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C’è un aspetto particolare dei rapporti economici tra Italia e Russia. A partire dal varo delle sanzioni dopo l’annessione della Crimea, si è ridotto in maniera evidente il flusso di merci indirizzate dal nostro Paese verso il territorio russo, che rappresenta l’1,5% del complesso delle nostre esportazioni, in forte calo dal 2,7% precedente al 2014. La riduzione ha colpito in modo particolare alcuni settori come quello dell’arredamento, che occupava l’8% dell’export prima delle sanzioni ed è crollato al 3% dopo, come quello dell’abbigliamento, sceso dal 7,3 al 3,8% e quello dei prodotti in pelle contrattosi dal 4,6 all’1,7%.

Gli scambi sono stati ulteriormente penalizzati dalla pandemia e nel 2020 le aziende italiane in affari con la Russia sono state circa trecento che contribuiscono a un interscambio vicino ai 7,6 miliardi di euro, a fronte, peraltro, di un interscambio con l’Ucraina di quasi 2 miliardi di euro. A questa forte limitazione delle esportazioni di merci non ha fatto seguito però una contrazione dello stock di capitali italiani investiti in Russia, che rappresentano ancora il 2,4% del totale mondiale e che si traducono in un fatturato di 7,4 miliardi di euro, in crescita del 7,5% negli ultimi sei anni, con un incremento più alto di quello extra Ue, pari al 2,2%, e negli Stati Uniti, fermatosi al 5,2%.

In altre parole, dopo il varo delle sanzioni, è evidente che per fare affari in Russia bisogna portare le produzioni in quel Paese. La riduzione delle esportazioni verso la Russia non si è accompagnata neppure a un significativo ridimensionamento delle attività delle banche italiane che sono tra le più esposte sul fronte russo. Secondo le stime della Banca dei regolamenti internazionali, tale esposizione ammonta infatti a 25,3 miliardi di dollari, a cui si aggiungono altri 6 miliardi in termini di garanzie.

Sorgente: L’esposizione delle banche italiane in Russia

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