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Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche arrivano per prime presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento, liberandone i superstiti e rivelando compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazifascista

di Ilaria Romeo

 

Quella del 27 gennaio è la data scelta dall’Onu (risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, 42ª riunione plenaria) come “Giorno della memoria”, per commemorare le vittime del nazismo e dell’olocausto.

“Sono passati settantaquattro anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz – diceva nel gennaio del 2019 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Eppure, nonostante il tanto tempo trascorso, l’orrore indicibile che si spalancò davanti agli occhi dei testimoni è tuttora presente davanti a noi, con il suo terribile impatto. Ci interroga e ci sgomenta ancora oggi. Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato. Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto. Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni”.

Per questo la Gionata della memoria è importante, non solo per ricordare, non solo per non dimenticare, ma per conoscere. Perché “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare” e “le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”. Perché è accaduto, tante – troppe – volte, non solo in Italia, ma anche in Italia.

Il 12 luglio del 1555, papa Paolo IV istituisce il primo ghetto ebraico di Roma con la pubblicazione della bolla Cum nimis absurdum. Dando seguito alle disposizioni del Concilio Lateranense, la bolla pone una serie di limitazioni ai diritti delle comunità ebraiche presenti nello Stato Pontificio. In particolare impone agli ebrei l’obbligo di portare un distintivo colorato per favorirne l’identificazione, li esclude dal possesso di beni immobili, vieta ai medici ebrei di curare cristiani sancendo la costruzione di appositi ghetti entro i quali avrebbero dovuto vivere.

È la prima delle bolle papali che lo storico Attilio Milano ha qualificato, insieme alla Hebraeorum gens (1569) e alla Caeca et obdurata (1593) come bolle infami. Queste regole rimarranno in vigore fino all’800.

Con l’arrivo del primo conflitto mondiale l’attenzione si sposterà. Sotto le armi non ci sarà più “noi e loro’” ma un unico fronte, unito e combattente per il proprio paese. In Italia, già prima della guerra, diversi ebrei ricoprono cariche statali e dopo il primo conflitto mondiale sono nominati i primi senatori di religione ebraica. Lo Stato Pontificio non esiste più, e con esso spariscono le restrizioni e i divieti. Una situazione, però, destinata a non durare molto.  Sostanzialmente il fascismo riprenderà buona parte del contenuto delle bolle Infami, e ne applicherà le norme in periodi diversi. LEGGI

La politica fascista provocherà tra emigrazioni, fughe, uccisioni, deportazioni, un importante calo della popolazione ebraica italiana. Se si considera solamente il tasso dei morti tra l’inizio del regime della Rsi e dell’occupazione tedesca e la fine della guerra (settembre 1943  – aprile 1945), la perdita rappresenta il 22,5%.

“Dal 1933 al 1945 – scriveva lo storico Michele Sarfatti – gran parte degli ebrei europei subì, in una tortuosa ma incessante progressione cronologica e geografica, dapprima la revoca di pressoché tutti i diritti civili e infine quella dello stesso diritto alla vita. Circa sei milioni di essi vennero uccisi – in eccidi di massa o nelle camere a gas – tra il 1941 e il 1945. Antico antigiudaismo cristiano, nuovo razzismo scientifico, moderno nazionalismo, nuovissimo spirito tecnologico, profondo spirito reazionario, recente antisemitismo politico, tutto ciò e altro ancora compose una miscela che, nel contesto del nuovo sanguinoso conflitto mondiale, produsse la shoah (vocabolo ebraico che significa catastrofe, distruzione)”. Se comprendere e impossibile, conoscere è necessario, anche oggi, forse soprattutto oggi.

È di questi giorni la notizia di un 12enne insultato e aggredito perché ebreo in un parco di Campiglia Marittima (Livorno) da due ragazzine di 15 anni. Scritte antisemite sono comparse a Roma nei giorni scorsi, numerose sono state negli ultimi mesi le assurde sovrapposizioni fra no vax e deportati, fra green pass e leggi razziali.

Una recente ricerca Eurispes (ottobre 2020) ha rilevato come i negazionisti stiano preoccupantemente aumentando anche in Italia: in 16 anni la percentuale di chi non crede all’orrore della Shoah è passata dal 2,7% al 15,6%, con un 16% che sostiene che la persecuzione sistematica degli ebrei ‘non ha fatto così tanti morti’.

Da quanto riportato dalla ricerca gli ebrei controllerebbero i mezzi d’informazione a detta di più di un quinto degli italiani intervistati (22,2%), mentre il 23,9% è concorde sull’idea che gli ebrei controllerebbero il potere economico e finanziario.

Secondo la maggioranza degli italiani (61,7%) gli episodi di antisemitismo nel nostro Paese sono casi isolati e non sono indice di un reale problema, bravate messe in atto per provocazione o per scherzo secondo il 37,2% dei nostri connazionali.

Riscuote nel campione un “discreto consenso” (19,8%) anche l’affermazione secondo cui “molti pensano che Mussolini sia stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio”, mentre con percentuali di accordo vicine tra loro seguono “gli italiani non sono fascisti ma amano le personalità forti’”(14,3%), “siamo un popolo prevalentemente di destra” (14,1%), “molti italiani sono fascisti” (12,8%) e, infine, “ordine e disciplina sono valori molto amati dagli italiani” (12,7%).

“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili – scriveva Anna Frank pochi giorni prima che i tedeschi irrompessero nell’alloggio segreto – Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”.

Cara Anna, quanto sarebbe bello poterti dire che avevi ragione tu, che alla fine “è andato tutto bene”, che siamo diventati migliori. Sarebbe bello, se solo fosse vero…

Sorgente: Fuori da Auschwitz: quando i sovietici liberarono gli ultimi prigionieri dal campo della morte – Collettiva

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