0 14 minuti 2 anni

Non c’è solo la logistica: ecco da dove arrivano e dove finiscono gli imballaggi dell’ecommerce. L’Italia ricicla ma non abbastanza. Il colosso di Seattle promette di ridurre i materiali inquinanti. E crescono le nuove soluzioni come packaging e contenitori riutilizzabili

di Daniele Di Stefano

Servono tonnellate di cartone per impacchettare quello che acquistiamo con un semplice tap sul telefonino. Così come milioni di metri cubi di gas che servono per produrle (le cartiere sono tra le industrie più energivore). Per non parlare di quel che finisce in discarica una volta aperto il pacco e gettato via l’imballaggio. Quando sul sito web di un negozio o su una piattaforma come Amazon o eBay clicchiamo “acquista”, si mette in moto un complesso meccanismo, fatto soprattutto di logistica, che dal venditore raccoglie la pentola a pressione o il pc che abbiamo scelto e ce li porta a casa.

Un aspetto fondamentale è che qualsiasi oggetto acquistato – e nel mondo, stando ad un recente report dell’Osservatorio eCommerce B2c Politecnico di Milano, nel 2020 sono stati acquistati beni per 26 miliardi di euro, + 45% sul 2019 – viene imballato: un imballaggio ulteriore che si aggiunge a quello col quale la pentola e il pc escono dalla fabbrica (imballaggio primario).

 

Secondo il sito di statistica Statista, gli imballaggi in plastica per l’ecommerce impiegati in tutto il mondo nel 2019, quindi prima della pandemia e del boom degli acquisti online, sono stati circa un miliardo di chilogrammi.

La sola Amazon –  secondo un report dell’associazione ambientalista Oceana, subito smentito dall’azienda di Seattle – nel 2019 avrebbe utilizzato per imballare i propri prodotti 210 mila tonnellate di plastica, aumentate del 29% nel 2020. Qualche decina di milioni delle quali, secondo l’associazione, sarebbe finita in fiumi e mari.

Robot e chilometri di nastri trasportatori: dentro lo stabilimento Amazon di Passo Corese

(guarda il video cliccando il link in fondo all’articolo)

Probabilmente il vero il problema di Amazon è di non aver incluso nei suoi processi di innovazione dirompente anche il packaging, trascinando così sé le imprese fornitrici. Questo avrebbe cambiato le carte in regola. Invece l’azienda si “accontenta” di adeguarsi all’esistente, magari alzando l’asticella. Basti dire che per scegliere le migliori opzioni di imballaggio sfrutta il machine learning, affinché i pacchi siano non troppo grandi né troppo fragili, ottimizzando così le spese ma anche il consumo di materiali: “Dal 2015 – ci spiegano da Amazon Italia – il peso degli imballaggi in uscita è stato ridotto del 36% per ogni spedizione, eliminando oltre un milione di tonnellate di materiale da imballaggio”.

Le promesse green di Amazon

Amazon incoraggia i venditori, coi programmi Frustration-Free Packaging, a confezionare i propri prodotti in imballaggi primari facili da aprire, riciclabili al 100% e pronti per la spedizione ai clienti senza scatole ulteriori: “Migliaia di prodotti si qualificano già per la consegna senza scatole o materiali di imballaggio aggiuntivi”. Entro la fine dell’anno, promette l’azienda, per i pacchi che passano dai suoi centri di distribuzione in Italia la plastica verrà sostituita con buste di carta e “scatole di cartone ondulato utilizzate esclusivamente per i prodotti più grandi“.

 

Al di là delle stime di Oceana, quel che è chiaro – certificato dalle immagini del mare trasformato in discarica che ci raggiungono sempre più frequentemente – è che il sistema globale di gestione dei rifiuti è assolutamente inadeguato ai consumi. E quanti più rifiuti produciamo, tanto maggiori sono le emorragie di immondizia nell’ambiente.

Rifiuti, lo smaltimento in Italia

Per quanto riguarda il nostro Paese possiamo dire (dati dall’ultimo rapporto Corepla) che su 1,9 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica immessi al consumo nel 2020, solo il 47% è stato “avviato al riciclo” (che non significa esattamente riciclato, perché tiene dentro ancora una quota, pur minima, di scarti). Il 48% viene incenerito, e il 5% finisce, nel migliore dei casi, in discarica. Se guardiamo ai film plastici, ad esempio, nel 2018 se ne è riciclato solo il 7,8%. Non a caso Greenpeace parla del riciclo della plastica come un “mito” lontano dalla realtà.

 

Ma al di là dello stigma, non sempre motivato, che ormai ‘avvolgè la plastica, forse non è questo il cuore della questione, soprattutto nel nostro Paese: visto che in Italia l’imballaggio per le spedizioni è fatto nella stragrande maggioranza dei casi di cartone. “Il cartone ondulato, sia come imballaggio da trasporto che come imballaggio di protezione, è impiegato nel 90% dei casi”, racconta Barbara Iascone dell’Istituto Italiano Imballaggio. “Non parliamo solo di scatole, ma appunto anche di imballaggi di protezione: mentre fino a qualche anno fa erano impiegati cuscinetti in plastica e chips in polistirolo, il grande sviluppo dell’ecommerce in Italia ha spinto verso protezioni che derivano da scarti. Quando si realizza una scatola di cartone ondulato ci sono tanti sfridi di lavorazione: invece di buttarli via vengono utilizzati per farne una protezione”. 

 

 

In plastica il 10% degli imballaggi

Per quanto riguarda la plastica, “rappresenta il 10% degli imballaggi, con un lieve recupero sulla carta, nell’ultimo anno, legato ad esempio ai sacchetti utilizzati prevalentemente per le consegne del grocery“. Nel 2020, in Italia, calcola l’Istituto, sono state complessivamente circa 370 mila le tonnellate di imballaggi utilizzate per le spedizioni delle compravendite onlineIl solo cartone usato per le spedizioni, dunque, vale circa il 5% del totale dei 7 milioni di tonnellate di rifiuti cartacei prodotti ogni anno in Italia.

Un prodotto su 10 viene acquistato online

Il 90% delle spedizioni, dunque, arriva coperto di un ulteriore scatola in cartone. Sappiamo quanto pesano (330 mila tonnellate), ma quante sono queste scatole? Tante. Tantissime. Nel 2020, sono state calcolate per l’Italia circa 420 milioni di spedizioni di beni ai consumatori: 420 milioni di scatole. E il Politecnico di Milano stima che entro fine anno in Italia saranno acquistati su internet prodotti per oltre 30 miliardi di euro di valore: con una crescita del 18% rispetto al primo anno della pandemia (e a quei 420 milioni di scatole). Oggi nel nostro Paese un prodotto su dieci è acquistato online: meno dei cugini francesi (il 15% del totale) o dei britannici (un prodotto su tre).

 

L’industria cartaria italiana ha seguito – ha sostenuto – questa crescita. “La significativa perdita di fatturato nel settore delle carte grafiche è stata compensata dall’accelerazione nella produzione di carte e cartoni per il packaging“, riferisce Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta, che riunisce i produttori di italiani di carta, cartoni, paste per carta. “Una spinta indotta dall’ecommerce già in fase pre-pandemia, che si è consolidata durante i ripetuti lockdown. Tanto che se nel 2019 la produzione di cartone valeva il 43% del fatturato totale del settore cartario, nel 2020 sale al 48%. Se poi confrontiamo i primi nove mesi del 2021 con quelli dell’anno scorso, la produzione di cartone ondulato è cresciuta ulteriormente del 17,6%“.

 

Nel 2020, ci spiega Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, l’associazione delle imprese del macero, “il 56% della produzione cartaria nazionale è costituito dagli imballaggi, mentre il 44% da altre tipologie, ad esempio, carte grafiche oppure per usi igienico-sanitari. Proprio riguardo ai primi – conferma Sicilia – la domanda è stata promossa dal boom dell’ecommerce e del delivery“. Se guardiamo i grafici di produzione del cartone ondulato vediamo una linea che sale dai 6,5 miliardi di metri quadri del 2015 ai 7,3 del 2020 (+14% circa). “E per l’anno in corso il sentiment è che stiamo andando bene come gli anni passati”, ci racconta Fabio Panetta, segretario generale GIFCO (Gruppo italiano fabbricanti cartone ondulato). Che precisa, ovviamente, che l’aumento di produzione “non dipende solo dalla crescita dell’ecommerce, che in Italia nel 2020 è stimato al 7,2% del consumo totale di cartone”.

Solo il 20% della fibra utilizzata dalle cartiere per realizzare questi cartoni è fibra vergine proveniente dal taglio di conifere e latifoglie gestite in maniera responsabile, spiegano da GIFCO. Tutto il resto viene dal riciclo.

Riciclo di carta: Italia batte Regno Unito

Abbiamo provato a verificare se il flusso di rifiuti gonfiato dagli “imballaggi digitali” lasci tracce nei rilevamenti del settore, ma i sistemi di misurazione non sono pensati per distinguere un cartone che arriva all’impianto di riciclo dopo essere partito da un clic, rispetto ad uno usato per i traslochi. Le imprese di trattamento, infatti, gestiscono insieme i rifiuti domestici e quelli delle imprese e quindi non rilevano se dalle nostre case c’è un aumento legato, mettiamo, all’abbuffata del Black Friday. Quel che è certo, è che i nostri impianti di riciclo – circa 600, 20.000 addetti, 4 miliardi di euro di fatturato (Rapporto Unirima 2021) – stanno gestendo egregiamente l’aumento di imballaggi degli acquisti online, a differenza di quanto acceduto ad esempio in Gran Bretagna. “Questo perché il nostro sistema impiantistico per il riciclo della carta è sempre stato caratterizzato da una grande capillarità – spiega ancora Sicilia – . La raccolta italiana di carta e cartone è attorno alle 7 milioni di tonnellate, e questi impianti potrebbero trattarne anche il doppio, se ce ne fosse bisogno”. La carta da macero uscita dagli impianti di cui ci racconta il direttore generale di Unirima ha raggiunto nel 2020 i 6,8 milioni di tonnellate (5 milioni impiegati nel mercato interno, anche per fare i cartoni dei nostri pacchi; 1,8 milioni esportati).

Una rete di imprese che, grazie anche al sistema consortile per la gestione del fine vita degli imballaggi (Conai e Comieco) ha permesso di riciclare oltre l’87% di carta e cartoneraggiungendo in anticipo l’85% fissato in Europa come obiettivo per il 2030 (non siamo i soli, anche se è lecito avere dubbi sui dati di qualche Paese).

Una logistica più sostenibile

Nella crescita del cartone per gli imballaggi ha pesato, come abbiamo detto, anche lo stigma sulla plastica: la “progressiva sostituzione dell’imballaggio in carta rispetto a quelli a base fossile”, ricorda Medugno. Un dato che trova conferma nell’esperienza quotidiana, ma anche nei cambiamenti in atto nella logistica conto terzi, che sta provando a farsi più sostenibile: “Il mondo della logistica sta ripensando il packaging – ci spiega Marco Melacini, responsabile scientifico dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano – lavorando in due direzioni: modifica dei materiali e aumento di utilizzo di materiali riciclati”. Quanto al primo punto “si sta lavorando in primis sugli imballi primari. Sugli imballi terziari (quelli che non arrivano al consumatore ma che servono alla movimentazione dei prodotti verso gli scaffali dei negozi, come i pallet, ndr) si sta riducendo l’utilizzo della plastica usata per rivestire di film i pallet usati prima del trasporto”. E poi cresce l’attenzione al riciclo: “Sono stati attivati circuiti di raccolta degli imballi usati e si sta lavorando per un riuso degli imballi all’interno dei magazzini”.

 

 

La seconda vita dell’imballaggio

Piccoli passi in un mare di rifiuti. Eppure soluzioni che arginano questo mare esisterebbero. Ma richiedono probabilmente una messa a punto per essere adeguate alle grandi scale, e un radicale cambio di mentalità. Come quello di una delle piattaforme di ecommerce più competitive in CinaJD, che ha offerto la possibilità di ordinare prodotti piccoli e medi con spedizione in contenitori riutilizzabili, da lasciare al fattorino dopo la consegna. Oppure come quello di RePackLimeLoop o Returnity, che forniscono ai venditori imballaggi riutilizzabili. O ancora Loop, o Happy Returns, che offre a chi vende online un pacchetto chiavi in mano per gestire i resi in modo più efficiente e senza imballaggi, grazie ad un’ampia rete di punti di ritiro negli Usa. Un ruolo, in questo cambiamento, debbono averlo anche le istituzioni. La Cina, ad esempio, stando alla National Development and Reform Commission, punta ad eliminare entro pochi anni il doppio packaging nel commercio elettronico.
“Serve un rapido cambio di paradigma riguardo l’uso del packaging per l’ecommerce: un settore che durante la pandemia è cresciuto a ritmi vertiginosi – ci dice Giuseppe Ungherese responsabile campagna inquinamento Greenpeace – . Per ridurre l’impatto ambientale è urgente ridurre il monouso in favore di imballaggi e contenitori riutilizzabili, di gran lunga la soluzione più sostenibile”.

Sorgente: Plastica e cartone, l’altro problema ambientale di Amazon & Co – la Repubblica

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20