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New Left Review, nel Regno Unito: «Nessuno ha espresso meglio la crudeltà, la fredda violenza insita nelle sanzioni economiche quanto queste frasi pronunciate dal presidente statunitense Woodrow Wilson nel Coliseum di Indianapolis il 4 settembre 1919: le sanzioni sono un “rimedio letale” che “non uccide fuori dalla nazione boicottata”, cioè che uccide solo lì».

Sanzioni assassine senza guerra

Dopo Wilson, più di un secolo fa, il metodo delle sanzioni si è imposto come pratica corrente di politica internazionale nel ventesimo secolo, per dilagare nei primi due decenni del ventunesimo, scrive Marco D’Eramo sulla pubblicazione britannica, ripresa da Internazionale. La Società delle Nazioni, nata nel 1920 su impulso proprio di Wilson, ingiungeva di “rompere immediatamente tutte le relazioni commerciali o finanziarie, e proibire ogni rapporto e far cessare ogni comunicazione commerciale o personale”. L’isolamento assoluto.

La sanzioni all’Italia fascista del ‘35

Le prime sanzioni che la Società delle Nazioni impose furono contro l’Italia nel 1935, quando il regime fascista invase l’Etiopia (nel 1937 l’Italia uscì dalla Società delle Nazioni). Sanzioni anche al Giappone nel 1940-1941. Nel 1950 il dipartimento del tesoro statunitense creò l’Office of foreign assets control (Ofac). L’embargo contro Cuba del 1962 fu l’esempio più classico di come gli Stati Uniti usarono le sanzioni nella guerra fredda contro il blocco sovietico. Ma l’uso e abuso delle sanzioni esplose dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il primo a farne le spese fu il dittatore iracheno Saddam Hussein.

Sanzioni, uso e abuso

Le sanzioni sono un atto di guerra, economica sì, ma pur sempre guerra. «Questo vuol dire che il moltiplicarsi delle sanzioni e dei paesi sanzionati implica il moltiplicarsi delle guerre economiche». Le ipocrisie degli ultimi decenni. «Il metodo delle sanzioni è stato applicato sempre più spesso contro sempre più paesi da parte di sempre più potenze, sub-potenze, sub-sub-potenze».

La sanzionatrice planetaria

La potenza sanzionatrice per eccellenza sono gli Stati Uniti. Secondo un rapporto del dipartimento del tesoro, dal 2000 al 2021 le sanzioni imposte da Washington sono cresciute del 933 per cento: da 912 sanzioni attive nel 2000 a ben 9.421 nel 2021.

Prima degli Usa, Pericle

La prima sanzione economica che si ricordi nella storia fu il blocco commerciale imposto dall’Atene di Pericle alla città di Megara nel 432. Blocco che, secondo Tucidide , condusse comunque alla guerra del Peloponneso, con la disfatta di Atene e la vittoria di Sparta.  Da allora le sanzioni -atto di guerra senza eserciti-, di sono raffinate. «Così, prima di imporre sanzioni a tutto il paese preso di mira, si colpiscono individui singoli, o singoli aerei, o singole navi. O singole società». E grazie a Marco D’Eramo scopriamo che gli Usa hanno in campo ben 37 diversi programmi di sanzioni su dodicimila entità o persone.

Se si entra nel sito dei programmi di sanzioni del dipartimento del tesoro, si penetra in un labirinto kafkiano in cui si rischia di perdersi.

Lista Specially designated nationals Ofac

Una tabella pubblicata dall’Economist mostra la varietà dei bersagli di Washington: per esempio del Venezuela sono sanzionati 56 aeroplani, 47 vascelli, 141 individui e 89 entità giuridiche varie (tra cui banche, industrie, ecc.). Della Corea del Nord è sanzionata anche l’Accademia delle scienze.

Embarghi commerciali effetto boomerang

Due embarghi commerciali con un effetto boomerang. Il primo fu il Blocco continentale, il divieto di attracco nei porti europei a ogni nave battente bandiera inglese, dichiarato da Napoleone Bonaparte nel 1806. Come si sa, questo blocco finì per diventare un blocco inglese contro il commercio europeo. L’anno dopo il presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson fece approvare un Embargo act per punire Regno Unito e Francia per i loro attacchi alle navi statunitensi. Quest’embargo si rivelò un disastro perché a quel tempo gli Stati Uniti avevano più bisogno dei mercati europei di quanto gli europei avessero bisogno del mercato statunitense.

L’embargo contro il Giappone e Pearl Harbour

«Si può ricordare che l’embargo sul petrolio e altre materie prime contro il Giappone accelerò l’attacco giapponese a Pearl Harbour nel 1941. Né fu granché utile alla causa palestinese il blocco petrolifero imposto dai paesi dell’Opec dopo la guerra del Kippur del 1973».

Sanzioni alla Russia per la Crimea

Nel 2014, per l’annessione della Crimea le sanzioni commerciali contro Mosca (a cui Vladimir Putin rispose con l’embargo delle importazioni alimentari dall’Europa), «costarono sì al paese qualche punto del pil, ma costrinsero la Russia a prodursi da sola quei manufatti che prima importava pagandoli con il denaro delle esportazioni di materie prime (greggio, gas, legname, minerali), spingendola quindi a industrializzarsi e a essere più indipendente». Tanto che nel gennaio 2020 il Financial Times poteva titolare: «Secondo gli analisti Mosca ora ha più da temere dalla rimozione delle sanzioni che dall’aggiunta di nuove».

Trump contro la Cina

Barriere doganali imposte nel 2018 da Trump ai prodotti cinesi. «Secondo Moody’s Investors Service, solo l’8 per cento dei costi aggiuntivi furono sopportati dalla Cina; il 92 per cento furono pagati dagli importatori statunitensi e alla fin fine trasferiti sui consumatori sotto forma di aumento dei prezzi».

Sanzioni finanziarie più efficaci

Grazie al dollaro, gli Stati Uniti sono in grado di estromettere un intero paese (o un’azienda, banca, industria) da tutto il circuito finanziario mondiale: basta precludergli l’uso del codice Swift. Isolare un paese dal circuito finanziario internazionale: pagare o incassare. «Ma anche in questo caso però le sanzioni presentano inconvenienti. Primo, quello d’indebolire la signoria del dollaro e di spingere gli altri paesi (compresi gli alleati europei) a cercare un’alternativa al circuito Swift. Il boom delle criptovalute è dovuto anche al tentativo di liberarsi dal giogo del dollaro».

Peggio, la difficoltà di abrogarle

Facile decidere sanzioni, pericoloso toglierle. Terremo minato di accuse debolezze in politica estera. «Per di più, molte sanzioni statunitensi – tipo quelle contro Cuba e la Russia – sono imposte con una legge, il che significa che solo il congresso può revocarle definitivamente». Quindi, mai più. «Ci sono paesi soggetti a così tante sanzioni sovrapposte che si trovano intrappolati in una situazione kafkiana, non sapendo se c’è qualcosa che possano fare per ottemperarle tutte».

Sanzioni permanenti alleva nemici

Continuando a imporre sanzioni senza mai abrogarle si finisce per mettersi contro quasi tutto il pianeta. «Uno dei problemi delle sanzioni imposte da Washington negli ultimi decenni è che in definitiva esigono un cambio di regime, cosa che il regime preso di mira evidentemente rifiuta e preferisce che il proprio popolo sopporti privazioni e stenti, come è avvenuto innumeri volte da Cuba all’Iran, dalla Russia alla Siria, alla Libia, alla Birmania, al Venezuela».

Solo bastone e niente carota

«Il secondo problema è che ormai la politica estera statunitense è fatta solo di bastone e mai di carota», il finale di New Left Review. «Non è che a Washington non si rendano conto dei rischi di questa deriva monodimensionale della politica estera americana. Sanno bene che troppe sanzioni indeboliscono l’impero, invece di rafforzarlo».

Tic della diplomazia mondiale

«Il punto è che le sanzioni sono diventate quasi un tic della diplomazia mondiale, reazione automatica a ogni e qualunque contrarietà: 9.421 sanzioni in un anno significano circa 26 sanzioni per ogni giorno che dio comanda, più di una sanzione l’ora. Finirà che dovremo dire: la guerra è la prosecuzione delle sanzioni con altri mezzi».

Sorgente: Sanzioni, un’arma a doppio taglio –

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