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Una storia orale dei primi giorni dell’epidemia, raccontati dai cittadini, dai medici e dagli amministratori che ne finirono al centro

di Isaia Invernizzi

Il 23 febbraio 2020 vennero identificati i primi due casi di coronavirus in provincia di Bergamo. Dopo un periodo di sottovalutazione generale si capì gradualmente che la situazione stava precipitando: tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo il coronavirus riuscì a diffondersi in gran parte della provincia, soprattutto nei comuni della Val Seriana. I dati mostravano un’espansione rapida, ma era solo la traccia di una minaccia nascosta e ben più grande. Seguirono settimane di fatiche, sofferenze e migliaia di morti.

Negli ultimi mesi, le fasi più dolorose dell’emergenza a Bergamo sono state estesamente raccontate: tutto il mondo ha visto gli ospedali colmi di pazienti in gravi condizioni, il dramma di moltissime famiglie, le bare a riempire le chiese dei cimiteri, i convogli militari che hanno trasportato le salme fuori dalla regione per essere cremate.

Questa storia orale, basata su oltre 30 ore di interviste, audio inediti e una corposa documentazione di archivio, ripercorre i giorni che hanno preceduto l’arrivo della prima ondata in provincia di Bergamo, quando si pensava che sarebbe bastata una settimana di chiusura totale per tornare alla normalità. Le testimonianze di medici, amministratori e cittadini aiutano a capire le sottovalutazioni e i limiti delle decisioni prese in quei giorni, insieme al loro contesto, e suggeriscono che mancano ancora alcune risposte per spiegare quanto accaduto.

I. Il virus nascosto

Giacomo Angeloni, assessore al’Innovazione e ai servizi cimiteriali del Comune di Bergamo: «Il 30 gennaio organizzammo la presentazione pubblica di un nuovo progetto urbanistico in Città Alta, nel centro storico di Bergamo. Parteciparono molte persone. Non dovevo essere lì. Ero stato chiamato a sostituire un mio collega che aveva la febbre. Ricordo che feci una pessima battuta ai presenti: “È malato, ma vi assicuro che non è Covid”».

Sorgente: A Bergamo nessuno sapeva – Il Post

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