice, Mondo senza violenza e senza guerre (eventualmente altri), insieme ad altre organizzazioni pacifiste e ecologiste, difensori dei diritti umani e costruttori di pace, riguardo al conflitto armato in corso in Ucraina siamo molto preoccupati per il ruolo quasi assente dell’Europa e dei paesi europei: occorrerebbe l’intervento di un soggetto che avesse un interesse vitale a promuovere una soluzione pacifica e diplomatica , mentre imperversano altri attori esterni per uno suo sviluppo sempre più militarizzato ed allargato.

Rilasciamo questa dichiarazione aperta per invitare i governi in Europa, i parlamentari dell’UE, la Commissione europea, a prendere provvedimenti immediati per ridurre e smilitarizzare il conflitto e ad impegnarsi diplomaticamente in colloqui di pace e sicurezza a lungo termine con tutte le parti interessate coinvolte, a partire dai paesi e dalle regioni confinanti.

L’Unione europea in primis, senza delegare a USA e Russia, dovrebbe operare fattivamente per far abbassare la tensione, creare canali di dialogo, assumere iniziative forti che avvicinino i popoli e consentano una soluzione negoziata e giusta della crisi: questo significa rappresentare attivamente la collocazione in una posizione non allineata rispetto alla ricomparsa di logiche da Guerra fredda da relegare negli archivi della Storia.

Non siamo disposti ad accettare le continue minacce di interventi militari, gli interventi militari stessi, e la retorica incendiaria su accadimenti allarmanti, da qualsiasi parte provengano (USA, NATO, Russia, governo ucraino), come una “normalità”: al rischio che allarmi e gesti di guerra funzionino come possibili inneschi di deflagrazioni ancora più massicce, si aggiunge l’aumento certo della instabilità in una situazione (economica e psicosociale) già molto fragile per le popolazioni; e particolarmente difficile per le donne.

Sospettiamo che dietro il richiamo ai grandi principi sull’autodeterminazione delle nazioni e dei popoli si nascondano interessi ben più ristretti a controllare la vendita del gas e a lucrare su di essa. Le tensioni in corso e le difficoltà di approvvigionamento già le stanno pagando le economie e le popolazioni, principalmente in Europa, con i prezzi dell’energia che si sono impennati e con inflazione e disoccupazione che vanno crescendo fin da adesso. Figuriamoci dovessero scattare le sanzioni e le controsanzioni che sono state poste sul tappeto: il crollo economico che ne scaturirebbe non solo vanificherebbe ogni sforzo di ripresa dalla pandemia (che pare stiamo superando), ma creerebbe condizioni di povertà generalizzate!

Per non parlare dell’incubo di operazioni militari che, magari partite con scopi limitati, persino per errore o per caso possono accendere derive incontrollabili. Un’escalation armata in Europa dev’essere evitata con ogni mezzo pacifico a disposizione secondo gli obblighi del diritto internazionale soprattutto in considerazione del fatto che a fronteggiarsi sono Stati dotati di arsenali nucleari dislocati anche sul territorio europeo.

Quest’ultima circostanza è estremamente preoccupante poiché fa sì che le basi in Germania, Olanda, Belgio e Italia siano tra gli obiettivi di eventuali nuclear strike russi e, d’altra parte, potrebbero implicare la partecipazione attiva di personale militare in bombardamenti con armi nucleari (da considerare in ogni circostanza contrari al diritto internazionale).

La deterrenza, la crescente presenza militare e l’autoritarismo non sono in grado di risolvere i conflitti. Il rischio di nuove linee di divisione (retaggio dei tempi della guerra fredda) sta già ora indebolendo la necessaria coesione in Europa e la speranza in un suo destino, sia detto senza retorica, di promotrice della pace della società umana con la Natura, quindi della pace universale tra gli esseri umani.

Siamo ansiosi di vedere i risultati politici: uno è disarmo e smilitarizzazione, un altro è collaborazione energetica per la conversione ecologica, un altro ancora è ridefinizione della sicurezza – intesa come una complessa sicurezza umana/genuina – e, ultimo ma non meno importante, la partecipazione equa e significativa delle donne a tutti i livelli di negoziazione e processi decisionali nello spirito dell’attuazione dell’UNSCR 1325 a tutti i livelli.

I nazionalismi hanno già portato l’Europa alla triplice tragedia di confronti che hanno messo i popoli l’uno contro l’altro armati (la Prima guerra mondiale del 1914-19, la Seconda guerra mondiale del 1939-45, la terza come Guerra fredda).

Riteniamo i Patti militari una minaccia alla sicurezza dei popoli. Già oggi il clima di guerra fredda imposta nel nostro continente dalla contrapposizione NATO-Russia ha fatto raddoppiare la spesa per armamenti, sottraendo preziose risorse alla lotta alle diseguaglianze, alle malattie, alla povertà e ad una vera conversione ecologica dell’economia. Alla logica di potenza dei blocchi vogliamo che si sostituisca il concetto della sicurezza condivisa, con un rilancio delle Nazioni Unite e dell’OSCE come fautori principali della sicurezza e della cooperazione comune.

LE NOSTRE RICHIESTE A TUTTI I GOVERNI IN EUROPA e ALLE ISTITUZIONI MULTILATERALI

Per ridurre l’escalation del conflitto e garantire la pace e la sicurezza in Ucraina e in Europa:

1• Attivare i canali diplomatici coinvolgendo il segretario generale dell’ONU e mobilitando innanzitutto la Commissione europea (Mr PESC Borrell) perché promuova con assoluta urgenza i negoziati volti a trovare una soluzione pacifica alla controversia che ormai da mesi tende a inasprirsi e che è precipitata con l’invasione russa del Donbass.

Un’ipotesi che ci permettiamo di suggerire è un “formato Normandia”, per così dire, “aumentato”. Un tavolo presieduto dal segretario generale dell’ONU Guterrez e a cui siedano UE, Germania, Francia, Russia e Ucraina con USA e NATO come osservatori. Stante il presupposto che “un ingresso della Ucraina nella NATO non è all’ordine del giorno” (dichiarazione sia di Scholz che di Macron, che potrebbe essere fatta propria anche da Draghi), una base possibile per un accordo sarebbe l’implementazione di Minsk (autonomia delle due province del Donbass), l’offerta di collaborazione energetica sia a russi che ucraini con finalità di conversione ecologica (rispetto degli accordi di Parigi sul clima), l’avvio di negoziati per la denuclearizzazione che potrebbero includere una fascia libera dalle armi nucleari anche per evitare il ritorno dei cosiddetti “euromissili”, reso possibile dalla disdetta del Trattato INF del 1987.

Minsk II va ribadita e la Russia deve fare marcia indietro rispetto al riconoscimento delle Repubbliche separatiste ed alla occupazione militare che viola tale accordo. Questo risulterà tanto più fattibile e valido quanto più se parallelamente saranno aperti negoziati sullo statuto delle comunità russofone nei Paesi dell’Est: particolarmente (oltre ovviamente in Ucraina) nei Paesi baltici, soprattutto Estonia e Lettonia dove circa un terzo della popolazione è russofona e formata in maggioranza da cittadini senza più alcuna nazionalità! (cioè delle vere “bombe a scoppio ritardato”!)

2• È evidente che un grave gesto quale quello della invasione militare del Donbass va sanzionato, ma le misure restrittive è bene che non siano autolesioniste e si caratterizzino per un carattere limitato per non porsi da ostacolo alla prospettiva centrale dei negoziati. Non ci sembra che vada in questa direzione il pacchetto sanzionatorio da parte UE che filtra dagli articoli di stampa.

3• Attuare gli impegni nei confronti dell’Agenda delle Nazioni Unite per le donne, la pace e la sicurezza (UNSCR 1325) che richiedono un ruolo sostanziale e significativo per la partecipazione delle donne ai negoziati e la leadership femminile per la prevenzione dei conflitti. Garantire che le donne di tutte le parti del conflitto siano invitate a mediare una risoluzione diplomatica del conflitto e un accordo per una pace duratura.

4• Riprendere l’idea dei vincitori del premio Nobel per la pace: “Abbiamo una proposta semplice per l’umanità: i governi di tutti gli Stati membri dell’ONU dovrebbero negoziare una riduzione congiunta delle loro spese militari del 2% ogni anno per cinque anni”.

Ed ecco anche le nostre richieste al governo italiano perché possa farsi credibilmente parte attiva di questo percorso, oltre la scontata condanna della invasione militare del Donbass e le sanzioni (graduali e moderate) che contro di essa devono essere attivate:

1• Dichiarare l’indisponibilità dell’Italia alla partecipazione al conflitto ritirando i militari oggi schierati nell’Europa orientale.

2• Formalizzare la propria contrarietà all’ulteriore estensione ad Est della NATO.

3• Avviare una nuova politica estera basata sul multilateralismo

4• Sviluppare, per il contrasto immediato al caro energia, una politica energetica strutturalmente pacifica di fuoriuscita dal gas allo stesso modo che dal nucleare e dal carbone: tassazione degli extraprofitti delle imprese (principalmente una compagnia di Stato come l’ENI), che hanno lucrato sugli aumenti stratosferici del gas e accelerare, anche attraverso un PNIEC adeguato, un modello del 100% da fonti rinnovabili.

Ai sindaci e alle sindache delle nostre città chiediamo infine di convocare in Italia i loro colleghi e colleghe delle città delle zone contese in Ucraina e in Russia e di chiedere ai sindaci e alle sindache delle altre città europee di convocare un summit di pace e di dialogo tra quei popoli. Solo costruendo ponti, mobilitando le coscienze ed unendo i popoli, lavorando sui problemi comuni dell’umanità, i signori della guerra potranno essere contrastati e fermati.

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Nota bene. Questa dichiarazione riprende, integra e aggiorna (anche sintetizzandolo) un documento di WILPF internazionale e si inserisce all’interno del percorso delle tre partite che DE+WILPF+partners hanno intrapreso per orientare su sbocchi di “pace verde”.

Nell’attuale congiuntura segnata dall’incombere della emergenza ecologica e dalla minaccia nucleare-militare, sentiamo di dover giocare e vincere tre “partite” tra loro collegate: una di carattere più nazionale, una di carattere direttamente europeo, una europea di carattere globale.

La partita nazionale è quella della riscrittura del PNIEC, la partita europea è quella della tassonomia UE, la partita globale è quella della soluzione della crisi geopolitica Ucraina, che è sostanzialmente un conflitto per il gas che può diventare guerra sul gas.

Queste “partite” non possiamo ignorarle perché sono già in corso ed hanno una evidente intima connessione. Rappresentano dimensioni e livelli di azione che vanno tenuti legati e concatenati logicamente e fattualmente.

La partita del PNIEC finirà in aprile stando ai tempi che ci chiede l’Europa.

La partita della tassonomia europea, in particolare sull’atto delegato che inserisce gas e nucleare tra le fonti sostenibili finanziabili, andrà a chiudersi al massimo nel luglio 2022, con un voto del PE.

La partita distensione sull’Ucraina ha scadenze meno definite, ma il primo obiettivo temporale è una de-escalation militare e l’avvio di negoziati per una tregua geopolitica che ponga le premesse di una solida architettura di pace europea. La de-escalation militare prima si verifica meglio è. Ed i negoziati devono vedere protagonista l’Europa in un modo più convincente e ambizioso che non quello che hanno fatto intravedere i tentativi finora compiuti da Macron e Scholz.

Ciò che rende queste tre “partite” un “campionato” unico è il destino dell’Europa inteso come spazio adeguato alla conversione ecologica, per nuovi assetti di pace e per l’avanzamento di diritti e di democrazia effettiva.
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LA CENTRALITA’ STRATEGICA DELLA QUESTIONE ENERGETICA NELLA CRISI UCRAINA

Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti (25 febbraio 2022)
Nota bene: In questi appunti manca ancora la parte che deve sviluppare il perché Putin, con l’invasione dell’Ucraina, abbia invece deciso di recidere il possibile asse energetico ed economico con l’Europa ed assecondare una logica di potenza di corto respiro. I fatti attestano che il suo regime di nazionalismo militaristico, di fondamentalismo ideologico panslavista, di demokratura allergica alle libertà e al diritto, sia più ottuso e pericoloso di quanto non eravamo disposti ad immaginare…

Ho sentito in TV vari commentatori, ad esempio mercoledì notte (23 febbraio) Federico Rampini su Rai News 24 (ma non è il solo), sottolineare che Nord Stream 2, al momento bloccato sia da “strane” vicende burocratiche, sia adesso dall’annuncio esplicito del cancelliere Scholz dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non c’entrerebbe affatto con l’aumento dei prezzi del gas perché non era e non è in funzione; quindi, non potrebbe influire su questo aspetto.
Ricordiamo che questo gasdotto ha una importanza strategica, raddoppia, aggirando il territorio ucraino, il gemello Nord Stream 1 già operativo da anni: insieme Nord Stream 1 e 2 possono portare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
La tesi di Rampini, e di buona parte della stampa, non regge perché il mercato energetico, che vive di aspettative come tutti i mercati, considerava che il gasdotto sarebbe entrato in servizio a giugno 2022. (Si veda in proposito questo pezzo pubblicato sul sito della LUISS il 17 dicembre 2021: “Nord Stream 2: l’approvazione del gasdotto non arriverà prima del giugno 2022”. Al link: https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/12/17/nord-stream-2-lapprovazione-del-gasdotto-non-arrivera-giugno-2022/Apre in una nuova finestra).
I contratti di compravendita “a termine”, distinti dai contratti “a pronti”, sono identificati dal fatto che la consegna del bene oggetto del contratto (il sottostante) e il pagamento del prezzo pattuito avvengono a una data futura prefissata e non nel momento in cui le due parti raggiungono d’accordo.
Ora questi contratti, detti anche “forward”, si erano adeguati contando su questa scadenza di giugno. Ma dopo l’annuncio di Scholz ecco che i prezzi del gas sono in generale subito saliti dell’ 11% ; e per i forward del 23% (secondo Sergio Giraldo su LA VERITA’ del 24 febbraio del 2022). In altri termini, è stato stimato che la notizia che NS2 non parta in tempi brevi – e forse addirittura non parta più – valga tra i 25 e i 30 euro a MWh su un prezzo del gas già alto e questa prospettiva si sta trasferendo sui prezzi dei contratti a termine.
(Si vada al link: https://www.huffingtonpost.it/entry/berlino-frena-nord-stream-2-minsk-minaccia-il-prezzo-del-gas-decolla_it_61b74d08e4b0b50268a8f1e3/Apre in una nuova finestra Troviamo l’articolo di Claudio Paudice dal titolo:
“Berlino frena Nord Stream 2, Minsk minaccia: il prezzo del gas decolla”)
Rampini e affini, in sostanza tentano di minimizzare l’impatto economico del blocco di NS2 perché, in questo in buona compagnia di gran parte del mondo ecopacifista, distratto e limitato nelle analisi, negano che si possa attribuire valenza strategica alla questione energetica, mentre andrebbe considerata proprio il cuore delle vicende cui stiamo assistendo, coperte da un polverone geopolitico in buona parte distraente sull’allargamento o meno della NATO.
L’asse energetico-economico tra Germania e Russia – questa è l’ipotesi da esaminare – è qualcosa di inaccettabile da parte di una superpotenza americana che vuole restare unico dominus globale e quindi senza concorrenti. È un’ipotesi che condivido con un importante editorialista del quotidiano Il Manifesto, Alberto Negri e che circola anche negli ambienti della rivista di geopolitica “LIMES”.
Washington, già allarmata dalla crescita veemente e aggressiva della Cina, vedrebbe un pericolo esistenziale per sé in questo legame organico che si stabilirebbe tra Berlino, la guida dell’Europa, e Mosca, a capo di una grande potenza militare presidiante uno spazio territoriale con enormi risorse.
La CEE, oggi UE, in un certo senso è stata, a ben guardare, un’invenzione americana. L’Europa unita dai commerci, favorita nel suo sorgere quale contrappeso rispetto all’URSS durante la Guerra fredda, si sarebbe dovuta ulteriormente sviluppare come braccio politico-economico supplementare rispetto a quello militare della NATO nel confronto con il Patto di Varsavia. Terminata quella fase oppositiva della Guerra fredda, l’Europa è cresciuta nella propria densità esistenziale, darsi appunto uno statuto di Unione oltre il semplice spazio di mercato, e iniziare un progressivo allargamento verso Est dopo la caduta del Muro di Berlino. Una dilatazione bene accolta e appoggiata dagli USA nella misura in cui coincideva con il parallelo processo di allargamento della NATO.
Ora vengo al nocciolo del mio ragionamento e vi prego di fare attenzione. Ritengo, con Alberto Negri, ma anche con la rivista “Limes”, che la questione NATO sia più una copertura che la sostanza del conflitto che si sta adesso squadernando con intensità drammatica e forte grancassa mediatica. Secondo la mia ipotesi l’allargamento all’Ucraina della NATO sarebbe un casus belli fondamentalmente fittizio e non solo perché “tecnicamente non all’ordine del giorno per molti anni”, come hanno ricordato Macron e Scholz. Il punto vero è che gli USA insistono sull’importanza strategica dell’Ucraina perché il loro obiettivo è evitare una liaison diretta tra Russia e Germania, a prescindere tra chi possa tra esse diventare il polo dominante (anche se temono che a prevalere alla fine possa essere la potenza militare russa su quella economica tedesca).
Dal punto di vista americano, caldeggiare l’importanza strategica dell’Ucraina, luogo di transito dei gasdotti dalla Siberia per l’Europa occidentale, è un modo per prospettare una Europa che sappia “stare al suo posto”, senza porre problemi all’ordine internazionale di cui gli USA devono restare il fulcro.
Da questo punto di vista i messaggi che sono lanciati ai leaders europei, ed in particolare tedeschi, sono chiarissimi: basta con l’Ostpolitik, non c’è spazio per le velleità di dare alla UE una seria autonomia strategica e politica, soprattutto se questo significa inglobare una Russia che Berlino, più o meno in alleanza con Parigi, probabilmente non riuscirebbe a controllare.
La questione Ucraina è quindi importantissima: da un punto di vista non ufficiale, bisogna essere consapevoli che è sul suo terreno che si gioca una partita che va al di là dell’immediato e riguarda il controllo e l’autonomia dell’intera Europa.
È quella che, come Disarmisti esigenti, abbiamo definito la “terza partita” (la prima è la riscrittura del piano energia e clima, la seconda la tassonomia senza gas e nucleare), in cui impegnare adesso le forze ecopacifiste italiane, nel campionato unico che si gioca, appunto, sul destino dell’Europa.
Ma, già che ci sono, ora vengo brevemente ad un altro abbaglio da parte ecopacifista, quella che porta a paragonare la crisi attuale a quella dei missili di Cuba.
Leggo ad esempio su Il MANIFESTO la solita domanda, questa volta avanzate da Giulio Marcon, in un articolo intitolato: “I venti di guerra della crisi ucraina e il bisogno di pacifismo”:
“Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse partecipato ad un’alleanza militare guidata da Putin? E d’altronde ancora ci ricordiamo come reagirono gli americani quando 60 anni fa i sovietici installarono I missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale”.
(Si vada al link: https://ilmanifesto.it/i-venti-di-guerra-della-crisi-ucraina-e-il-bisogno-di-pacifismo/Apre in una nuova finestra)
La risposta, in sintesi, è che questa domanda ha senso solo se si entra nella logica assurda della guerra nucleare che potrebbe essere combattuta e vinta con conflitti limitati e graduati, in una escalation programmata che può prevedere l’uso di vari tipi di armi, da campo di battaglia, tattiche, di teatro e per il confronto globale.
Una logica cui una persona dotata di buon senso, ancorata alla società degli uomini e non al risiko da caserma, non dovrebbe offrire il minimo appiglio, perché può avere un senso laddove vari corpi militari stiano litigando per ottenere stanziamenti ai loro progetti di guerra; nella vita reale invece dovremmo renderci conto che non porta differenza che un missile nucleare quale che sia per raggiungere una capitale ci metta cinque minuti oppure mezz’ora.
E lo dico da persona che da 40 anni studia queste strategie nucleari: ma per demistificarle, mica per prenderle sul serio!
L’unica differenza sostanziale accadrebbe se il comando e il controllo dei missili vengono attribuiti interamente all’intelligenza artificiale, che è il pericolo che adesso purtroppo corriamo. Questo sbocco infausto tanto più lo potremo evitare quanto più eviteremo, da pacifisti, di giocare al piccolo stratega rubando il mestiere ai generali: categoria che dovremmo volere mandare definitivamente in pensione…
Pubblicato febbraio 24, 2022Autore wp_6134738
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