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L’ex segretario parla di “motivi di natura politica”, dura reazione del movimento neofascista che ora rischia l’implosione

Personalismi legati al ruolo sempre più ingombrante del front man “ostiense” Luca Marsella e della compagna Carlotta Chiaraluce, camerati in ascesa che pure lui stesso aveva promosso, da semplici militanti, a “classe dirigente”. Divergenze sulla linea politica venute a galla nell’ultimo anno, evidentemente non più sanabili: sia per quanto riguarda il posizionamento stesso del movimento (un tempo partito), sia per l’azione-collocazione nella complessa e tribolata stagione delle proteste contro lockdown, vaccini e Green pass. Una stagione che ha visto in piazza anche CasaPound (con le “mascherine tricolori”), ma che ad un certo punto è stata letteralmente e plasticamente dominata da Forza Nuova con le sue manifestazioni violente ed infine eversive.

 

 

Poi, forse, aspetti legati ad ambizioni personali: perché di tutti i capi e capetti dei “fascisti del terzo millennio”, l’unico che, in quasi vent’anni di storia, è salito su un palco con i big del centrodestra (Salvini, Berlusconi, Meloni) è stato lui. Simone Di Stefano, che a sorpresa – anche se qualcuno giura che nell’ambiente era ormai data per scontata – ha annunciato l’uscita da CasaPound. Un piccolo terremoto nella sigla egemone dell’ultradestra italiana. Che potrebbe avere gli effetti di un’implosione. E scissione, in qualche modo, lo è già. Lo vedremo tra poco.

 

 

 

Ex segretario nazionale, già vicepresidente di CPI. Comunque anima e, diciamo, testa politica di un movimento sotto inchiesta (a Bari) per tentata ricostituzione del partito fascista. Il tweet lapidario di Di Stefano è arrivato la sera del 1 febbraio: “Per libera e sofferta scelta, il mio percorso politico con CasaPound Italia termina oggi. Non tornerò mai più sull’argomento e non c’è necessità di discutere le motivazioni, che sono pochissime ed esclusivamente di natura politica”. Mentre l’ex segretario nazionale cinguettava il suo addio più o meno sofferto i siti davano notizia dell’ultimo blitz delle tartarughe nere: adesivi sui bancomat di decine di città. Con lo slogan “da domani senza vaccino non potrai accedere al tuo conto”.

L’eco non proprio roboante degli adesivi appiccicati di notte dai militanti contro il governo Draghi ha lasciato spazio ai commenti e alle reazioni social sullo strappo dell’uomo che fu più volte candidato a sindaco di Roma, al parlamento italiano e a quello europeo: sempre senza fortuna. Perché Di Stefano ha mollato il movimento neofascista? Come va interpretata, in prospettiva, la sua scelta, che i non estimatori attendevano da “mesi”, o da “più di un anno”, come ha scritto qualcuno nei commenti al tweet?

Raccontano che da tempo il contributo operativo di Di Stefano si fosse ridimensionato. Al di là del ruolo formale – appunto, vicepresidente -, la presenza alle iniziative e alle manifestazioni in piazza di CasaPound era sempre meno frequente. Al suo posto, in prima linea, il fratello Davide, già impegnato a coordinare la branca sportiva del movimento e “firma” della testata Primato Nazionale, l’house organ di CasaPound usata dai neofascisti per muovere attacchi contro i nemici di turno, antifascisti, “schiavi del sistema”, come vuole la stanca retorica mediatica dell’ultradestra. Ma insomma: Simone Di Stefano non lo si vedeva quasi più. Il riferimento dei militanti in piazza è diventato da mesi, e sempre di più, Luca Marsella. Il capetto di Ostia già fotografato insieme a un rappresentante del clan Spada.

Fu lo stesso co-fondatore di CPI Di Stefano, insieme al capo supremo Gianluca Iannone, a far crescere Marsella e a cucirgli addosso la veste di guida movimentista nelle iniziative dove i militanti sono convocati. Ma raccontano che proprio il peso e la visibilità assunti da Marsella nel movimento, e il suo “asse” con Iannone abbiano, a un certo punto, spinto Di Stefano a fare alcune riflessioni “politiche”. Di “motivazioni esclusivamente politiche” parla l’ex leader nel suo tweet di addio. Ma come sempre accade in politica, scelte, ideali e rapporti personali si fondono. La prova sta nel duro comunicato ufficiale con cui CasaPound ieri ha commentato l’uscita di Di Stefano.

Eccolo. “Ieri sera abbiamo appreso da Twitter e dalla stampa che Simone Di Stefano ha definito conclusa la sua esperienza con CasaPound Italia. Ci teniamo a ribadire che fin dalla sua nascita, Cpi ha sempre ambito a rappresentare un movimento rivoluzionario e non intende retrocedere di un millimetro su questo. In uno scenario politico dove i partiti e la democrazia stessa stanno crollando su sé stessi, dove i leader politici si sono trasformati in influencer ossessionati esclusivamente da una spasmodica ricerca di like e consenso elettorale, noi abbiamo già deciso da tempo di essere altro. Il nostro obiettivo non sarà mai quello di scendere a compromessi e rinunciare a ciò che abbiamo scelto di essere per riuscire ad accedere a poltrone di un Parlamento dove non passa più nessuna decisione strategica per la nostra nazione, al solo scopo di conquistare degli scranni da dove esercitare una minuscola porzione di potere che ci verrebbe concessa barattando il nostro spirito rivoluzionario. Queste – prosegue la nota, ed ecco la stoccata a Di Stefano  – sono le uniche motivazioni politiche che hanno portato alcuni ad abbandonare il nostro movimento e percorrere altre strade. Decisioni prese senza fornire spiegazioni, probabilmente per nascondere l’umiliazione che ne comporta, oltretutto nei giorni in cui le nostre sedi vengono sgomberate e i nostri militanti indagati, come atto di ritorsione per le proteste contro il governo”.

Tradotto: il vecchio capo è accusato di avere abbandonato la nave nel momento di difficoltà (le tartarughe sentono la pressione degli sgomberi decisi dal Comune che, dopo il “circolo futurista” di Casal Bertone, potrebbero adesso allargarsi ad altri presìdi fino alla sede storica di via Napoleone III in zona Termini, sempre nella Capitale) . Con quali conseguenze? “Non ci sarà nessuna scissione o frammentazione – spiegano i vertici del movimento neofascista -. CasaPound è una e indivisibile e tale resterà sempre. Il nostro è un movimento solido, che è sopravvissuto ad ogni genere di attacco e che da tempo ha capito l’inutilità di reclamare, puntando magari su slogan e battaglie populiste di retroguardia volte a un effimero e minimo consenso, posti oramai svuotati da ogni utilità, funzione e potere”.

L’affondo contro Di Stefano si consuma con queste parole: “Ci stupisce che chi da sempre è stato ai vertici decisionali della struttura politica di punto in bianco critichi quegli stessi assetti politici che ha contribuito a creare e che ne hanno determinato notorietà e visibilità. Gli uomini passano, le idee restano. E quell’idea che noi portiamo avanti ogni giorno, nel nome di chi è caduto per essa, sarà sempre la bussola che indica la strada da seguire. Ci troverete sempre in prima linea al fianco del nostro popolo, scudo e spada di una nazione e di un’idea che noi, non tradiremo mai. Per noi, conta solo chi resta.”. Già. Le domande sono due, allora. La prima: dove proseguirà, se proseguirà, l’attività politica di Di Stefano? In via Napoleone III più d’uno prevede che “entrerà in Fratelli d’Italia”. Il co-fondatore di CPI è sempre stato l’uomo dei rapporti con la destra a quelli che i camerati considerano i livelli più alti.

Giorgia Meloni lo accoglierà nel suo partito, magari con un ruolo di play maker romano capace di attrarre giovani dalla galassia nera di cui è profondo conoscitore e di cui per anno è stato animatore? Oppure Di Stefano guarda altrove (molto difficile che sia la Lega visti gli orizzonti moderati-“repubblicani” di cui parla l’ex capitano sovranista Salvini)? Seconda domanda: chi resta, ai vertici di CasaPound? Anche se ufficialmente si negano “scissioni” e “frammentazioni”, sono già nei fatti. Per dire: che cosa farà, adesso, Davide Di Stefano, dopo l’addio “politico” del più noto fratello? Gli effetti dell’abbandono del vecchio segretario nazionale (quando CPI era ancora un partito) inevitabilmente ridisegneranno gli equilibri. Riguardano anche i due Antonini di CasaPound (uno ormai ex). Mauro Antonini, già coordinatore regionale del Lazio e candidato alle elezioni regionali. E Andrea Antonini, tuttora vicepresidente (indagato per violenza privata per avere minacciato alcuni giornalisti lo scorso 7 gennaio in occasione dell’anniversario della strage di Acca Larentia a Roma).

Il primo ha lasciato il movimento mesi fa passando con Salvini (in passato aveva lavorato per Mario Borghezio ed era stato uno degli anelli di congiunzione tra la Lega sovranista e CasaPound, un'”alleanza” durata dal 2014 al 2016, poi la Lega scippa a CPI lo slogan “Prima gli italiani”). Il secondo, Andrea Antonini, è dato sempre più distante dal presidente Gianluca Iannone. Che a questo punto – insieme a Luca Marsella e a Carlotta Chiaraluce – avrebbe in mano le redini delle tartarughe nere, quantomeno nella Capitale. Proprio Iannone e Marsella avrebbero “steso” il comunicato dove si dà del “traditore” a Di Stefano. Una resa dei conti che forse è solo all’inizio. Tra i “fascisti del terzo millennio” volano gli stracci. Restano le immagini seppiate del nucleo dirigente unito. Per esempio la fotografia del 2015: Iannone, i Di Stefano, gli Antonini e il dirigente-imprenditore-picchiatore Francesco Polacchi a tavola con Matteo Salvini. La cena “sovranista”. Nella trattoria Da Angelino di proprietà della compagna di Iannone. Tempi andati. Quando ancora CasaPound contendeva la leadership dell’ultradestra a Forza Nuova. Dopo l’assalto squadrista alla Cgil del 9 ottobre scorso il partito di Fiore è di fatto imploso, falcidiato da arresti e inchieste giudiziarie. CasaPound ne ha approfittato cannibalizzando i resti di Forza Nuova. Ma poi è arrivata la mossa a sorpresa di Di Stefano.

 

Sorgente: CasaPound: se ne va il leader storico Simone Di Stefano. Voci di avvicinamento a FdI – la Repubblica

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