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Percorsi. Una morte senza giustizia. Due graphic novel per ricordare. Il 15 dicembre del 1969 il ferroviere anarchico perì dopo essere «caduto» da una finestra della questura di Milano. La vita delle figlie Claudia e Silvia e della moglie Licia nei volumi di Milieu e Beccogiallo

Cecchino Antonini

L’urgenza della memoria, per certe storie, non si placa mai. Quello che, lo scorso 12 dicembre, è stato sbrigativamente archiviato come «errore tecnico» – il tweet ufficiale del Senato che rilanciava l’ossessione di due vecchi missini per la pista anarchica su Piazza Fontana – va a nutrire un senso comune depistato dalla macchina del revisionismo in un Paese che soffre di buchi nella memoria collettiva.

 

NELLA NOTTE tra il 15 e il 16 dicembre 1969 Licia Rognini divenne per tutti, e suo malgrado la vedova Pinelli. Suo marito Giuseppe, ferroviere anarchico, un passato da staffetta partigiana e un presente da sindacalista antagonista, era precipitato da «quel quarto piano in questura, da quella finestra». La pista anarchica, evocata da mesi con articoli dettati ai giornali e con retate a casaccio negli ambienti libertari, si cristallizzava in un corpo che non poteva più parlare.
La storia la conosciamo, da quando una controinchiesta da parte di un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare ha restituito il quadro impressionante della strage e del contesto, mano fascista, soldi dei padroni, protezioni dei servizi segreti. Era una strage di Stato.Quello che è restato fuori da quel primo esperimento di controinformazione era la vita. La vita di Pinelli, di Licia, delle loro bambine Claudia e Silvia, dei loro compagni di allora e a venire. Perché quei buchi di verità e giustizia hanno trasformato l’Italia, da allora, in un «Paese dei Comitati», come lo chiama da tempo Manlio Milani, il marito di Livia Bottardi che morì nella strage di Brescia cinque anni dopo Pinelli e i 17 di Piazza Fontana. Vite scaraventate nella dimensione pubblica e mediatica da eventi strazianti, che si sono riorganizzate sia nell’autorganizzazione della propria vicenda giudiziaria – operazione drammatica per chi si trovi a fronteggiare muri di gomma – sia nella ricerca, nell’inseguimento, dei frammenti di un vaso andato in frantumi. Il «senza di te», lo chiama Claudia Pinelli.

CINQUANTADUE ANNI DOPO, il catalogo su Piazza Fontana si arricchisce di altri due volumi, entrambi romanzi grafici. Si tratta di Pino, vita accidentale di un anarchico di Claudia Cipriani, Claudia e Silvia Pinelli, Niccolò Volpati (Milieu, pp. 160, euro 19.90) e di Volo senza un grido. La lotta di Licia Pinelli di Ilaria Jovine, Roberto Mariotti e Marco Cabras (Becco Giallo, pp. 144, euro 18). Se il primo è la trasposizione su carta di un recente docufilm animato che raccoglie le voci delle figlie, l’altro è un racconto in prima persona di Licia come se Pino Pinelli fosse ancora accanto a lei. In entrambi i casi le storie si muovono su vari registri, incrociando documento e ricordo, graphic journalism e biografia.

Perché il «senza di te» ha bisogno di un linguaggio più ricco di una sentenza di tribunale o di un pamphlet. E il fumetto, finalmente libero dai pregiudizi di mezzo secolo fa, è arte sequenziale, miscela incredibile tra la scrittura e un dispositivo di memoria, il disegno, inventato prima ancora che esistesse l’opzione di mettere le cose per iscritto. Non è solo un modo accattivante per intercettare nuove generazioni di lettori, come si crede spesso, ma lo strumento più adeguato per combinare personale e politico, per restituire spessore a una vita spezzata – nello specifico quella di Giuseppe Pinelli, l’anarchico più in vista in quegli anni a Milano – sottoposta alla doppia torsione, quella della criminalizzazione e quella della mitizzazione, in entrambi i casi mistificazioni.È LO SFORZO, la dichiarazione d’intenti, degli autori e delle figlie di Pino che hanno da restituire un nonno alle loro figlie che non l’hanno mai potuto vedere, di Licia che solo quarant’anni dopo, senza una verità processuale, si vedrà riconoscere da un presidente della Repubblica che suo marito è la diciottesima vittima di Piazza Fontana. Intanto, però, la biografia di tre donne si sarebbe dovuta intrecciare per sempre con l’ansia di verità e giustizia di altre sopravvissute come loro, con le pratiche di militanti traumatizzati dalla strategia della tensione e dalla repressione, con l’impunità non solo di chi mise le bombe nelle piazze e sui treni, di chi spinse Pinelli dalla finestra, ma di chi costruì il castello di bugie che, per «errori tecnici», rischia sempre di inquinare la memoria collettiva.

❤ LA BALLATA DEL PINELLI
Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.
Signor questore io gliel’ho già detto
lo ripeto che sono innocente
anarchia non vuol dire bombe
ma giustizia amor libertà.
Poche storie confessa Pinelli
il tuo amico Valpreda ha parlato
è l’autore del vile attentato
e il suo socio sappiamo sei tu.
Impossibile grida Pinelli
un compagno non può averlo fatto
e l’autore di questo misfatto
tra i padroni bisogna cercar.
Stiamo attenti indiziato Pinelli
questa stanza è già piena di fumo
se tu insisti apriam la finestra
quattro piani son duri da far.
Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.
L’hanno ucciso perché era un compagno
non importa se era innocente
“Era anarchico e questo ci basta”
disse Guida il feroce questor.
C’è un bara e tremila compagni
stringevamo le nere bandiere
in quel giorno l’abbiamo giurato
non finisce di certo così.
Calabresi e tu Guida assassini
che un compagno ci avete ammazzato
l’anarchia non avete fermato
ed il popolo alfin vincerà.
Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po’ la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 3 persone e il seguente testo "...e siamo sempre qui col desiderio assurdo di darti in quell attimo le ali per volare Claudia Pinelli மமதி்"
(testo della della “Ballata del Pinelli e immagine da Face Book)

Sorgente: Il «senza di te» di Pino Pinelli nel Paese immemore | il manifesto

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