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Quirinale. Salvini dovrà decidere se rischiare con la presidente del Senato o mediare su Casini

La notizia arriva nel quartier generale del Pd a metà mattinata: «Alle 14 il centrodestra presenta la sua rosa». Andrà proprio così, anche se i tempi slittano di un paio d’ore e i petali cambiano rispetto al fiore originario. Alla fine ci sono l’ex presidente del Senato Marcello Pera, l’ex magistrato Carlo Nordio e l’assessora al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti, ex troppe cose per nominarle tutte. È una lista debole, messa in campo senza speranza di elezione, anche senza alcuna intenzione di provarci. Non un falso movimento, però. La mossa di Matteo Salvini imprime una sterzata alla guerra di trincea del Quirinale e obbliga tutti ad accelerare in vista di un momento della verità che arriverà tra la quarta e la quinta votazione ma che sarà preparato oggi.

NELLA LISTA NON COMPARE il vero nome sul quale punterà Salvini – che ieri ha sentito al telefono Draghi senza trovare punti di incontro – se deciderà di cercare una vittoria campale: quello della presidente del Senato Elisabetta Casellati. La sua presenza nella rosa era data per certa, figurava in tutte le indiscrezioni che si accavallavano da ore. È stata espunta all’ultimo momento e lei stessa aveva sguinzagliato i suoi collaboratori in cerca di consiglio: «Conviene far parte o no di quella lista?». La risposta corale non poteva che essere un no tondo. Farsi nominare sarebbe stato come porgere l’elegante collo alla mannaia. Il destino di quell’elenco di non eleggibili è finire nel cestino come prima mossa delle trattative di oggi alla ricerca di una candidatura concordata dall’intera maggioranza. Salvini ha saggiamente deciso di tenersi la carta più alta in mano, anche perché non c’era alcun bisogno di esporla. Come sottolinea in conferenza stampa Giorgia Meloni: «Bisogna tenere le cariche istituzionali al riparo dalle discussioni. Hanno in sé la dignità di candidati».

LA CANCELLAZIONE del nome della seconda cittadina dello Stato non è l’unico intervento dell’ultima ora. Il primo petalo a sfiorire è Franco Frattini, che appena 24 ore prima sembrava il più lanciato, anche in virtù dell’alto gradimento in casa 5 Stelle. Ma è stato azzoppato nella notte da chi ha rispolverato antiche posizioni considerate «filorusse» e finito in mattinata da un comunicato congiunto di Enrico Letta e Matteo Renzi che lo bocciavano senza appello. Riproporlo avrebbe avuto il sapore di una provocazione, e i leader della destra mirano all’effetto opposto: vogliono apparire animati solo da afflato unitario e costruttivo. Antonio Tajani è stato invece depennato perché coordinatore di Forza Italia, dunque «leader di partito». Nella strategia comunicativa della destra è invece fondamentale che tutti siano sì chiaramente espressione di quell’area di destra ma senza tessere di partito in tasca e senza ruoli dirigenti.

LA COALIZIONE di centrosinistra ha scelto di andare a vedere le carte di Salvini, bocciando la trojka ma apprezzando «il passo avanti utile al dialogo» e chiedendo un incontro tra delegazioni per oggi, di quelli in cui «si butta la chiave e si esce solo con la soluzione», come dice il segretario del Pd Letta. Sarà in quella sede, o se l’incontro dovesse saltare nelle trattative che comunque si snoderanno per tutta la giornata, che Salvini dovrà prendere la decisione forse più difficile della sua vita politica. Può cercare un’intesa, accettando o proponendo un accordo sul nome di Pier Ferdinando Casini. Ieri i centristi di Italia viva e quelli interni al Pd, guidati da Dario Franceschini e Luca Lotti, sono stati attivissimi nello spingere la sua candidatura, cercando di forzare la mano al segretario mentre con i pentastellati non c’è bisogno di forzare nulla. Tranne Mario Draghi sarebbero disposti a votare più o meno chiunque.

Pare che il solo nome non abbastanza autorevole per l’«asticella molto alta» dell’ex premier Conte sia quello di chi lo ha sostituito a palazzo Chigi. Ma la scelta spetta alla Lega e, indirettamente, a FdI, mentre Forza Italia pende già su quel versante. Con un esito simile Salvini lascerebbe il tavolo da vincitore, potendo vantare il ruolo di regista dell’operazione Colle, ma senza trionfo.

OPPURE SALVINI può insistere sulla carta Casellati e decidere di sfidare il voto dei grandi elettori già domani nella quarta votazione. Con i 40 voti degli elettori di Paolo Maddalena e alcuni, o molti, voti pentastellati in libertà può farcela. Sarebbe una vittoria schiacciante. Ma se il leghista dovesse mancare il colpo la mazzata sarebbe fatale: ne uscirebbe peggio che dal Papeete. Le sole vie aperte sarebbero a quel punto quelle più gradite a Letta: un ritorno a Draghi o più probabilmente, il supplice corteo in ginocchio da Sergio Mattarella.

Sorgente: La destra fa la prima mossa. La carta coperta è Casellati | il manifesto

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